Solo il suo nome

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"Davvero" insistette il ragazzo impegnato a tirare il guinzaglio del suo amichevole Golden Retriever, il quale non perdeva occasione di fare gli occhi dolci a chiunque gli passasse davanti, "sono mortificato" concluse poi scusandosi nuovamente, rivolgendo lo sguardo alla riccia di fronte a sé. Lei, incerta se fosse più nervosa per quanto accaduto o per il fatto che quel ragazzo fosse davvero lì, sfoggiò un sorriso sincero, tanto caloroso che solo in quel momento il castano seppe che quella strana e dolce ragazza stesse bene davvero. Agnese si chiese a cosa fossero serviti tutti quei rimproveri cui si era condannata poco prima. Improvvisamente tutto sembrava come doveva essere, improvvisamente lei si rese conto di sentirsi nel posto giusto. Non era neppure sicura di toccare con i piedi per terra tanto si sentiva leggera e felice. Le sembrava finalmente di aver capito tutto così in un lampo, di aver capito tutto sulla vita, sull'amore, sulla chimica, come se ora il mondo non avesse più segreti per lei, e non si chiese neppure per quanto una tale magnifica sensazione potesse durare. Lei stava bene. E non avrebbe mai voluto essere altrove. Nel vederla così raggiante, il giovane, come fosse incapace di rispondere delle proprie azioni, si morse lievemente il labbro inferiore, imprimendo involontariamente quel sorriso luminoso nella sua mente. Ignorava perché quella ragazza fosse lì, con lui, nello stesso posto e alla stessa ora del giorno precedente, ma certamente non era dispiacere né fastidio quella strana sensazione che avvertì quando poco prima la vide raggiungere, a passo spedito e con la testa tra le nuvole, quelle stesse strisce che lui si apprestava ad attraversare. Quella ragazza gli infondeva una strana allegria, un particolare senso di serenità. D'altro canto, incontri così piacevoli certamente lui non ne aveva mai avuti. "Dunque" parlò poi rompendo il silenzio, indossando con la mano destra i soliti occhiali da sole mentre con la sinistra cercava di tenere a bada il cane gli si strusciava tra le gambe, "vivi in zona?". Agnese schiuse leggermente le labbra incapace di rispondere, troppo incuriosita da come quel tipo fosse sempre così fuggiasco. Lo osservò sistemare un ciuffo lungo e ribelle dietro l'orecchio, sfuggito al codino ordinato dei suoi capelli visibilmente morbidi e puliti, nascosti ancora una volta dal cappuccio della felpa. Sapeva perfettamente dove il tipo stava andando a parare, e lei non era in grado di rispondere. Tutto il giorno ad architettare l'incontro senza neppure pensare ad una scusa, la ragazza si sarebbe fustigata. Di mentire non era in grado, perciò decise di optare per la verità, sperando che il ragazzo si potesse accontentare di poche spiegazioni. "No" rispose dunque con finta tranquillità, accennando un sorriso gentile, "in verità no". Il castano, che aveva lo sguardo rivolto verso il suo amico dal manto dorato, spostò con uno scatto lo sguardo sul volto dalla pelle chiara e decorata da graziose lentiggini di lei, alzando lievemente un sopracciglio. Un semplice "ah" gli sfuggì dalle labbra mentre scrutava con attenzione ogni espressione di quel viso difronte a sé, e come se fosse stato in grado di leggere nei pensieri di quella ragazza, sollevò l'angolo sinistro delle labbra in un sorriso scaltro. "E allora cosa ci fai sempre qui?" tentò nuovamente, sporgendosi lievemente verso di lei senza mai privarsi di quell'espressione divertita, a tratti canzonatoria. Agnese scattò subito sulla difensiva, sbatté d'istinto qualche volta le sue lunghe e folte ciglia mentre le labbra si schiudevano senza che da esse uscisse alcun suono. Con le braccia aperte pronte a gesticolare, tentò di sviare il discorso. "Beh, sempre" iniziò a dire sottolineando l'avverbio, portando il busto leggermente in avanti, poi lasciò che il peso del suo corpo gravasse sulla gamba destra, e prima che potesse continuare il discorso le sue mani già disegnavano nervosamente in aria figure indefinite, "sempre è un concetto un po' troppo grande se inserito in questo contesto, non credi?" concluse poi portandosi le mani sui fianchi, assumendo fintamente un'espressione seria in volto. Il castano piegò leggermente la testa sul lato sinistro mentre si mordeva con fermezza il labbro inferiore per soffocare una risata. Che la ragazza stesse cercando specchi sui cui arrampicarsi gli era oramai palese, ma la determinazione e la simpatia con cui prontamente tentava di nasconderlo la rendevano così comica che il giovane non riusciva ad essere che lieto di essersi nuovamente imbattuto in lei. "E comunque" riprese lei il discorso, "ieri ero qui per comprare dei libri per l'università" spiegò infine prima di unire le sue mani accarezzandosi nervosamente le nocche appena arrossate. "E oggi perché sei qui?" si sentì poi chiedere subito dopo. Agnese sbarrò gli occhi. In quel momento, se avesse potuto, avrebbe scavato una fossa lì, vicino a quel semaforo, tutta per lei. Cercando di aggirare l'ostacolo si era tirata la zappa sui piedi da sola, come un guidatore che, invece di sterzare per evitare un impatto violento con un muro, decidesse di spingere maggiormente il piede sull'acceleratore causando egli stesso l'incidente in cui sarebbe incorso. Percepì la temperatura del suo corpo crescere notevolmente e tutto il calore concentrarsi in viso, mentre il cuore iniziò a batterle con voracità nel petto. Se da un lato il giovane fosse divertito nel vederla avvampare di colpo, totalmente incapace di inventare una scusa plausibile, dall'altro, vedendola ciondolare sui talloni mentre si pizzicava il dorso delle mani, probabilmente cercando di recuperare un barlume di ragione per dire qualche parola, si rimproverò per averla messa in una situazione tanto imbarazzante. Portandosi il solito ciuffo ribelle ancora una volta dietro l'orecchio, così, il castano cancellò quel suo sorriso beffardo cercando in qualche modo di rassicurare la ragazza che, nel panico più totale, non ebbe neppure il coraggio di guardarlo negli occhi. "Immagino tu sia venuta per acquistare, ehm-" tentò di improvvisare suggerendo lui stesso una scusa, "un altro libro per l'università, magari" accennò sfiorando nervosamente il labbro inferiore, trattenendolo tra il pollice e l'indice della sua mano sinistra. Alla ragazza si illuminarono gli occhi. Non comprese se le sue intenzioni fossero in verità state scoperte, ma certamente non avrebbe lasciato sfuggire quella scusa per cercare di rimediare al danno. "Sì" esclamò serenamente alzando appena il tono della voce, come avesse avuto un'illuminazione, "è esattamente così!" continuò poi con una falsa sincerità che quasi poteva sembrare tutto fuorché una bugia, "ma non l'ho trovato" concluse poi allargando le braccia assumendo un'espressione dispiaciuta. Il ragazzo si sentì sollevato nel vederla riprendere il suo naturale colorito, e scuotendo lievemente il capo spostò lo sguardo verso l'altro lato della strada, in attesa che il semaforo diventasse verde. "E magari domani tornerai" si lasciò poi sfuggire da quelle sue labbra morbide e carnose al punto giusto, dando voce ai suoi pensieri, "per vedere se sarà arrivato il libro, intendo". Agnese non si mosse. Cosa avrebbe fatto il giorno dopo? Non lo sapeva, ma certamente non avrebbe voluto rivivere lo stesso imbarazzo. Magari da lì a qualche minuto lui l'avrebbe invitata a uscire, a prendere un caffè o ad accompagnarlo in una passeggiata con il suo splendido cane, e in tal caso non sarebbe stato necessario mettere in scena una nuova recita. O magari lui l'avrebbe semplicemente ignorata, e conscia del disinteresse del giovane nei suoi confronti, sarebbe rimasta a casa a portarsi avanti con lo studio di quei grandi manuali su cui avrebbe dovuto sostenere difficoltosi esami tra poco più di un mese. In ogni caso, non sarebbe stato necessario tornare, così tutto ciò che fece fu scrollare le spalle. "Non so" aggiunse poi, "magari lo ordinerò su internet". Il ragazzo annuì. Il semaforo avrebbe mutato colore di lì a poco, e Agnese non poteva permettere che quell'incontro potesse essere vanificato. Così, cercando di farsi coraggio, tentò di improvvisare un qualcosa che potesse tenere viva la conversazione. "E tu?" riuscì finalmente a chiedergli, "tu abiti in zona?". Il castano spostò nuovamente lo sguardo su di lei, mentre il cane continuava imperterrito a tirare il guinzaglio, e accennando l'ennesimo sorriso non si fece problemi nell'iterare le medesime risponde della giovane. "No" rispose sincero, citandola, "in verità no". E prima che lei potesse aggiungere altro, chinatosi verso il suo Golden Retriever intimandolo a starsene buono senza disturbare i passanti, aggiunse un vago "avevo delle faccende da sbrigare". In quel momento la ragazza apprese come si dovesse sviare un discorso senza condannarsi con le proprie parole, e annuendo lievemente pensò che forse quello strano interesse che nutriva nei confronti di quel ragazzo fuggiasco e stranamente affascinate non era ricambiato. Un velo di delusione le oscurò gli occhi per pochi istanti, e tutta quella felicità che la contraddistingueva in un attimo volò via. Sono una stupida, pensò di sé. Agnese non poté evitare di rimproverarsi per milionesima volta nell'arco di quella giornata, si promise che non avrebbe più prestato ascolto alle sue amiche. Non era una spigliata con i ragazzi, non ci sapeva fare, l'incontro di quel giorno lo aveva ampiamente dimostrato e certamente non sarebbe stato il comportarsi secondo suggerimenti altrui che l'avrebbe aiutata a concludere qualcosa. Concludere che cosa, poi? Che cosa voleva effettivamente da quel ragazzo? Lei per prima sapeva che non sarebbe mai accaduto nulla, e che lei stessa probabilmente non avrebbe voluto nulla. Uscita da una relazione tossica, l'unica della sua vita, con un ragazzo che con ogni probabilità non l'aveva mai amata, lei non sapeva neppure cosa significasse provare un vero sentimento, non sapeva neppure cosa significasse realmente amare, ma in cuor suo sapeva che tutto ciò che voleva era potersi beare un'altra volta di quegli occhi magnetici che sembravano seguirla ovunque, e un'altra volta ancora, e ancora, e ancora. Non si sarebbe stancata. Ma lei, con timore degli errori del passato, abituata a rinnegare tutto, fingeva di non sapere cosa tutto questo significasse. Il semaforo divenne verde, e più per gentilezza che per riaccendere la conversazione, prima che le sue gambe potessero fuggire via autonomamente, la riccia gli rivolse un ultimo saluto. "Beh" iniziò a parlare timidamente, "allora ciao". Chinatosi ad accarezzare il suo cane, il ragazzo col cappuccio non si rese neppure conto della decina di persone che frettolosamente si riversarono in strada, e solo quando udì quel saluto quasi sussurrato rialzò finalmente gli occhi su quella ragazza che aveva già avviato il passo per allontanarsi da lì. Uno strano vuoto lo avvolse tutt'intorno, e fu allora, solo allora, che una voce si fece largo nei meandri della sua anima, e prima che la mente potesse suggerirgli di fare qualcosa, il cuore gli aveva già ordinato di non lasciarla andare. "Aspetta!" si sentì richiamare Agnese da quella voce armoniosa alle sue spalle. I suoi piedi si piantarono immediatamente sull'asfalto quando quella voce la raggiunse. Per un attimo la ragazza avvertì il cuore saltare via dal petto. In preda allo stupore, faticò persino nel comandare al suo corpo di voltarsi, e sicura del fatto di essere arrossita violentemente, tentò di nascondere la sua felicità tra i lunghi ricci che le ricadevano ai lati delle sue guance magre, mordendosi leggermente il labbro inferiore per soffocare un timido, luminoso sorriso che invano cercava di farsi spazio sulla sua bocca rosea. "Abbiamo ancora qualche secondo a disposizione prima di salutarci" le disse lui raggiungendola, "almeno attraversiamo insieme". Agnese sollevò un sopracciglio per poi assumere una strana, indecifrabile, simpatica espressione sul volto. Wow, si ritrovò a pensare, questa sì che è una proposta romantica. Ma certamente non le dispiacque. Qualsiasi cosa le sarebbe andata bene pur di trascorrere qualche minuto in più in compagnia di quel giovane, e prima che potesse riflettere su quanto stava accadendo, la voce calda e curiosa di lui catturò la sua attenzione. "Non sei inglese" le disse, "vero?". A quella che sembrava essere più un'affermazione che una domanda, Agnese annuì, felice del fatto che finalmente il castano stesse dimostrando di apprezzare a proprio modo la sua presenza. "Sono italiana" spiegò lei con un certo orgoglio nel tono della sua voce, "di Roma, precisamente" specificò. Il ragazzo si voltò a guardarla per un istante prima di riportare l'attenzione sul suo amico a quattro zampe che, con una notevole forza, continuava a strattonare il guinzaglio. "Sono stato a Roma, una volta" rispose lui con un certo entusiasmo negli occhi, "ma non ho potuto visitarla bene, purtroppo" spiegò con una punta di delusione a quel ricordo. Gli sarebbe davvero piaciuto tornare nella città eterna per poter girovagare per quelle vie ricche di storia, ricche di vita, e magari raggiungere un punto in alto per poter vedere il Cupolone dominare tutto il panorama in una notte serena e piena di stelle. Agnese, invece, per la prima volta sembrò ignorare le parole del ragazzo che le camminava di fianco, troppo impegnata con la sua mente ad immaginare la sua casa. Per un attimo le sembrò di vedere le grandi cupole che dominavano l'intera città, le grandi statue delle fontane che le davano sollievo nei giorni più caldi e la maestosità del Colosseo l'accoglieva tutte le volte che decideva di dedicarsi ad una passeggiata sotto il cielo arancione del tramonto. "Io non vorrei mai vivere in altri posti" confessò lei con un bagliore negli occhi, come se quelle parole fossero un peso da togliere, "sono nata e cresciuta lì, forse è per questo che ne sono innamorata" spiegò poi, "ma ovunque io sia penso sempre a quella città". Assorta nei ricordi, Agnese sentì il suo corpo urtare contro un qualcosa di fronte a sé. Un qualcosa di caldo, morbido e accogliente. Un petto ampio che al tatto sembrò essere muscoloso al punto giusto, fasciato da una felpa grigia che lo calzava a pennello. Fu solo allora che la ragazza si rese conto di aver raggiunto l'altro lato della strada, e che il castano la guardava intensamente, dall'alto della sua statura, da dietro le lenti scure dei suoi occhiali da sole, celando così quello sguardo profondo e stranamente indecifrabile che la riccia sentiva bruciare su di sé. Probabilmente non avrebbe mai saputo in che modo quegli occhi magnetici la stessero scrutando, ma certamente avrebbe ricordato la sensazione che provò quando il profumo inebriante di lui la avvolse come in un abbraccio. La voce bassa del giovane echeggiò all'improvviso nella sua mente, mentre lei non poteva far altro che lasciare i suoi stessi occhi guizzare dagli occhiali alle labbra e dalle labbra agli occhiali di lui. "Dunque presto te ne andrai?" le chiese finalmente in un sussurro. Come se il tempo si fosse fermato, la giovane non seppe né cosa dire tanto meno cosa fare, e la pressione di quelle sensazioni la portò ben presto ad abbassare lo sguardo prima di poter indietreggiare di due o tre passi, prendendo distanza da quel corpo caldo che avrebbe invece voluto stringere. Poi, raccogliendo un po' di forza, improvvisò un sorriso titubante scrollando le spalle in tutta risposta. "Per ora non posso andare da nessuna parte" esordì non sapendo cosa risponde di preciso, "ma magari un giorno troverò un motivo per restare". Agnese sussurrò quelle ultime parole con un tono speranzoso, rivolgendole forse più a se stessa che al ragazzo di fronte a sé che invece, con un sorriso sincero, tentò di rassicurare la sua evidente confusione. "Beh" le sorrise poi il ragazzo allargando leggermente le braccia, "ti auguro che il cuore sappia indicarti la strada verso la tua casa felice allora". La riccia si sentì allietata da quell'augurio che percepì in tutta la sua genuinità. Attimi indefiniti trascorsero mentre quei due erano impegnati a sorridersi reciprocamente, quando d'improvviso il volto del castano impallidì alla vista del suo grande cane dal manto dorato alzarsi su due zampe e saltare contro il corpo esile della biondina dalle mille lentiggini. Agnese tuttavia non si spaventò, lei amava i cani, e avendo percepito con anticipo le intenzioni del suo nuovo amico a quattro zampe era già pronta ad accoglierlo tra le sue braccia. "Da bravo" tentò di tirarlo via il padrone, "sta' giù!". La riccia, al contrario, rise di cuore mentre quell'animale peloso tentava invano di leccarla in viso. Con una certa abitudine portò poi le mani dietro le sue orecchie morbide, accarezzandole con la massima delicatezza. "Non preoccuparti" si affrettò a dire, "non mi dispiace affatto". Il castano non poté fare a meno di sorridere nell'assistere a quella scena tanto dolce, addirittura dovette trattenere una risata quando notò che il suo fido, in piedi su due zampe fosse tanto grande, tanto alto quasi quanto la romana intenta a pronunciare parole sconnesse per allietare il cucciolo così come si è soliti fare per intrattenere bambini di pochi mesi. "Si può sapere tu come ti chiami?" la sentì dire all'animale. Il castano si tolse finalmente gli occhiali da sole, tenendoli con cura nella sua mano sinistra. "Albert" rispose lui prontamente, "e ti chiedo per favore di non giudicare questo nome" concluse poi ridendo, conscio del fatto che non fosse un nome propriamente adatto ad un cucciolo. La riccia piegò la testa di lato, assumendo in volto un'espressione dubbiosa. Effettivamente era un nome insolito, ma considerando che i suoi due gatti si chiamavano Dante e Virgilio certamente non sarebbe stata lei a fargli la predica. Dopodiché, comprendendo che forse non avrebbe avuto altre occasioni per farlo, si fece un po' di coraggio prima di parlare di nuovo. "E tu?" chiese al giovane assumendo un tono estremamente di dolce, quasi melodioso, "tu come ti chiami?". All'udire di quella domanda, il castano rabbrividì per un istante. Una strana ansia pervase il suo corpo dalla punta delle dita fino a quelle dei capelli, e le sue labbra si schiusero manifestando una certa sorpresa. Esitò prima di dire una qualsiasi cosa. Non era pronto a questo. Guardandosi attorno per un attimo, si affrettò ad indossare nuovamente i suoi fidati occhiali da sole sotto lo sguardo innocente della riccia che ignara di tutto continuava ad accarezzare Albert, quel magnifico Golden Retriever. "Jonathan" rispose finalmente in un sorriso, cercando di nascondere tutta la sua incertezza, "mi chiamo Jonathan" ripeté nuovamente, più per se stesso che per altro, come a voler marcare la veridicità della sua risposta, come a voler ricordare a se stesso la sua identità. La ragazza arrossì lievemente prima di portarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "È un piacere conoscerti" rispose in tutta la sua genuinità, emanando una sincerità e una purezza disarmanti, "io sono Agnese".

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