Capitolo III

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Riuscì a mettere qualcosa sotto i denti per colazione. Sgranocchiò qualche galletta con del thè (tanto per variare).
"Buongiorno Leo!"
Bevve un altro sorso.
-Buon giorno... Come dovrei chiamarti? Forse, voce nella mia testa?-
"Che immaginazione... Puoi chiamarmi come ti pare."
-Ma sei maschio o femmina?-
"Femmina furbacchione..."
-Non mi dirai il tuo nome, o sbaglio?-
"Cosa cambierebbe? Non sei nemmeno sicuro che io esista... Basterà che continui ad ascoltarmi."
Non avrebbe mancato di farlo.
Questa volta il receptionist arrivò e gli fece un cenno distratto: sembrava imbronciato ma nascondeva la cosa fingendosi occupato a leggere un manuale di botanica. Leonard si chiese se prima o poi si sarebbero presentati decentemente... Probabilmente nessuno dei due si sarebbe mai spinto oltre un saluto schivo e qualche occhiata breve.
Salutò i ragazzi, dopodiché tutti quanti andarono in spiaggia. Fecero nuovamente dei giochi con il pallone e per un po' la giornata proseguì da sola, simile per molti versi alla precedente.
Passarono altri due giorni durante i quali una vaga routine andò delineandosi.
Sonno profondo, senza altri sogni; uscita di mattina presto; impaccio; conversazioni vuote al punto giusto; imbarazzo; spiaggia; noia; osservazioni; giochi; noia; risate; sguardi imbarazzati; noia; barzellette e storie; banalità e noia. Tutto sommato quel loop poteva dirsi rassicurante.
Bastava affrontarlo con la giusta predisposizione d'animo.
Tenendo questo a mente decise cambiare itinerario almeno ogni due giorni.
La mattina seguente lui ed i ragazzi si riunirono presso una piccola, ma accogliente, terrazza sul tetto dell'Impression e fecero colazione insieme, per poi dirigersi verso il "Giardino delle meraviglie".
Si trattava di un lembo di terra agghindato con piante di ogni qualità e dai colori sgargianti, che creavano un esplosione di tinte molto suggestiva.
Un giardino in stile giapponese insomma. Soddisfatto dalla mite accoglienza di quel piccolo ambiente, Leonard si sedette su di una panchina all'ombra di una magnolia. Osservò i ragazzi scatenarsi, correndo e ridendo a crepapelle. Si mise più comodo e chiuse gli occhi. Da dove gli arrivava tutta quell'energia?
-Da un corpo e da un metabolismo più forti...- Ovviamente.
<<Da una minor dose di svogliataggine e seghe mentali...>>
<<Io sono fatto così. Ti piacerei se fossi differente?>>
<<Non saprei.>>
La voce non proveniva dalla sua testa... Non adesso. Era roca, mascherata.
Si guardò intorno con foga ma non c'era nessuno nelle vicinanze... I ragazzi si erano sparpagliati.
Due mani, piccole ed esili, gli coprirono gli occhi. Lui le coprì con le sue. Un acidulo odore di sudore gli giunse alle narici.
<<Sei reale?>>
<<Purtroppo sì.>>
<<Perché... Come fai a...>>
<<Prendilo come una sorta di potere. Ascolta: non servirà a nulla che io e te ci vediamo. Non dobbiamo conoscerci per forza e nemmeno capirci.>>
<<Perché?>>
<<Porto grane.>>
<<Dimmi almeno qual è il tuo nome... Per favore.>>
<<Sofia. Me lo sono dato io.>>
<<Sei piccola.>>
<<Già.>>
Lei girò attorno alla panchina, ma Leonard tenne gli occhi chiusi. Un respiro leggero e tiepido gli sfiorò il mento sbarbato, ormai ruvido.
Sentiva su di sé l'incombenza di quella presenza, persino ora. La temeva.
-Cosa sono io per te?- Pensò, cercando di imprimere nella domanda parte del suo... Risentimento? Che altro... Curiosità.
Non la sentì allontanarsi.
<<Fai un po' pena come animatore, sai?>> esclamò qualcuno, a pochi metri da lui.
Leonard alzò la testa e vide la ragazza attraente con l'eterocromia. Aveva un espressione seria e severa in volto e puntava il suo sguardo glaciale verso di lui. Sembrava infastidita, nonostante mantenesse un portamento rilassato e sciolto. Era piacevole da guardare. Non solo quello: nemmeno il fisico passava inosservato. Per essere precisi oltre che alta (lo superava di qualche centimetro); era muscolosa visibilmente, ma senza esagerazioni; magra ma non troppo e comunque ben dotata nelle curve, incorniciate da una maglietta smanicata e leggermente aderente e dai pantaloni di jeans. Il suo viso presentava tratti molto netti e marcati: zigomi lineari, un naso un po' arcuato ma sottile, labbra rosee, carnose ed ampie al punto giusto... Senza dimenticare gli occhi. Davano il tocco finale a quella donna che pareva rispecchiare l'idea di forza e di fierezza, almeno quanto una valchiria. Non in pochi dovevano aver sbavato dietro a quei tratti.
Sotto molti aspetti poteva definirsi bella. Leonard lo capiva benissimo e nonostante non rispecchiasse i suoi gusti estetici, non negava di...
