Back Home.

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Piangevo mentre mettevo nella valigia le mie ultime cose. Sei mesi, sei mesi lontana da casa, negli Stati Uniti. L'esperienza più bella della mia vita. Sospirai per ricacciare indietro le lacrime, mi alzai in piedi e mi affacciai sul piccolo terrazzino che per metà anno avevo condiviso con la mia migliore amica: la stretta via in cui abitavamo era circondata da alberi ormai spogli, com'è normale nel mese di dicembre, i lampioni decorati a festa, ogni negozio sulla via carico di luci e alberi di Natale; il piccolo supermarket sotto casa in procinto di chiudere per la solita mezz'ora prima di iniziare il turno di notte, perché il proprietario, Mr. Garroway, non poteva accettare di mangiare un misero panino e perciò saliva al piano di sopra, dove sua moglie Grace aveva imbandito la tavola e preparato qualcosa di squisito per il marito, che amava ancora come il primo giorno, nonostante fossero ormai passati quarant'anni dalle nozze.

Una calma quasi surreale, da non credere che ci trovassimo nella grande America, non molto lontani da New York. E nella Grande Mela avevamo passato molte delle nostre serate libere nei fine settimana, a volte legalmente, altre volte sgattaiolando via dall'appartamento dello studentato che l'Università ci aveva messo a disposizione. Insomma, non voglio dire che Londra non sia divertente, ma New York è New York e ciò che vedi lì, raramente lo vedi altrove: non è una rarità far parte per pura casualità di un video di qualche Youtuber, in quanto è del tutto normale che i Vlog vengano registrati per strada, nell'indifferenza totale di chiunque. Per non parlare della gente mascherata che cammina tranquilla, alla fine è normale scontrarsi casualmente con Spiderman o Capitan America. New York non dorme mai e non ti annoia mai.

Ma io e la mia migliore amica vivevamo a Stamford, nel Connecticut, una delle città più belle di tutti gli Stati Uniti d'America a parer mio, di cui io ero totalmente innamorata. Infatti, per quanto amassi le follie del sabato sera, quelle erano apprezzate solo nei weekend, durante la settimana ero una persona totalmente diversa, con una routine ben precisa: al mattino frequentavo le lezioni della mia facoltà, architettura; nel pomeriggio studiavo un po', mi piaceva passare i pomeriggi sul balcone, con una tazza di cioccolata calda tra le mani e un libro: leggere è una delle mie attività preferite in assoluto, soprattutto nei momenti difficili, quando mi volevo isolare da tutto e tutti, l'unico modo per non pensare al resto era immergermi nella lettura di un libro, qualsiasi esso fosse. Un'altra mia strana passione era uscire e vagare senza meta per le vie strette e sconosciute della città, che in breve tempo mi sono diventate tutte familiari, sono diventate casa. Non volevo andarmene, non volevo tornare a Londra. Non ero pronta, ma dovevo. E ascoltare Love me now di John Legend non contribuiva assolutamente a tirarmi su il morale, anzi forse stava rendendo le cose più difficili e dolorose.

Ero a Stamford da sei mesi ormai, il tempo previsto dalla borsa di studio che gli studenti meritevoli ottenevano per far parte del cosiddetto anno all'estero, o Erasmus. Onestamente questa opportunità era stata la mia scialuppa di salvataggio mentre mi sentivo affogare in mare aperto. Ma come previsto dovevo tornare a casa, avrei passato le vacanze natalizie in famiglia.

Il mio nome è Evelyn Green, diciott'anni, insomma, quasi diciannove e come ho già detto, sono innamorata di questa città. Sono di Londra e nel luglio duemila sedici sono stata scelta, insieme alla mia migliore amica, Anne Carter, per passare metà anno all'estero. La nostra stanza si trovava nello studentato della confraternita femminile Kappa Alpha Theta, la quale consiste sostanzialmente in un'abitazione in cui tutte le ragazze della sorellanza vivono assieme in camere da letto doppie o triple, 3 bagni per piano e al piano terra una grande cucina e un salotto da condividere con tutte le altre.
Le confraternite e le sorellanze organizzano inoltre molte feste in cui non manca mai il tavolo e i bicchieri per il beer pong, proprio come nei film.

E proprio ad una di queste feste conobbi, o meglio, trovai il coraggio di avvicinarmi ad Alex Mayer, studente al terzo anno della mia stessa facoltà, anche lui in Erasmus come me ed Anne. Fu la prima volta dopo quasi anno in cui mi concessi di avvicinarmi a quel ragazzo e lasciarlo sbirciare oltre le mie barriere, quasi sempre invalicabili. Si era rivelato una mossa molto astuta in quanto Alex era davvero il ragazzo perfetto, non solo nell'aspetto fisico, ma anche nella mentalità, negli interessi e nelle relazioni era di una dolcezza unica, molto premuroso e amorevole. Alex era riuscito ad aprirsi e confidarmi i suoi segreti più oscuri, le sue esperienze più brutte e io gli sono stata vicina il più possibile, forse perché in primis mi sentivo colpevole di qualcosa. Lui si era aperto con me così tanto e io non ero stata in grado di fare lo stesso, non ero riuscita a confidargli tutto ciò che tenevo dentro e la cosa mi logorava. Mi sentivo una pessima fidanzata e forse lo ero.

Hey, Neighbor! » [Niall Horan]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora