La scuola era finalmente finita, e dopo un pomeriggio passato a studiare, era giunto il momento di prepararsi per la festa di Alessandro, la stessa che avevo giurato di evitare. Eppure, eccola qui, la mia decisione fatta: sarei andata.
Aprii l'armadio e scelsi un tubino nero che arrivava a metà coscia, un vestito semplice ma che fasciava perfettamente le mie forme, esaltandole in modo elegante. Non ero abituata a vestirmi così, ma quella sera sentivo il bisogno di mostrarmi diversa, di essere qualcuno che gli altri non avrebbero mai immaginato. Mi guardai allo specchio e, per un momento, non riconobbi la ragazza che mi fissava.
Uscendo dalla mia stanza, trovai Zayn già pronto ad aspettarmi. Il suo sguardo si illuminò quando mi vide. "Sei bellissima," disse con un sorriso sincero, "i tuoi capelli ricci ti stanno molto meglio."
Non ero sicura che la sua opinione fosse obiettiva, ma mi fece comunque piacere sentirlo. Raggiungemmo insieme il piano di sotto, dove mamma e papà ci aspettavano, pronti per l'ennesima raccomandazione.
"Che bella che sei, Liyana," commentò mamma, stringendomi affettuosamente. Papà annuì, aggiungendo: "Divertitevi, ma mi raccomando, state attenti."
"Dobbiamo proprio andare, mamma," rispose Zayn con un mezzo sorriso, interrompendo la solita trafila di raccomandazioni che avevo sentito mille volte.
Con un cenno di saluto e un'ultima occhiata preoccupata, mamma ci lasciò andare. Uscimmo e salimmo sull'Audi di Zayn. Lungo il tragitto, il silenzio tra noi era carico di aspettative, ma anche di un'ansia che non riuscivo a scrollarmi di dosso.
Arrivati alla festa, la prima cosa che notai fu la villa: immensa, con luci che illuminavano i contorni dell'edificio e musica che si diffondeva nell'aria già dalla strada. Ma non appena entrammo, l'odore di nicotina, erba e alcol si impossessò delle mie narici, quasi soffocandomi. Era come se tutto l'ambiente stesse gridando contro ogni mia fibra di ragazza studiosa e riservata.
Zayn si chinò verso di me. "Non staccarti da me, okay?" mi disse, ma non appena vide Damiano e Fabio, si lanciò verso di loro, lasciandomi sola in mezzo a una folla di volti sconosciuti.
Con un sospiro, decisi di andare a prendere qualcosa da bere. Il pensiero di farmi coinvolgere in quell'ambiente caotico mi metteva a disagio, così scelsi semplicemente dell'acqua, cercando di rimanere lucida in quel mare di volti confusi e voci sovrapposte.
Per qualche minuto vagai senza meta, osservando i ragazzi intorno a me. Alcuni ballavano, altri ridevano in piccoli gruppi, mentre altri ancora si aggiravano come ombre alla ricerca di qualcosa o qualcuno. La musica era assordante, eppure sentivo come se fossi in una bolla, isolata da tutto ciò che mi circondava.
Alla fine, decisi di uscire un attimo a prendere una boccata d'aria. Il giardino era meno affollato, ma ancora pieno di persone che chiacchieravano tra loro o fumavano in silenzio. Stavo per trovare un angolo tranquillo quando vidi una chioma riccia abbastanza familiare. Non feci nemmeno in tempo a girarmi che sentii una voce alle mie spalle, quella voce che ormai associavo alle mie paure.
"Non ti facevo una da feste," disse. Mi voltai lentamente, con un nodo allo stomaco, e il mio sguardo incontrò il suo. Era lì, illuminato dal chiarore della luna, con una sigaretta in mano.
Non sapevo cosa rispondere. Lui approfittò del mio silenzio per continuare. "Certo che hai la testa dura," disse, la sua voce era un misto di ironia e serietà. "Ti ho detto che devi andartene e tu vieni a queste feste. Ti facevo più sveglia."
Finalmente trovai le parole. "Mi vuoi spiegare perché vuoi così tanto che me ne vada?" chiesi, confusa e irritata allo stesso tempo.
Lui mi guardava, uno sguardo magnetico che mi allontanava, ma allo stesso tempo mi spingeva verso di lui. Mi scrutò da testa a piedi, come se stesse cercando di capire qualcosa di me che io stessa non conoscevo.
"Te lo ripeto," disse, avvicinandosi pericolosamente, "questo posto non fa per una come te."
"E io te lo richiedo," risposi, cercando di mantenere la voce ferma, "cosa intendi per 'una come me'?"
Non rispose subito. Continuava ad avvicinarsi, e più si avvicinava, più sentivo il battito del cuore accelerare. "Liyana, ti chiami così, giusto?" chiese all'improvviso.
"Sì," risposi, con un filo di voce.
"Posso sapere qual è il tuo nome?" gli chiesi, cercando di mantenere il controllo della situazione, ma lui mi rispose solo con una risata e una boccata di fumo che mi arrivò dritta in faccia. Iniziai a tossire, allontanandomi leggermente.
"Vedo che alla principessa non piace il fumo," disse sorridendo leggermente, e questa volta il suo sorriso era diverso da quello del mattino. Era un sorriso più enigmatico, quasi... affascinante.
"Perché ti sei trasferita a Roma?" domandò, cambiando improvvisamente discorso.
Non so perché, ma iniziai a raccontargli la storia. "Qui è dove i miei si sono conosciuti e dove hanno abitato per un po'. Mio fratello è nato qui, ma poco dopo la sua nascita ci siamo trasferiti a Milano."
Non capivo perché gli stessi raccontando queste cose, come se le parole uscissero da sole, senza il mio controllo. Forse era il suo modo di pormi le domande, forse era il bisogno di far capire a qualcuno che non ero solo una nuova arrivata, ma che avevo un legame con quella città.
"E tu?" gli chiesi alla fine, cercando di spostare l'attenzione su di lui. "Sei di qui?"
Ma lui mi zittì subito. "Qui le domande le faccio io, non tu."
Continuai a fissarlo, cercando di capire cosa ci fosse dietro quel sorriso, cosa lo spingesse a volermi tenere lontana, e perché sembrasse sapere tanto di me. Nonostante il suo atteggiamento minaccioso, sentivo una strana attrazione nei suoi confronti, come se ci fosse qualcosa di nascosto dietro quella maschera di indifferenza.
"Allora cosa vuoi sapere?" gli chiesi alla fine, lasciandomi andare. Se voleva delle risposte, gliele avrei date, anche se non sapevo dove tutto questo ci avrebbe portati.
"Sai," dissi, "non sono sempre stata così chiusa. Una volta, a Milano, ero molto diversa. Ma poi le cose sono cambiate, le persone che frequentavo mi hanno portato sulla strada sbagliata, e ho finito per chiudermi in me stessa."
Lui mi ascoltava in silenzio, senza interrompermi. C'era qualcosa in lui che mi faceva sentire al sicuro, nonostante tutto. E continuai a parlare, a raccontare frammenti della mia vita ma stando attenta a non raccontare più di quanto avrei dovuto, era come se davanti a lui quelle barriere si sgretolassero. Ma ogni volta che cercavo di scavare più a fondo nel suo sguardo, era come se mi sfuggisse, come se ci fosse un muro che non potevo oltrepassare.
Dopo un lungo silenzio, decisi di chiederglielo di nuovo: "Perché vuoi che me ne vada? Perché ti interessa così tanto?"
Lui fece un passo indietro, come se stesse considerando le sue prossime parole. "Perché questo posto non fa per una come te," ripeté, ma questa volta c'era qualcosa di diverso nella sua voce, una nota di preoccupazione che non avevo colto prima. "Tu non sai cosa può succedere qui."
Ma non riuscii a ottenere altro da lui. Con un ultimo sguardo, si girò e si allontanò, lasciandomi lì, con più domande che risposte. Guardai la sua figura scomparire tra gli alberi del giardino, e capii che quella notte sarebbe stata solo l'inizio di qualcosa che non potevo ancora comprendere.