13.

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«Ti prego non fucilarmi.» Sono le prime parole, che dico dopo una lunga corsa di qua e di là, a Giuseppe quando lo vedo.

Mi aveva chiaramente detto di essere qui, a Ciampino, per le otto del mattino e sono le nove e quindici adesso. Questa volta è stata colpa della sveglia che non ho sentito dato che ero esausta per via della nottata che ho passato a fare la valigia, scegliendo accuratamente ogni singolo outfit giusto per non prendermi una polmonite proprio in Russia.

«Non trovo aggettivo adatto per descriverti in questo momento, mi astengo, veramente.» Giuseppe ha le mani in tasca, rassegnato, mentre comincia a salire nel jet privato della Presidenza del Consiglio.

«Fantastico disastro penso sia l'aggettivo adatto.» Sorrido, seguendolo a ruota.

Il piccolo elicottero è molto confortevole, c'è di tutto anche quello che sembra più inutile, e ovviamente è inutile specificare che questo aggeggio volatile è più grande del mio appartamento. Ogni cosa è perfettamente ordinata, a partire dal piccolo salottino con quattro sedili separati tra di loro, fino al bagno che riesco a intravedere nonostante la relativa distanza che ci divide.

«Togli l'aggettivo "fantastico" e la frase è perfetta» Mima le virgolette con le dita mentre si siede nel sedile cominciando ad allacciarsi la cinta di sicurezza.

Solo adesso mi accorgo che aveva già sistemato prima del mio arrivo la sua valigia. Poso anche la mia, che è il doppio della sua, per poi emularlo nell'allacciarmi la cintura di sicurezza nel sedile di fronte al suo.

«Ah ah. Veramente molto simpatico il Premier quest'oggi.» Sbuffo, accomodandomi meglio nel sedile, e a lui scappa un sorriso. «Quanto diamine durerà questo volo?» Domando con un soffio di allarmismo.

Non mi sono mai piaciuti gli aerei, mi hanno sempre messo un'ansia incontrollabile perché penso alle cose peggiori, per esempio: se finisse il carburante? Se si spezzasse un'ala? Se precipitassimo nel vuoto? Sono capace di infliggermi un'ansia paurosa da sola, per la minima cosa, poiché penso a cosa possa accadere se qualcosa dovesse andare male.

«Circa sei ore, più o meno.» Passa la lingua sulle labbra facendomi incantare a quel movimento, ma poi ritorno in me quando mi ripeto la frase nella mia mente.

«Sei ore?» Ripeto incredula, facendomi travolgere dalla malsana idea di prendere tutte le mie cose e tornare a Palazzo Chigi e farmi schiavizzare di nuovo da Rocco Grande Fratello, che sarebbe meglio di morire in un jet con il Presidente del Consiglio.

«Salvo imprevisti, sì sei ore.» Conferma, guardandomi con un sopracciglio alzato probabilmente non capendo il motivo della mia reazione.

«Presidente, siete pronti? Posso partire?» Una terza voce proveniente dalla cabina di pilotaggio si intromette nella conversazione facendomi assalire dal panico.

«Sì, grazie Luca.» Gli fa anche un cenno con la mano. I suoi occhi ritornano sui miei. «Ti avverto, appena arriveremo verrai sopraffatta da russi, non ti spaventare come tuo solito.» Alza gli angoli della bocca, come se volesse provocarmi.

«Non mi piace Vladimir Putin.» Confesso, e deglutisco quando sento che stiamo per staccarci da terra.

«Bea, ti supplico, niente commenti con Putin. Ti potrebbe zittire con un Kalashnikov puntato nel cervello. Ricordati prima di aprire bocca che non hai davanti Matteo Salvini, ma un dittatore praticamente.» Asserisce, cercando i miei occhi con serietà.

Non rispondo, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino e noto con stupore che siamo molto alti rispetto gli alberi. Non mi sono resa conto che già siamo praticamente nella stratosfera perché ero molto impegnata ad ascoltare le parole del Premier e, per la seconda volta, mi ha distratto da una mia paura interna solo con la forza delle parole. La prima volta fu quando mi slogai il piede, sembra passata un'eternità e invece solo qualche settimana. Il fatto è che Giuseppe ha quest'onore: zittire i miei demoni, le mie paure, queste cose vanno oltre alla tensione fisica che aleggia nell'aria quando siamo vicini.

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