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Mi svegliai di soprassalto, mettendomi a sedere sul letto, dopo aver fatto l'ennesimo incubo. In realtà, era sempre lo stesso.
Ero in una stanza, bianca, senza fine. Ero legata ad una sedia, in centro alla stanza, e non riuscivo a muovermi. Sentivo il respiro farsi pesante e il cuore batteva più forte che mai. Udivo un sussurro, ma non capivo cosa stesse dicendo. Era come se questo fosse solamente nella mia testa, e non all'esterno. Le corde si allentavano, sciogliendosi da sole, io mi alzavo in piedi e camminavo nell'immensa stanza, poi mi giravo e non vedevo più la sedia, non avevo nessun punto di riferimento. Il sussurro intanto era diventato più forte, ma continuavo a non capire ciò che diceva. Rimbombava nella mia testa ed iniziava ad essere veramente fastidioso. Poi sentivo un colpo di tosse, mi giravo e davanti a me vedevo Valerio. Correvo verso di lui e gli mettevo le mani sulle spalle, scrollandolo.
- Vale! Dammi una mano ad uscire!- gli dicevo.
- Credi davvero che io voglia darti una mano? Sei qui dentro a causa mia, a causa nostra. Ora ti posso raccontare come stanno realmente le cose: da piccolo ti ero amico perché mi facevi pena; ho tentato più volte di scaricarti nel momento in cui mi sono reso conto che in realtà non avevo nessun motivo per essere legato con te, ma sai quant'è difficile scaricare le persone. La realtà è che ormai mi fai schifo. Sei una persona orrenda, hai un pessimo carattere e troppi difetti. Sei piena di problemi, sei paranoica... chi vorrebbe essere amico di una persona del genere?-
Le mani mi ricadevano lungo i fianchi, non riuscivo a muovermi. Qualsiasi parola che gli volevo dire mi moriva in gola. Poi mi spingeva per terra, con cattiveria, e chiudevo gli occhi: ovviamente, senza riuscire a evitarlo, cadevo rovinosamente, sbattendo la testa. Quando riaprivo gli occhi, davanti a me non c'era più Valerio, bensì Linda, mia sorella. Nel frattempo mi rialzavo in piedi, dolorante.
- Per mamma e papà sei sempre stata una delusione, hai sempre avuto la testa tra le nuvole. Hanno progettato il tuo futuro e tu vuoi renderli fieri di te. Per cosa, poi? Seguire il tuo sogno, fare qualcosa che con il Classico non centra nulla, che non ti porterà da nessuna parte? Sei ridicola. Lo sai anche tu che hanno sempre preferito me.-
Alzava una mano in aria e chiudevo nuovamente gli occhi mentre arrivava lo schiaffo. Sentivo la mia guancia andare a fuoco. Quando aprivo di nuovo gli occhi, al posto di Linda c'era Eleonora.
- Hai mai pensato di farti del male fisicamente? Allevia molto il dolore emotivo. E lo so che stai soffrendo, perché d'altronde non deve essere facile essere un mostro.-
- A cosa ti riferisci?- le chiedevo confusa, con gli occhi lucidi.
- Al fatto che... ti piacciano le femmine. Dio ha creato l'uomo e la donna, non due uomini, tantomeno due donne. È contro natura. Non te ne vergogni?-
- Un po'.- le rivelavo. Ed era la verità, più volte mi ero sentita diversa, anormale.
- Ecco, appunto. Questa risolverà tutti i tuoi problemi, te lo giuro.- mi sorrideva, aprendo la mano e rivelando una lametta. Mi venivano i brividi lungo la schiena solo a guardarla.
- No Ele, non farò la tua stessa fine, non entrerò in quel circolo vizioso in cui ti ritrovi da fin troppo tempo.-
- Ti farà stare bene, davvero. Fidati di me.-
Ormai piangendo, la prendevo e la guardavo per fin troppo. Lo volevo fare davvero? Avrebbe veramente migliorato la mia condizione psicologica? Credevo di no, ma allora perché lei continuava a farlo? Forse funzionava davvero.
Con la mano tremante, la avvicinavo al mio avambraccio, sentendo il freddo della lama sulla pelle. Pian piano la affondo nell'arto, sentendo un bruciore immane. Osservavo poi le gocce di sangue unirsi in un unico flusso che sembrava non finire mai. Sentivo le forze abbandonarmi, e in poco tempo mi ritrovavo al suolo.
Ora, da sveglia, sentivo un dolore atroce al braccio, nonostante in realtà non avesse nulla, ed ero veramente debole. Scoppiai in un pianto isterico, i singhiozzi parevano non cessare mai e le lacrime scendevano numerose dai miei occhi rossi e lucidi. Basta, ero stanca di fare dei cazzo di incubi ogni maledetta volta che mi addormentavo: era già la terza nella stessa settimana che facevo lo stesso sogno, non cambiava di una virgola, eppure non riuscivo a controllare ciò che facevo, e questo mi faceva arrabbiare più di qualsiasi altra cosa.
Finii di piangere molto dopo, quando le lacrime non uscivano più dai miei occhi e mi bruciava la gola, per poi guardare la sveglia sul comodino. Erano solamente le quattro e ventisei, mi aspettava ancora una lunga nottata.
Mi alzai di scatto dal letto e corsi alla scrivania, dove presi da un cassetto il pacchetto di Marlboro e l'accendino. Indossai dei pantaloni, una maglietta e una felpa a caso dall'armadio, di notte faceva fresco, e cercando di fare il meno rumore possibile scesi le scale ed uscii di casa. Dio se stavo male.
Presi il cellulare in mano, tremavo ancora per via dell'incubo appena fatto. Il fatto che sembrasse reale lo rendeva ancora più spaventoso di quanto già non fosse.
Andai nella rubrica, e appena trovato il contatto di Valerio, avviai la chiamata. Speravo rispondesse, di solito di notte teneva la suoneria accesa per queste evenienze. Sapeva che stavo male e che avevo bisogno di qualcuno che mi stesse accanto, perciò non si è mai lamentato.
Il telefono squillò diverse volte prima che il mio migliore amico rispondesse.
- Ma che cazz...-
- Vale, scusa, sono io. Ho fatto un altro incubo.-
- Ma che ore sono?- mi chiese lui con la voce impastata dal sonno.
- Circa le quattro e mezza. Per favore, vieni in campetto.- lo implorai mentre i ricordi raffioravano.
- Ok, cinque minuti e sono lì.- ripose con un grande sbadiglio finale.
- Va bene, scusa ancora.- dissi con il fiato corto prima di mettere giù. Non volevo piangere, non di nuovo, perciò ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di uscire e camminai a passo svelto verso il luogo d'incontro.

