«Nice to meet you, President.»
Manco per il cazzo, commento tra me e me.
Sfoggio con goffaggine le uniche cose che ho appreso in cinque anni di inglese nei oramai lontani anni della scuola superiore. È mezzanotte inoltrata e io ho l'adrenalina a mille, affibbio la colpa allo champagne che abbiamo bevuto eccessivamente durante la cena, e stiamo salutando il grandissimo Putin. Dopo la mia provocazione nei confronti di Giuseppe ho tolto subito la mano, intimorita, e la cena ha continuato a scorrere normalmente tra lui che parlava di manovre economiche con il Presidente russo e io che spiccicavo quel che potevo in inglese con qualche ministro. Molte volte incrociavo lo sguardo di quell'uomo gelido, quasi più di Vladimir in persona, sorprendendolo più volte a fissarmi ma cercando allo stesso tempo di non dargli molto peso, anche se per la mia mente paranoica è risultato decisamente complesso.
L'auto della scorta è proprio davanti il Palazzo dove è avvenuta la cena e subito veniamo scortati dagli uomini verso di questa. Proprio mentre sto camminando di fianco a Giuseppe vedo infondo al parcheggio l'uomo inquietante di questa sera e a me questa volta, rispetto alle volte in cui i nostri sguardi si sono incrociati durante la cena, vengono i brividi. Afferro istintivamente il braccio del Premier, cominciando a provare seriamente terrore, anche se probabilmente la mia sia solo esagerazione ma vederlo in mezzo al niente che osserva me e Giuseppe mette un tantino di soggezione.
Giuseppe, che a differenza di oggi non mi cinge la vita con il suo braccio, mi rivolge uno sguardo interrogativo ma non gli do il tempo di dire niente perché entro rapidamente all'interno della macchina della scorta, dopo che uno degli uomini di Conte mi ha gentilmente aperto lo sportello.
«Sei strana.» Afferma guardandomi, dopo che entra anche lui nell'abitacolo.
Incontro il suo sguardo, indecisa se parlargli di questa mia preoccupazione o no. Guardo per qualche secondo fuori dal finestrino oscurato, per guardare il punto dove c'era l'uomo misterioso prima, ma quando guardo quel punto non c'è più nessuno.
«Sono solo stanca.» Trattengo la mia incredulità, ricollegando lo sguardo al suo che era ancora fermo a fissare me.
«Stanca? È l'ultimo aggettivo con la quale ti descriverei oggi.» Alza le sopracciglia, come se non si bevesse la mia risposta.
«Con quali aggettivi mi descriveresti oggi?» Cerco di deviare il discorso anche se sono ugualmente curiosa di saperlo.
«Incantevole.» La sincerità con la quale fa uscire quella parola dalla sua bocca carnosa mi fa saltare un battito. «Bugiarda.» Si incurva un lato della bocca in un mezzo sorriso e io lo interrompo.
«Bugiarda?» Ripeto, non capendo il motivo di questi appellativo che mi ha dato.
«Sì, hai finto tutta la serata di essere interessata. Sei stata brava.» Si congratula per poi continuare a stilare la lista degli aggettivi che mi rappresentano. «Provocante.» Pronuncia questa parola con una profondità che mi provoca una fitta su ventre.
Si sta sicuramente riferendo all'episodio avvenuto sotto il tavolo, lontano da occhi indiscreti, e le mie guance si avvampano.
Il suo sguardo si posa sul mio seno evidente e si morde il labbro. Se non fossimo in un'auto guidata dalla scorta io gli sarei gia saltata addosso, ma mi contengo anche se con difficoltà evidenti.
Oggi c'è qualcosa di diverso nel suo sguardo, non vedo più l'uomo combattuto che ho sempre visto, oggi sembra libero da se stesso.
Ad interrompere il nostro contatto visivo è il suo telefono che comincia a squillare e risponde subito appena legge il nome del destinatario della chiamata.
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Fanfiction«Cinquant'anni fa l'uomo poggiò piede per la prima volta sulla luna; io ero nato da poco. Ma lo giuro, lo giuro che ci sono stato qualche anno dopo: quando mi dormivi a fianco e io mi sono svegliato accanto a te.»