Capitolo 4. Punteggio

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Si svegliò di colpo.

Aveva sognato ancora la Torre di Astronomia. La vista di quel momento, i suoni e gli odori l'avevano plagiato senza pietà; così vividi. Perfino il suo subconscio sembrava voler riempire la sua testa con quell'insopprimibile ricordo; gironzolava nel suo cervello mentre dormiva, così la scena si ripeteva infinite volte nel sonno. Venivano e andavano tutte le sere, alcuni più forti di altri. Incubi. Che lo tormentavano. Che gli ricordavano ciò che aveva fatto.

Fallimento.

Fallimento.

Fallimento.

Draco soffocò uno sbadiglio con la faccia immersa in un cuscino molto più grande della sua testa e si rigirò nel letto, cercando di evitare che un tenace spiraglio di sole mattutino lo colpisse in pieno viso. Il sole autunnale era caldo e irritante e non poteva sopportarlo. Era troppo sgargiante e ingannevole; faceva credere a degli idioti senza speranza che bastasse solo un po' di luce per non pensare che fuori si moriva di freddo. Ben presto, cominciò a sentire il tepore che accarezzava la sua pelle e spostò via le lenzuola per scendere dal letto.

Si infilò di malavoglia uno dei maglioni che gli erano stati dati, per combattere un improvviso brivido di freddo, aggiustandolo sopra i suoi boxer e le sue gambe gelide. Magari la McGranitt gli avesse dato un vero pigiama, così avrebbe potuto evitare questi stupidi attacchi di ipotermia. Diede un'occhiata fuori dalla finestra, ma tutto ciò che riusciva a vedere erano le tegole del tetto e una striscia di cielo che era completamente inguardabile a causa del sole. A cosa diavolo serviva una finestra se non c'era neanche una vista decente? Stupidi Grifondoro.

Si rese conto di quanto fosse silenzioso tutto intorno, e la calma gli riempì le orecchie, cancellando persino il cinguettio estasiato degli uccelli. Alzò un sopracciglio, confuso, rendendosi conto che qualcosa nella sua mente gli diceva che si era già svegliato una volta stamattina. Sempre se quella mattina non era già passata.

Sì, si era già definitivamente svegliato. Poteva sentire i suoi neuroni che lavoravano per riprendere quel ricordo. Era stata ancora la Mezzosangue a svegliarlo, con la sua fottuta doccia e i suoi movimenti impacciati. Si ricordò di aver borbottato una lista infinita di insulti e parolacce tenendo il viso immerso nel materasso mentre ascoltava i suoi movimenti goffi, e di aver quasi rischiato di marciare dentro al bagno con intenzioni davvero pericolose. Ma poi, una porta si era chiusa e i suoni erano scomparsi.

Se n'era andata. Grazie al cazzo.

A quel punto il calore dei cuscini e delle coperte l'aveva riaccolto nel limbo. Anzi, negli incubi.

Dopo aver lasciato il letto, scivolò fuori dalla stanza alla ricerca di qualcosa da fare, o qualcosa da mangiare. Si servì con un bicchiere di latte e un po' di cereali che doveva aver lasciato fuori la Granger, prendendosi un appunto mentale; aveva davvero bisogno di imparare qualche abilità culinaria senza la bacchetta se desiderava mangiare un pasto caldo. Chiedere alla Granger era assolutamente fuori discussione.

Si versò un'altra dose di latte nel bicchiere mentre gli occhi gli caddero sull'orologio, e per poco non sputava tutto il latte sul pavimento. Non era affatto mattina; nemmeno colazione. Erano quasi le tre del pomeriggio! Questa era la prova ufficiale che qualsiasi senso dell'orario si era perso assieme alla sua bacchetta. E insieme al suo orgoglio.

Cercò con lo sguardo la porta principale, e anche se sapeva che sarebbe stato inevitabilmente inutile, mise giù il bicchiere e decise che ci avrebbe provato comunque. Nell'esatto secondo in cui le sue dita afferrarono la maniglia, una tremenda carica elettrica lo colpì in pieno, facendosi strada attraverso il braccio. Scintille di ogni colore spruzzarono fuori dalla porta, viaggiando tra le sue vene come fiamme ardenti.

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