Capitolo 9

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Uscì dalla biblioteca a passo svelto, nella speranza che la ragazza non lo seguisse, anche se in realtà era più un desiderio che una speranza, che però non si verificò.
Si stava dirigendo inconsapevolmente verso il suo dormitorio quando si fermò, ricordandosi che volesse partecipare almeno a Pozioni. Se ci fosse andato avrebbe dovuto sostenere per un'intera ora il probabile sguardo interrogativo della Granger, poiché la lezione era con i Grifondoro, e questo proprio non avrebbe avuto la forza di affrontarlo. Dopo vari secondi decise di ritornare nel suo dormitorio e di presentarsi al massimo a cena.
Ricominciò ad incamminarsi verso i sotterranei e in men che non si dica si ritrovò nella sala comune dei Serpeverde. Senza badare molto agli sguardi dei ragazzi del primo anno, che probabilmente stavano facendo una pausa tra una lezione e l'altra, salì le scale a chiocchiola che portavano ai dormitori maschili ed entrò, senza minimamente pensare a dover bussare. Fortunatamente in camera non c'era nessuno, probabilmente perché entrambi i suoi compagni di stanza erano a lezione in quel momento, ma in ogni caso non ci pensò molto su.
Era stanco, stanco di sentirsi debole e vuoto...
Si sedette sul suo letto e si guardò attorno, senza vedere veramente la stanza e senza sentire veramente qualcosa. Era lì, come se non fosse nemmeno vivo, a fissare una parete della camera. Non sentiva assolutamente nulla ed era questo che lo spaventava e intimoriva oltre ogni cosa: il fatto di essere apatico; che non potesse definirsi né triste, né felice, tantomeno arrabbiato...
Poi i suoi pensieri vagarono e si soffermarono su una precisa domanda: cos'è successo?
Gliela aveva fatta la Granger poco prima e dovette ammettere per fino a sé stesso che quella domanda non gliela aveva mai fatta nessuno fino ad ora, o almeno non con il cuore, come invece aveva fatto lei.
La risposta a quella domanda però qual era?
Tutto. Di tutto era successo. Eppure esternamente sembrava che non fosse successo niente, assolutamente niente. Era stato abituato fin da piccolo a non mostrarsi debole davanti agli altri e a non far mai trasparire le proprie emozioni e lui, quel preciso pomeriggio, aveva fatto per sbaglio cadere la sua maschera. Era stato un secondo, un'attimo al massimo, ma lei se ne era accorta ed era intenzionata con tutta sé stessa a non dimenticarselo più. Sospirò, pensando a quanto potesse essere testarda e ostinata quella ragazza.
'Un Malfoy non crolla mai', gli aveva detto una volta suo padre. Sbuffò acido. Chiamarlo padre era un'insulto per tutti quelli che lo erano. Perché lui non lo era, assolutamente. Aveva permesso che la sua famiglia venisse distrutta, e dopo una cosa del genere, non poteva essere chiamato padre. Nemmeno prima si poteva definire tale, ma era l'unica figura paterna che aveva e, per questo, ormai era diventato giusto chiamarlo così, ci era abituato e, sopratutto, non aveva altre persone con cui metterlo a confronto. Aveva sua madre, sì, ma era una donna al quanto riservata e la distanza che c'era tra di loro era solo che aumentata quando, dopo l'incarcerazione del padre ad Azkaban, aveva iniziato a chiudersi nella sua camera, non parlando con nessuno se non fosse strettanente necesserio. Poi, in quella famiglia tossica, c'era lui, il figlio viziato che era diventato Mangiamorte. Mangiamorte...
Scosse la testa e si alzò di scatto. Iniziò ad andare avanti e indietro, gironzolando per la camera quasi come alla ricerca di qualcosa, di una distrazione. Era tornato, infatti, nuovamente a pensare che dovesse uccidere Silente e stava cercando di fare qualsiasi cosa pur di non alzarsi la manica della camicia. Il suo sguardo vagò per la stanza, fino a soffermarsi sulla scrivania. Fulmineo si sedette sulla sedia, prese una pergamena da un cassetto e una piuma dalla sua scorta. Intinse la punta della piuma nella boccetta di inchiostro nero che aveva di fianco, per poi appoggiarla delicatamente sul foglio che aveva di fronte. Scrisse una sola parola: compito. Perché il suo era un compito, un sadico compito affidatogli dal Signore Oscuro in persona, e che avrebbe finito per consumarlo, rendendolo molto più debole di quanto già fosse. Non riuscì a scrivere nient'altro poiché la porta, che si trovava esattamente dietro di lui, si era spalancata, e si era girato a vedere chi fosse entrato. Blaise. Il suo cuore, o almeno quel poco che gli era rimasto, si fece improvvisamente pesante, facendogli storcere il naso. Non doveva, o meglio, non poteva sentirsi male per una stupida amicizia. Perché sì, avere amici era un cosa stupida, da persone ingenue e immature, e lui non lo era. Era un ragazzo come tanti, scaraventato in una guerra che non lo avrebbe nemmeno dovuto riguardare, e ora, beh, ora non era più un ragazzo, ma un uomo, con una grande responsabilità e, soprattutto, senza alcun amico. Perché lui non ne aveva bisogno e mai ne avrà, o almeno così credeva.
"Ero solo venuto per prendere questa" disse il moro mostrando a Draco una sciarpa, quasi cone a giustificarsi del perché lui fosse qui, quando non ce n'era in realtà alcun bisogno.
"Ci si vede" aggiunse successivamente, per poi sparire dietro alla porta, facendole fare un tonfo al quanto fastidoso. Avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva, ma era troppo orgoglioso e testardo, e, soprattutto, non voleva più avere a che fare con alcun potenziale amico. Gli avrebbe solo intralciato la strada, rendendogli più difficile l'eseguimento del compito. Tornò a guardare la pergamena, prese nuovamente in mano la sua piuma, appoggiata mentre era entrato Blaise, e rimase immobile, a fissare il colore giallognolo della pergamena e quello nero della parola che aveva scritto. Non aveva nient'altro da dire o scrivere. Mise tutto via, per poi prendere in mano la pergamena e piegarla affinché stesse comodamente nella tasca dei suoi pantaloni, dove successivamente la nascose. Poi si sdraiò sul letto, chiudendo per bene le tende, in modo che nessuno potesse vederlo. Sarebbe potuto stare così per sempre, senza avere mai il bisogno di alzarsi o fare qualcosa, perché comunque non avrebbe avuto senso. Nulla aveva più senso e gli sembrava tutto così terribilmente sbagliato. Lo stava facendo per la sua famiglia, per salvarla, ma, nonostante questo, non riusciva non pensare che fosse ingiusto. Lui non voleva essere un assassino. Non voleva neanche essere un Mangiamorte, eppure eccolo lì, con il braccio marchiato e un compito da svolgere affidatogli dal Signore Oscuro. Sarebbe diventato un assassino e non poteva fare niente per impedirlo. Certo, lo avrebbe potuto fare Piton al posto suo, ma sarebbe stata solo un'ulteriore prova del fatto che i Malfoy fossero inutili e deboli, e non poteva servire così, su un piatto d'argento, la dichiarazione del fatto che la Casa Malfoy fosse ormai caduta. Cerano tante, probabilmente troppe, cose che non poteva fare. Era tutto un continuo di obblighi e divieti, che lo stavano lacerando nel profondo. Se avesse continuato così, probabilmente tra un paio di anni lo si sarebbe ritrovato seduto su una logora poltrona di un ospedale, per curarsi da tutti i traumi e le ingiustizie subite. Che poi, forse, non era così ingiusto che gli stesse capitando tutto quello. Ci aveva ragionato molte volte e credeva che un po' se lo meritava, per tutto quello che aveva fatto ad Harry e i suoi amici durante quegli anni. Doveva avere la sua punizione, e, per quanto esagerata gli potesse sembrare, aveva preso in considerazione che fosse proprio quella la punizione che tanto gli spettava. Perché, in quel momento, era veramente stato messo in ginocchio, con niente di più che un cognome e un compito tra le mani. Erano solo due semplici cose, che in realtà gli sembravano essere pesantissime. Talmente tanto che, a volte, credeva di essere sul punto di svenire o collassare, per quanto i pensieri gli facessero scoppiare la testa e il suo cognome e il compito lo piegassero in due dal dolore. Verso la fine dell'estate era anche dovuto andare a fare una visita al San Mugo perché sua madre era preoccupata che soffrisse di una qualche malattia strana, che poi si rivelò essere solo una leggera ed ipotetica depressione. Poi sua madre non si preoccupò più, continuando la sua vita normalmente, senza degnarlo più neanche di uno sguardo. Scisse la testa, quasi come per scacciare quei ricordi dalla mente.

In quel momento, la cosa che più desidervaa al mondo, era il poter avere una scelta. Perché lui non ce l'aveva e questa cosa lo tormentava. Con quei pensieri che gli rimbombavano in testa, chiuse gli occhi e si addormentò, nella speranza di sognare un qualcosa di più bello della realtà in cui si trovava.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 04, 2020 ⏰

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