Adriana, una volta all'anno

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In un assolato ottobre, scendo dall'autobus e mi avvio a piedi al bar vicino allo studio oculistico. Mi siedo al primo tavolino fuori ed ordino un caffè. Sono le 13.01. Il cameriere mi porta il caffè che avevo ordinato. Non lo bevo. Comincio a leggere un libro che ho scaricato sul cellulare e aspetto. Guardo l'orologio e sono le 15.15. Una figura nera si siede sulla sedia davanti a me, prende il mio caffè e se lo beve. Io non alzo lo sguardo, devo finire di leggere l'ultima riga del capitolo.
"Non ci vediamo da un anno e dai più importanza ad un libro che a me?"
"I libri sono sempre più importanti"
"Non hai perso l'occasione di ricordarmelo nelle tue e-mail"
Finisco di leggere il capitolo. Blocco il telefono e lo metto in tasca mentre guardo il bevitore di caffè che sta davanti a me.
"Sei in ritardo, Adriana"
"Lo sono da tutta la vita"
Le sorrido, prendo la tazzina ormai vuota e me la rigiro tra le mani.
"Un anno fa ero venuta a prendere un caffè con mia madre, proprio qui, prima di venire alla visita. Tu eri fuori a pranzare con un ragazzo"
"Che memoria"
"Chi era?"
"Non lo ricordo nemmeno"
"Ero molto gelosa di lui"
"Perché mai?"
"Sembravate molto in confidenza e poi l'hai salutato con due baci sulla guancia"
"Semplice cortesia"
"Lo so"
"Poi. L'hai saputo poi. Quando hai scoperto che mi piacciono le donne"
"Vero", rido.
Parliamo del più e del meno, mi chiede come sta la mia fidanzata, come va il dottorato. Io le chiedo del lavoro, della pensione, della sua compagna, dei suoi cani. Sono tutte domande superflue visto che da un anno a questa parte ci scriviamo delle lunghissime e-mail tutte le notti per parlare di noi, della nostra giornata, delle nostre vite. Del sentimento che abbiamo coltivato ognuno nella sua pelle e che non abbiamo mai intersecato.
"Sono le 13.50. Andiamo?", chiedo.
"Sì"
Spegne la sigaretta che si era accesa e si alza. Vado a pagare io. Esco e andiamo verso il suo studio. Da quando è andata in pensione non visita più all'ospedale ma in uno studio privato associato. Entriamo e salutiamo gentilmente le segretarie e i pazienti della sala d'attesa.
Apre la porta del suo studio che è in fondo al corridoio sulla destra. Richiudo la porta alle mie spalle. La raggiungo dietro la scrivania e la abbraccio. È un abbraccio lunghissimo. Poi ci stacchiamo e lei mi bacia. Un bacio castissimo. Ci stacchiamo.
"Ora passerà un altro anno prima di poterti abbracciare di nuovo", dice.
"Sì, questo è il nostro patto. Possiamo scriverci tutti i giorni ma vederci solo una volta all'anno"
"Sì"
La guardo e lei mi sorride. La abbraccio un'ultima volta. Poi mi stacco, apro la porta e me ne vado sussurrando "A presto".

Una serie di (s)fortunati raccontiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora