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BEATRICE'S POV

«Cazzo, merda!» Entro di fretta e furia a Palazzo Chigi con ventisei minuti di ritardo.

Capisco che vuole che sia me stessa, ma questo non implica che debba mettere la maleducazione nel pacchetto.

Sono passati due giorni da quel giorno, dal giorno in cui mi ha urlata contro, e poi è venuto a scusarsi, diciamo, a modo suo. In questi due giorni io ho lavorato, ovviamente, mentre lui è stato in visita straordinaria in Francia, per delle trattative con il Primo Ministro Macron. E ovviamente io non sono stata avvertita, non so nemmeno quando tornerà.

Corro rapidamente verso il mio ufficio ma  ovviamente il telefono deve squillare sempre nei momenti meno opportuni. Frugo rapidamente nella borsa con la speranza di trovarlo presto, mentre continuo la mia corsa verso lo studio.

Una volta trovato il cellulare esulto ma, siccome non sarei Beatrice se non facessi figuracce, inciampo nei miei stessi tacchi e lancio un urlo.

«Ma si può sapere che diamine fai?» Delle braccia muscolose mi sorreggono, mentre io avevo chiuso gli occhi prevedendo già la caduta.

Immediatamente il profumo del Premier mi invade le narici, le sue mani nella mia vita si fanno più salde e io finalmente apro gli occhi per incrociare i suoi.

Ha lo sguardo stanco, come sempre ma oggi più accentuato, sento il suo respiro che sbatte sulle mie labbra, mentre il Premier per un momento posa lo sguardo proprio su queste facendomi arrossire come una ragazzina al primo appuntamento.

Dovrei essere arrabbiata perché non mi ha avvertita, qui dentro tutti lo sapevano, tranne me. Dovrei urlargli contro di non toccarmi e che avrei preferito cadere piuttosto che fosse lui a prendermi. Mi ero preparata mentalmente un lungo discorso da sputargli in faccia al suo ritorno, ma adesso vederlo di fronte e sentire il mio battito accelerato mi fa realizzare che in realtà mi sia mancato.

Non ho dato molto peso alla sua assenza negli ultimi due giorni perché ero colma di lavoro, e anche incazzata, ovviamente molte volte lo pensavo, soprattutto pensavo alle ultime parole che ci siamo detti prima che lui partisse senza degnarsi di salutarmi.

Cerco di rimettermi al mio posto, lontano da lui, ma nel momento esatto in cui cerco di mettere i piedi saldi a terra un dolore lancinante nella caviglia mi costringe a stringermi contro il Premier, non riuscendo a camminare.

«Mi fa male.» Digrigno i denti per il dolore, cercando di non piangere come una bambina. Per quanto riguarda il dolore fisico ho una soglia del dolore estremamente bassa, quando devo fare gli esami del sangue ho bisogno di due infermiere, una che mi calmi e l'altra che agisce.

Il Primo Ministro sospira pesantemente, schiocca la lingua sul palato e poi mi prende letteralmente in braccio come una sposa.

Normalmente sarei diventata rossa dall'imbarazzo, probabilmente avrei esultato anche, ma adesso il mio cervello ha puntato l'attenzione solo sulla caviglia.

Il Premier in sacrosanto silenzio mi porta nella sua stanza privata al terzo piano, dopodiché una volta dentro mi poggia delicatamente sul letto enorme, facendomi distendere la gamba.

«Chiamo il dottore.» Tuona dopo avermi guardato dritto negli occhi lucidi.

«No!» Urlo praticamente. Mi hanno sempre messo ansia i dottori, mi fanno paura quasi.

«Beatrice, non sono un dottore, potrebbe essere una frattura o si potrebbe essersi rotto. Non fare la bambina.» Si passa una mano nei capelli, in maniera frustrata dopodiché prende il telefono e chiama al dottore osservandomi per tutto il tempo della telefonata.

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