<<Scusa ma che hai? Te sei incantato?>> domandò lei, con una voce grave e perplessa la quale tradiva un lieve accento romano.
<<Stavo riflettendo... Perdonami.>>
Un lampo di cupezza attraversò quello sguardo, turbandolo leggermente.
<<Ci conosciamo per caso?>> gli chiese lei secca, questa volta con un italiano spoglio di qualsiasi cadenza.
<<Non mi sembra proprio, perché lo chiedi?>>
<<Mi sta dando del tu.>>
<<Hai parlato per prima dandomi del tu... Mi sono solo adeguato.>> si sentiva lui un po' scocciato, adesso.
Lei ci pensò su, senza distogliere lo sguardo, facendo scrocchiare le dita.
<<In effetti... Chiedo scusa. A parte questo, non dovrebbe intrattenere i ragazzi?>> mentre parlava si rilassò nuovamente.
<<S'intrattengono tanto bene così...>> disse provando ad assumere una certa aria di complicità. Non funzionò: la ragazza rimase imperterrita.
<<Mi chiedo per cosa sia pagato lei, in tal caso.>>
Non aveva senso discutere: era inequivocabilmente nel torto.
Come approccio iniziale non era stato un successo: rimproverato come un bambino...
Si alzò con rassegnazione e decise di fare un giro per vedere cosa stessero facendo i membri del gruppo (e soprattutto per evitare di essere rimproverato ulteriormente).
Prima che potesse fare un passo lei gli porse la mano:<<Visto che ormai ci siamo parlati, mi presento: mi chiamo Letizia Volta, lieta di conoscerti.>> pronunciò la formula di presentazione con tono cordiale e nemmeno troppo meccanico.
<< Leonard La Reine, piacere>> che cavolo di stretta potente! Cercò di rispondere con altrettanta forza e sicurezza, ma non fu molto soddisfatto del risultato.
<<Scusa, si pronuncia... La Renn? No... Ren? Oppure la enne è muta?>>
Leonardo fece spallucce, poi rispose vagamente:<<Tutti la pronunciano come vogliono. Perciò...>>
Per nulla soddisfatta Letizia sospirò sbottando:<<Io non sono "tutti".>>
Sostenendo lo sguardo, nonostante il disagio, il ragazzo precisò in fretta:<<La enne si pronuncia. Ren.>>
<<Nome inglese e cognome francese.>> Ella lo sorprese sorridendo leggermente, soddisfatta. Se ne andò con un <<Vabbè, a dopo>>, sparendo tra i giovani arboscelli che facevano capolino dalle aiuole. Leonard fece lo stesso, ma muovendosi dalla parte opposta, fino a raggiungere la sponda di un torrentello artificiale di ottima fattura, sul quale si affacciava un vecchio salice piangente: gli piacque il senso di solitudine che ispirava.
Vide due ragazzini seduti a terra in prossimità della sponda del piccolo corso d'acqua. Giocavano, modellando l'argilla fresca, totalmente assorti nelle loro creazioni.
Se non ricordava male erano due irlandesi o almeno così aveva dedotto dal loro accento. Li salutò animatamente e loro riposero agitando timidamente le braccia. Chiese ai due di dirigersi verso l'entrata del parco ed aspettarlo là, in attesa che il gruppo si radunasse. Li lasciò ai loro giochi e riprese a cercare gli altri. S'imbatté in una coppietta sdolcinata che ridacchiava su un ponticello di legno: non li disturbò più del dovuto; poi trovò Francisco (detto Cisco), un tredicenne sufficientemente maturo ma gracile, trasandato (il tipetto pallido del primo giorno) e secondo uno schema classico e radicalmente diffuso, oggetto di scherno e bullismo. Il ragazzetto si era messo subito al suo seguito dimostrandogli approvazione (contraccambiata da Leo). I due camminarono per qualche minuto, parlando amichevolmente di scuola. Non solo, andavano d'accordo su molti altri argomenti: l'amore per la quiete e per le piante per fare un esempio. D'un tratto furono entrambi sommersi da una piccola cascata di foglie di betulla: sentirono un imprecazione provenire dall'alto e pochi secondi dopo qualcuno saltò giù da un ramo.
Leo la salutò con la mano, mentre il piccoletto si nascose leggermente alle sue spalle. La ragazzina concesse ad entrambi un mezzo sorriso, poi aggiunse un:<<Ciao Franci>> roco, prima di girarsi e correre via.
<<Ahem... Non pensar male per piacere. Dalia non è molto socievole, ma sa essere simpatica... Quando vuole.>> buttò lì Francisco, dopo che se ne fu andata. Sembrava perplesso.
<<Sono uno dei pochi a cui rivolge la parola quando non è arrabbiata, sia a scuola che... Beh, ovunque. Lei di solito sale su gli alberi per stare da sola: io non ci provo neanche, sennò mi faccio male.>> Leo avrebbe preferito cambiare discorso ma l'altro continuò:<<Una volta una professoressa ci ha chiamati... Non mi ricordo bene, assoli, o qual cosa di simile. Tu sai che significa?>>
Si morse leggermente l'interno della guancia e scosse la testa, prendendo nel mentre a pizzicarsi il palmo della mano sinistra, senza pensarci. Non se ne accorgeva sempre. Cisco invece parve notarlo e per un po' tacque, temendo di aver detto qualcosa di inappropriato.

Pesci fuor d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora