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- Alice! Alzati, dai!-
Imprecai affondando la testa nel cuscino, maledicendo il giorno in cui nacqui. - Dai, mamma, altri cinque minuti! Ti prego! Per una volta che riesco a dormire! -
- No Alice, dopo ti appisoli e sei sempre di corsa. Muoviti!-
Sbuffai sonoramente mentre mia madre chiuse la porta dietro di sé e mi lasciò da sola, in quella stanza ampia ma pur sempre troppo piccola per occupare tutti i miei demoni, che non trovavano più abbastanza spazio nella mia testa e si mettevano ad occupare le camere in cui passavo il tempo. Era così da qualche anno, ormai.
Mi alzai lentamente per mettermi seduta. Mi guardai intorno, osservando le pareti della mia camera ricoperte di poster e l'anta del mio armadio, sulla quale l'anno precedente avevo dipinto i visi dei miei idoli, i cantanti indie e i rapper italiani. E il mio sguardo ricadde proprio sul mio preferito di quest'ultima categoria: Rkomi.
Nonostante non ci fossimo mai visti di persona e lui non fosse a conoscenza della mia esistenza, era la persona che mi aveva salvato la vita.
Avevo attraversato un periodo davvero brutto, qualche mese prima, e non ne ero ancora del tutto uscita. Nulla andava bene, mi sentivo tremendamente sola e incompresa; la mia famiglia era costantemente contro di me, mia sorella cercava sempre di infastidirmi e provocarmi, e i miei genitori non facevano altro che darle ragione; in più si aggiungeva l'insonnia, altro problema che mi perseguitava, dato che in casa non volevano che prendessi farmaci nonostante dormissi solo due ore a notte, e quelle poche volte che dormivo facevo incubi riguardanti il mio tentato suicidio, avvenuto meno di due mesi prima.
E l'unica persona che mi era sempre stata accanto era proprio Mirko: grazie alla sua musica stavo riuscendo ad andare avanti. Spesso mi ritrovavo nei suoi testi, in cui parlava delle sue insicurezze e della sua vita complicata. Avevo sempre pensato di essere simile a lui, nonostante avessimo vissuto due vite molto diverse.
Mi alzai lentamente dal letto e mi avvicinai all'armadio, osservando con attenzione i tratti morbidi del viso di Rkomi. Le sue guance paffute lo facevano sembrare un bimbo, aveva degli occhi dolcissimi. Era maledettamente bello.
- Alice, ti muovi?- sentii urlare mia madre dall'altra parte della porta.
- Sì, mamma, un secondo!- sbuffai sonoramente e aprii l'armadio. Non sapevo cosa indossare, sinceramente poco m'importava, così optai per un paio di jeans neri strappati e una maglietta bianca con stampa nera, poi mi infilai le mie amate Vans nere e misi al collo una collana d'argento. Amavo i gioielli, le collane in particolare, anche se a dirla tutta non ne avevo mai avute molte. Quella a cui tenevo di più mi era stata regalata dal mio migliore amico, Valerio, e aveva un piccolo ciondolo con sopra incise le iniziali A e V. Difatti indossai proprio quella.
Andai lentamente verso il bagno, dove mi lavai il viso, pettinai i capelli, misi del mascara e coprii le profonde occhiaie dovute all'insonnia con del correttore. Non mi piaceva molto truccarmi, lo facevo solo per le occasioni speciali, ma in quel momento era necessario.
Riempii lo zaino con le sigarette e i libri delle materie che avrei dovuto avere quel giorno, ovvero fisica, inglese, latino, storia dell'arte e storia. Lo misi in spalla e mi diressi verso la porta.
- Mamma, io vado!-
- Non fai colazione?-
- No, non ho fame.- Non aggiunsi altro ed uscii dalla mia casa. Presi poi il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, e attaccai le cuffiette che avevo dovuto districare poiché si erano annodate. Feci partire in riproduzione casuale su Spotify le canzoni di Rkomi, le ascoltavo ovunque, indipendente dalla situazione. "Sul serio" risuonava nelle mie orecchie, mentre mi facevo cullare dal dolce suono della voce di Mirko.
Raggiunsi la fermata del bus, e notai con mia grande sorpresa che il mezzo era già arrivato. Mi sbrigai a salire e presi un posto a caso vicino al finestrino.

Scusa per il ritardo, ero a cercare me stesso.

Amavo quella frase, mi rispecchiava perfettamente. Avevo passato tutta la mia vita, per quanto breve, diciott'anni, a cercare di capire chi ero, cosa volevo. Non facevo altro di desiderare di essere come i miei amici, così estroversi e solari, mentre io cercavo ogni scusa per rimanere chiusa in casa. Per quanto mi sforzassi di sembrare socievole non ci riuscivo, e non mi sentivo a mio agio. Poi, dopo parecchie riflessioni, avevo capito che non dovevo cambiare per essere come volevano gli altri, ma per come volevo essere io. E anche se non mi accettavo ancora del tutto, stavo cercando di cambiare e raggiungere i miei obiettivi.
Mi distrassi dai miei pensieri solo quando sentii qualcuno picchiettarmi sulla spalla. Mi girai e vidi Valerio seduto al mio fianco, con il ciuffo dalle punte tinte di rosa stranamente spettinato.
- Che è successo ai tuoi poveri capelli?-
- Buongiorno anche a te.- sbuffò ironico. - Comunque mi sono svegliato troppo tardi e non avevo il tempo per sistemarli.-
- Potevi farti accompagnare dai tuoi, avresti avuto il tempo per prepararti come si deve.-
- Nah, avevo voglia di venire in bus con te.- mi mette un braccio attorno al collo, stringendomi a sé. Abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto, e i gesti d'affetto non sono mai mancati: capitava spesso di abbracciarci o di sembrare perfino intimi, ma lo vedevo come un fratello, nient'altro.
- Dai.- continuò, - Non sei contenta che domani andiamo all'instore di Rkomi?-
A quel pensiero diventai decisamente più euforica. A molte persone sarebbe sembrato assurdo dimenticare un evento simile, ma con tutti i pensieri che avevo nella testa mi era molto difficile ricordare tutto, anche gli avvenimenti più importanti. Ebbene, io e il mio migliore amico avevamo convinto i nostri genitori a lasciarci andare all'instore di Mirko dell'album "Io in terra", il più recente. Nonostante fossimo suoi fan sfegatati, non lo avevamo mai visto nemmeno in concerto.
- Dio, che bello! Ancora non ci credo, lo potrò abbracciare!-
- Nel frattempo, però, puoi abbracciare me.- disse Vale con fare scherzoso. Ridendo, avvolsi la sua vita con le mie esili braccia. Avevo sempre desiderato una persona che mi stesse accanto sempre, di cui mi potevo fidare e con cui parlare di qualsiasi cosa. E ora che ce l'avevo, non potevo che essere la persona più felice del mondo.
Purtroppo i miei sogni si infransero nel momento in cui la vettura si fermò, e fummo costretti a scendere per andare a scuola.
- Ti voglio bene.- mi sussurrò Valerio prima di alzarsi dal suo sedile.
- Anche io, da morire.- risposi mentre facevo il suo stesso gesto. Lui mi mise un braccio attorno alle spalle e andammo nel cortile della scuola, dove tutti gli alunni stavano ripassando per le verifiche, fumando o semplicemente parlando tra loro. Mi sedetti su una panchina, seguita poi dal mio amico, e presi il pacchetto di Marlboro Classic, che gli offrii poi. Accesi la sigaretta con il mio accendino nero, sul quale avevo disegnato qualche tempo prima una mezzaluna bianca, una figura che avevo sempre amato poiché era così esile e pura. Iniziai a sbuffare lentamente il fumo, osservando le nuvole candide che tranciavano la volta celeste. Mi rilassava guardare il cielo: nonostante fosse immenso e mi facesse sentire minuscola ed impotente, mi dava un senso di tranquillità, come se fino a quando sarei stata sotto al cielo non mi sarebbe potuto accadere nulla.
- Ali, mi stai ascoltando?- la voce del ragazzo affianco a me mi distrasse per l'ennesima volta dai miei pensieri.
- Cosa?-
- Ti stavo chiedendo se ti va di venire a casa mia oggi pomeriggio, magari ceni da me.-
Ci misi un po' a metabolizzare le sue parole, ancora assonnata e distratta. - Sì, volentieri.-
risposi distrattamente per poi tornare ad osservare il cielo. In realtà la mia mente vagava, immaginando a come sarebbe stato incontrare Rkomi il giorno dopo. Avevo immaginato più volte un nostro ipotetico incontro (il che avrebbe potuto sembrare ridicolo, ed effettivamente un po' lo era), e al solo pensiero di poterlo abbracciare, stringerlo tra le mie braccia e inebriarmi del suo profumo mi scioglievo; avrei potuto parlargli, sentire il suono della sua voce dal vivo, che immaginavo più bella e dolce che quella che sentivo dal telefono.
A distrarmi fu il suono della campanella che annunciava l'inizio delle lezioni. Sbuffai e buttai a terra la sigaretta, che spensi calpestandola. Osservai Valerio fare lo stesso per poi alzarmi dalla panchina. Salutai il mio migliore amico con un bacio sulla guancia, per poi avviarmi all'interno dell'edificio. Salii le scale per andare al primo piano, dove si trovava la mia classe, ed entrai nell'aula. Buttai lo zaino a terra accanto al mio banco, per poi sedermi e tirare fuori dallo zaino il libro, un quaderno e l'astuccio. Entrò la prof di fisica in classe e fui costretta a passare l'intera mattinata segregata in quella prigione che gli altri chiamavano scuola.

ogni tanto siamo noi... || rkomiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora