Capitolo VII

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Il mattino seguente Lars si svegliò all'alba. Isabella dormiva ancora profondamente, ma il giovane sapeva di doverla riportare nella sua cella il prima possibile. La Signora sarebbe passata tra qualche ora per il suo solito iter: controllare le ragazze, riunirle nel salone e vegliarle. 

Con il dorso della mano il norvegese sfiorò il volto della ragazza sussurrandole parole gentili per invitarla a destarsi dal sonno. Appena Bel dischiuse gli occhi le guance le si tinsero di un tenero color porpora; non aveva mai dormito con un uomo, tanto meno con un estraneo. Il silenzio imbarazzante, che si era creato tra i due in quel frangente, venne spezzato dalla voce di Lars <Devi alzarti, dobbiamo andare>. Maria Isabella annuì anche se nel profondo desiderò contraddirlo, voleva restare su quel comodo materasso ancora qualche ora. Si sentiva quasi una persona normale, non una vittima.  

Senza proferire parola i due si incamminarono verso le prigioni. Lars, mentre avanzava, si guardava intorno con cautela e circospezione. Non voleva essere visto dalle guardie, dalle altre ragazze, dalla Signora e men che meno dal Padrone. Inevitabilmente si ricordò di quando Habib, uno degli altri sicari,  ebbe il coraggio di disobbedire alle regole. L'uomo aveva posseduto una delle donne destinate alla vendita. Era stato anche così stolto da farsi cogliere in flagrante. Inutile dire che il Padrone lo freddò con un colpo di rivoltella alla fronte e diede fuoco alla salma nel cortile principale. Davanti agli occhi di tutti gli altri mercenari il corpo privo di vita di Habib bruciò. Le fiamme divorarono ogni brandello di carne creando uno spettacolo esemplare, un severo monito per eventuali altri trasgressori. 

Per buona sorte nessuno li notò nei corridoi. Lars rinchiuse Maria Isabella per recarsi subito dalla Signora. Fu costretto ad avvisarla delle fasciature. Le bende non sarebbero passate inosservate allo sguardo attento di quell'austera donna. La Signora domandò scocciata come mai non fosse stata avvisata e perchè il nome della reclusa non risultasse nell'elenco dell'infermeria. Lars fu abile nel giustificarsi. Sostenne, con tono svilente, che sarebbe stata solo una una perdita di tempo portarla là per due graffi. Per non suscitare sospetti evitò di andare a trovare Bel. Resistette alla tentazione di passare, anche solo di sfuggita, davanti alla porta della cella per accertarsi delle condizioni della giovane. Solamente quando furono le sette di sera approfittò della consegna della cena per recarsi da lei. 

<Penso che questo ti piacerà> attirò l'attenzione di Isabella su un fumante piatto di tagliatelle al pesto di basilico.In realtà il pasto era destinato al ragazzo, ma Lars sapeva perfettamente che la ragazza non avrebbe retto un'altra volta il brodino privo di sapore che la Signora aveva fatto preparare. <Ti ho portato anche un antinfiammatorio per le mani> sventolò il blister di medicinali. 

Maria Isabella assaporò ogni boccone come se fosse l'ultimo. Si stava abituando a tutta quella premura da parte di Lars, tanto da non volere che si allontanasse. <Grazie> disse appoggiando a terra la stoviglia vuota <anche stasera sei stato gentile> accennò un sorriso. L'espressione che aveva assunto le vivacizzava il volto e in quel momento Lars percepì una sensazione di vuoto e formicolio allo stomaco. Desiderava sentire la pelle di lei sulla sua. Con la scusa di controllare i bendaggi, le accarezzò le dita e si godette quel tenue contatto.

<Va molto meglio. Dove hai imparato a curare le ferite?> gli chiese ingenuamente Isabella, non aveva idea nemmeno lei del perché di quella domanda. Sapeva soltanto di voler fare conversazione con una persona che avesse dimostrato un po' di compassione. Lo sguardo profondo del norvegese si fissò in quello della ragazza per qualche secondo prima di rispondere alla domanda. Scelse accuratamente i termini per esprimersi <Ho affrontato diversi "incidenti"- mimò le virgolette - nel mio lavoro si impara anche questo>. Maria Isabella non riuscì a trattenere la curiosità: <Che genere di incidenti?>. Lars intrecciò le braccia al petto. Bel intuì la reazione di disagio perciò intervenne, tentando di proseguire il discorso <La mia inquilina studia psicologia e una volta mi ha raccontato che incrociare le braccia al petto è sinonimo di chiusura. Non volevo farti una domanda scomoda>. Il ragazzo osservò prima la propria posizione, appena criticata dalla giovane, poi scrutò meglio quest'ultima. <Se non voglio rispondere è perché, poi, non vorrai più che io mi avvicini>. Il timbro della voce si era fatto amaro e ostico, ma Isabella aveva la risposta pronta. <Credo che dopo avermi messa qui dentro - indicò con l'indice le pareti di pietra - vista nuda nei bagni e minacciata con un pugno serrato possiamo saltare questi convenevoli> elencò i fatti cronologicamente. <Se ti avessi voluto allontanare, ci avrei già provato. Con questo non sto dicendo di non avere paura, tutto il contrario>. Lars era veramente spiazzato dalla replica della giovane. <Hai un bel caratterino. Ora è tardi, magari domani, con il prossimo pasto, ti racconterò quegli episodi> rispose solamente, colpito dalla schiettezza della ragazza. 

Isabella si sentì confortata da quella frase, anche quando il giovane l'abbandonò, lasciandola nuovamente sola nella cella. Delle nuove emozioni stavano nascendo in lei. Con il rapimento nel suo mondo era calato il caos; l'unico in grado di rimettere ordine in quella confusione mentale pareva essere la presenza statuaria del suo carceriere. 

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