[...]

- Ti ho portato delle patatine e una bottiglietta d'acqua.- Fu la prima cosa che mi disse lui appena arrivai, ma a me importava ben poco del cibo, mi bastava che lui fosse lì. Lo strinsi forte, più di quanto non avessi mai fatto, desiderando che non se ne andasse mai. Mi sentivo così bene tra le sue braccia, mi dava questo senso di protezione che mi calmava tanto.
- Hai fatto sempre lo stesso incubo?- mi chiede quando ci stacchiamo e andiamo a sederci su una panchina. Annuisco semplicemente. - E... ti dicevo sempre le stesse cose?- Annuisco una seconda volta. Lo sento sospirare mentre prende la mia mano nella sua e la porta alle labbra, baciandola. - Lo sai vero che non le penso quelle cose? Che non ti sto accanto perché mi fai pena? E che non mi fai assolutamente schifo, anzi, che ti voglio tantissimo bene?-
A queste domande non risposi. Lo sapevo? Sì, ma non ne avevo la conferma. Probabilmente ad una persona normale sarebbe bastata come conferma il fatto che era sempre presente ed era disposto a raggiungermi in piena notte. Ma ero una persona insicura e non mi fidavo facilmente delle persone; in più tutti quegli incubi mi facevano pensare che ciò mi sentivo dire in sogno fosse reale. Non sapevo più cosa pensare.
- Hey, Ali, ti giuro su tutto quello che vuoi che ti sono realmente vicino, altrimenti non sarei qui alle cinque di mattina a consolarti seduto su una panchina. Ok? Fidati di me, ti prego.-
Annuii ancora, e lui mi strinse a sé. - Dai, bevi un po' che sarai disidratata con tutte quelle lacrime che hai pianto.- Lo fissai mentre apre la bottiglietta e me la passa. Finii quasi metà dell'acqua, poi la richiusi e la poggiai per terra. Lui nel frattempo stava mangiando le patatine, probabilmente le aveva portate più per sé che per me. Poco male, non avevo fame.
- Vuoi una sigaretta?- gli domandai, vedendo che stava fissando intensamente il pacchetto che avevo in mano.
- Sì, grazie.- rispose con un sorriso.
Tirai fuori due Marlboro e gliene passai una mentre accendevo la mia. Osservai il fumo che creava astratti disegni nell'aria, stavo cercando di non pensare all'incubo.
- Ho sonno, posso dormire?-
- Ma dai, vai a casa, io sto qui.-
- No no, non voglio che ti vengano degli attacchi mentre non ci sono. Rimango qui.- disse riferendosi ai miei attacchi di panico, in quel periodo sempre più frequenti. Sospirai, a conoscenza della sua testardaggine, sapendo che non sarei riuscita a smuoverlo dalle sue idee.
Chiuse gli occhi mentre mi godevo la sigaretta, e poco dopo sentii il suo respiro regolarizzarsi, segno che si era addormentato. Mi sentivo in colpa ad averlo svegliato, per colpa mia era spesso stanco.
- Scusa.- sussurrai mentre mi accoccolavo a lui e continuavo a fumare.

ogni tanto siamo noi... || rkomiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora