Il ragazzo del semaforo

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Da alcuni giorni il tiepido sole di Londra illuminava ogni angolo della città senza lasciare spazio a cieli uggiosi. Aprile non era mai parso così piacevole. La brezza frizzante danzava per le strade portando con sé il tepore della primavera, accarezzando la gente che numerosa si era riversata nel verde dei grandi parchi a raccogliere fiori e sorrisi. La frenesia per le strade era inevitabile, ma quel senso di allegria e benessere che il cielo aveva regalato si poteva riflettere persino tra le macchine che sfrecciavano da un capo all'altro della capitale, tra le folle che salivano e scendevano dalla metropolitana e nelle vie ombreggiate che si districavano tra i negozietti locali che mai come quei giorni avevano ospitato tanta clientela. Proprio ad un incrocio tra quelle vie, un semaforo aveva appena mutato il suo colore in rosso, e Agnese poteva vederlo da lontano. Camminava decisa verso le strisce pedonali con due buste leggere nella mano sinistra, mentre con la destra si accingeva ad indossare un paio di occhiali da sole griffati dapprima accuratamente sistemati tra la folta chioma riccia che, seguendo i passi e il lieve abbraccio del vento, ondeggiava sino a metà schiena lungo una giacca nera fasciata in vita. Se i suoi stivaletti picchiettavano sul marciapiede procedendo a passo spedito, i suoi occhi comunemente marroni ma incredibilmente unici al mondo, nascosti dalle lenti scure, vagavano alla ricerca di un qualcosa di indefinito, scrutando attentamente ogni persona che passasse di lì, ogni uccello che volasse in cielo ed ogni macchina che sfrecciasse in strada. Molti erano i pensieri che caoticamente si susseguivano nella mente di quella giovane ragazza. Il suo arrivo nella capitale risaliva ad appena un mese prima, la sua determinazione e la sua ammirevole media universitaria le avevano permesso di godere della possibilità di affrontare il semestre corrente in una delle prestigiose università della città. Appena un mese, un mese lontana da casa, lontana dalla sua famiglia, un mese in cui le sue abitudini erano state completamente sovvertire, un mese in cui tuttavia non aveva affatto faticato ad ambientarsi. Le sue notevoli competenze linguistiche avevano certamente giovato ogni sua interazione, ma erano il suo sorriso pulito ed i suoi occhi gentili ad ammaliare chiunque fosse venuto in sua conoscenza. Agnese emanava luce e serenità, la sua presenza risultava essere rassicurante per tutti. Era fin troppo facile per le persone riuscire a fidarsi di lei, a raccontare le storie che tenevano nascoste negli angoli più bui del cuore. Lei sapeva ascoltare, sapeva cosa dire. Non faceva sempre complimenti, ma diceva sempre la verità. Non era sempre d'accordo con chi le era vicino, ma non avrebbe mai negato il suo supporto a nessuno. Non era certamente perfetta, né nell'aspetto fisico tantomeno nel carattere, ma era buona, era spontanea, era vera, e questo bastava a farsi amare. Ma se il suo sguardo limpido e le sue parole sempre giuste dette al momento giusto riuscivano ad abbattere ogni muro, non si poteva certamente dire che le altre persone avessero il medesimo effetto su di lei. Agnese aveva quasi raggiunto il semaforo quando di fronte a lei individuò un giovane che, poco lontano, camminava nella sua direzione. Fu istintivo fissare lo sguardo su di lui, cercando di scrutare oltre quegli occhiali da sole scuri e il cappuccio della felpa tirato su a coprire dei capelli castani visibilmente legati in un codino. Forse fu il suo sguardo rivolto verso il basso, quasi desideroso di nascondersi dalle occhiate della gente, a catturare l'attenzione della giovane che invece procedeva a testa alta, con fierezza e senza alcun timore. Agnese continuava a camminare osservandolo con attenzione, curiosità, fermandosi solo quando giunse al semaforo ancora rosso in attesa di poter attraversare la strada. Lo vide rallentare il passo quando era oramai poco distante da lei, e si sorprese di come solo a quel punto finalmente staccò lo sguardo da terra, rivolgendolo al medesimo semaforo presso cui lei stessa si era fermata. Quando vide una smorfia farsi spazio sul viso di quel giovane, poi, la ragazza sorrise d'istinto nel vedere come in pochi secondi il suo volto adulto fosse mutato per pochi secondi in quello di un ragazzino spazientito, tuttavia si ritrovò costretta a spostare lo sguardo altrove, fingendo che i suoi occhi stessero vagando tra qualche punto indefinito della strada, quando l'oggetto della sua attenzione si fermò proprio di fianco a lei. Per un attimo temette di essere stata scoperta, e si rimproverò per essere così dannatamente osservatrice. Ovunque andasse, Agnese non poteva fare a meno di cogliere quanti più dettagli possibile. Era nella sua natura tacere e osservare, e forse era per questo che sapeva capire bene chiunque le si ponesse davanti. Studiava le persone, studiava le cose, studiava gli ambienti. Qualsiasi cosa lei dicesse o facesse non era mai casuale. Non sempre, almeno. La curiosità che le aveva suscitato quel giovane, tuttavia, la spinse a voltarsi nuovamente verso di lui. E finse. Finse di farlo nel modo più naturale possibile. Ruotando il corpo leggermente verso sinistra, spostò con delicatezza dal suo viso un boccolo che le ricadeva dolcemente sulla fronte mentre lo sguardo si spostava un po' qua e là, un po' avanti e un po' indietro, con la complicità degli occhiali da sole che indossava. Per quanto fosse un'acuta osservatrice, Agnese era, purtroppo o per fortuna, una ragazza fin troppo trasparente, troppo innocente, e a causa della sua spontaneità non sarebbe passato inosservato a qualunque altro passante che ogni sua movenza fosse solo un simpatico tentativo di riuscire a guardare quel giovane senza farsi beccare. Lo stesso ragazzo di fianco a lei non potè evitare di nascondere un sorriso vedendola con la coda dell'occhio ciondolare sui suoi stessi talloni, torturandosi la mani e stiracchiando le braccia di tanto in tanto, mentre il suo viso angelico assumeva espressioni buffe. E lei non se ne rendeva neppure conto. La verità è che Agnese appariva come una ragazza raffinata in qualsiasi cosa facesse, ma allo stesso tempo la sua raffinatezza si accompagnava ad una certa goffaggine che rendeva la sua figura estremamente simpatica alla vista. Il ragazzo si sentì costretto a volgere lo sguardo al lato opposto per celare l'angolo delle labbra sollevatosi in un sorriso divertito. Agnese, dal canto suo, era ignara del fatto che anche il castano di fianco a sé la stesse a suo modo osservando, ma quando d'improvviso il ragazzo col cappuccio si voltò verso di lei sfoggiando il suo sorriso estremamente perfetto e particolarmente divertito, la riccia avvertì la sua mente annebbiarsi, le sue labbra schiudersi istintivamente e lo stomaco aggrovigliarsi a causa di uno strano imbarazzo che pervase il suo corpo dalla punta delle dita a quelle dei capelli, certa che questa volta la sua stessa curiosità l'aveva condannata all'ennesima figura certamente poco discutibile. Con timore ed estrema lentezza, spostò dunque lo sguardo di fronte a sé, cessando di ciondolare su se stessa, sfoggiando involontariamente un certo rossore che colorò le sue gote chiare, dipinte da graziose lentiggini. Rossore che crebbe maggiormente quando lei stessa percepì la temperatura corporea aumentare notevolmente, ormai sicura del fatto che anche questa sua reazione non fosse passata inosservata. Sperò comunque che il ragazzo fosse nel frattempo tornato a fissare la strada con il suo sguardo schivo e a contemplare i proprio pensieri senza curarsi in alcun modo di lei, ma quando con la coda dell'occhio cercò di captarne un segnale, lui era lì, a guardarla, in verità ignaro di tutto quello che stava passando nella mente di quella strana ragazza dai lunghi capelli ricci e un profumo inebriante, e restò a fissarla per qualche secondo, incuriosito da quel suo modo di essere così goffa e sicura allo stesso tempo. Fu solo quando un'anziana signora, in piedi di fronte a loro, lasciò maldestramente cadere delle monete dalle proprie mani che il ragazzo riuscì finalmente a staccare gli occhi di dosso da quella giovane di cui ignorava tutto. La sua educazione lo portò immediatamente a chinarsi per raccogliere il denaro che si era sparso sul marciapiede, togliendosi gli occhiali da sole così da poter vedere più accuratamente. Nello stesso momento, inconsciamente, la riccia imitò ogni suo gesto. Non si sa chi fosse lo specchio di chi, entrambi avevano agito d'istinto, per galanteria, per educazione, ma fu inevitabile per loro ritrovarsi lì, accovacciati sull'asfalto, l'uno di fronte all'altro, e fu così che i loro occhi si incrociarono per la prima volta. Per un attimo la ragazza si sentì vacillare, incapace di distogliere lo sguardo da quei profondi occhi marroni, incorniciati da lunghe e folte ciglia, che sembravano penetrarla nell'anima. Semplici occhi marroni, magnetici, che di semplice per lei non avevano nulla. Davanti ad uno sguardo così intenso, Agnese si condannò per avere un occhio comune, ignara di come in essi risiedesse in verità la sua vera forza. Se gli occhi sono lo specchio dell'anima, certamente questo non poteva dirsi dei suoi. Non propriamente, almeno. Quando un sentimento forte sopraggiungeva, di qualunque tipo fosse, lei era, oramai per abitudine, in grado di soppiantarlo, nasconderlo, fingere di fronte a tutti che tale sentimento non fosse mai scaturito in lei. Quanto più intensa era un'emozione, tanto più Agnese la teneva segreta, e nemmeno i suoi occhi potevano più essere un libro aperto. Erano belli, contrariamente a quanto pensasse, erano belli davvero. Il castano aveva notato le leggere sfumature verdi nella parte inferiore dell'iride di lei, più o meno visibili, che le conferivano delle volte tonalità più chiare ed altre più scure. Sotto certe luci, quelle lievi e impercettibili variazioni di colore danzavano mescolandosi armoniosamente tra loro, e come per magia quegli occhi potevano addirittura divenire gialli. Persa in quello sguardo soggiogante, Agnese non si era neppure resa conto che quel contatto visivo era durato molto meno di quanto credesse, e mentre lei era impegnata a scrutare ogni dettaglio di quelle mani curate e grandi che raccoglievano monete sparse, quel ragazzo stava già restituendo all'anziana signora ciò che le era caduto. Fu solo quando la gentildonna si pronunciò per ringraziarli che Agnese riuscì a destarsi da quello che sembrava essere un sogno senza fine, avvertendo così il suo corpo tornare a respirare, sollevandosi da terra e rigirando tra le mani quell'unica moneta che aveva raccolto, rendendosi conto solo allora di essere rimasta per tutto il tempo in apnea davanti a quegli occhi brillanti, profondi, occhi che non avrebbero mai avuto nulla da invidiare nemmeno al lembo più fertile di terra. Vergognatasi della sua medesima reazione, la ragazza si affrettò a restituire lo spicciolo. Poi, timidamente, facendosi coraggio per un'ultima volta, spostò appena lo sguardo su di lui, e notò con sorpresa che un sorriso pulito, accompagnato da una lieve fossetta sulla guancia destra, era lì, solo per lei, ad accoglierla con simpatia. Il semaforo mutò improvvisamente colore, la gente tutt'intorno iniziò a muoversi, ad attraversare, e prima che il respiro le si potesse tagliare di nuovo, col cuore che le batteva con irregolare intensità in gola, Agnese si affrettò nel lanciarsi sulle strisce pedonali e fuggire da quello sguardo magnetico che, in fondo lo sapeva anche lei, non l'avrebbe più lasciata. Il ragazzo rimase lì, fermo per qualche altro istante, guardandola correre verso il lato opposto della strada portando via con sé un po' di allegria, quella stessa allegria che il suo essere così spontanea aveva seminato in pochi minuti. Poi le sue gambe si mossero da sole, e mentre le sue scarpe da ginnastica bianche e perfettamente nuove attraversavano le strisce bianche, i suoi occhi seguivano quelle gambe sode e non troppo magre fasciate in un semplice paio di jeans, e non potevano in alcun modo lasciar andare quella figura sinuosa che li aveva incuriositi. Cercando di non perderla tra la folla, restarono fissi sui lunghi capelli ricci di un biondo insolito, ma certamente naturale, che sotto la luce del sole mutava in boccoli ramati che, morbidi, ondeggiavano a causa del passo rapido con cui la ragazza procedeva. Quando la vide poi svoltare l'angolo a sinistra, sparendo così dalla visuale, gli venne naturale scuotere lievemente la testa. Che ragazza singolare, pensò tra sé e sé mentre tornava sui suoi passi, e svoltando a destra, procedendo nella direzione opposta rispetto a quella intrapresa da lei, ripensando a tanta dolcezza e goffaggine, sorrise. Agnese, invece, non ebbe il coraggio di voltarsi neppure una volta, e quando fu certa di essere sufficientemente distante da tutto e da tutti, si appoggiò alla parete che delimitava il marciapiede, alla ricerca di un sostegno a cui aggrapparsi, come se le sue gambe non potessero reggere il peso di quelle emozioni, come se il suo cuore non fosse stato programmato per battere così velocemente. Poi, senza sapere perché, estrasse dalla sua tasca il telefono. Erano le 16.45.

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