Capitolo 3: Il Triangolo delle Bermuda

232 28 8
                                    

Kakyoin posò la sua tazza di caffè sullo sgabello accanto al suo. Piantò i piedi a terra, e si lanciò indietro con la sedia con le rotelle, le ruote che stridevano quel lamento alto e fastidioso. Piegò al testa a sinistra, a destra, controllando ogni angolo per assicurarsi che fosse proporzionato e realistico.

Kakyoin lasciò un sospiro.

Era finito per disegnare Jotaro, di nuovo. Non intenzionalmente.

Doveva essere uno studio di anatomia con pittura a olio per il suo portfolio. Voleva fare pratica con i muscoli della schiena, dalle spalle alla vita. Stava andando come pianificato, finché Kakyoin inconsciamente non aveva aggiunto un segno a stella sulla spalla sinistra, assieme a capelli neri e mossi sul retro del collo. Era finito per dipingere braccia spesse e forti, tesi e tenuti in aria, come se si stesse preparando a colpire qualcuno.

Erano passati 4, tra un po' 5, anni da quando Jotaro si era trasferito per seguire la biologia marina all'estero. I primi pochi mesi, si chiamavano ogni giorno, poi si ridussero a 5 volte a settimana, 4 volte, 3 volte, 2 volte a settimana pian piano che il tempo scorreva. Jotaro era pieno di lezioni e lavori interni e una montagna costante di compiti. Kakyoin non era diverso. Portfolio da completare, progetti a lungo termine da perfezionare e molti ma molti compiti di altre materie. Il primo anno di università li aveva colpiti entrambi peggio di un toro inferocito. Jotaro aveva fatto visita in un totale di 3 volte, una ogni anno eccetto per il quarto (c'era lo stage per lui) e sarebbe passato a vedere Kakyoin dopo essere stato da sua madre.
Kakyoin si ricordò di aver trascinato Jotaro a casa sua per giocare a qualche videogioco che sapeva Jotaro era pessimo, poi a cucinare del ramen istantaneo da adolescenti che erano, e magari dopo a passare la notte a fare la maratona di film o andare in spiaggia.

Però, ci andarono solo una volta quando Jotaro venne a far visita il primo anno.

Dopo essere arrivati in spiaggia, Kakyoin aveva realizzato di aver paura dell'oceano.
Anche se stava bene quando l'anno prima ci erano andati con Porlnareff, Avdol e il signor Joestar, si era pietrificato improvvisamente.

Si era pure ricordato Jotaro che cercava di convincerlo a entrare, tirandolo, come se Kakyoin fosse un piccolo bambino. Kakyoin ricordò anche di essersi aggrappato al braccio di Jotaro come se stesse per morire quando l'acqua gli arrivava alla vita.

Ricordò anche la sensazione orribile che sentì quando Jotaro lo lasciò piano piano. Le onde sembravano opprimenti, 10 volte più grandi, 10 volte più spaventose, tutto l'intento omicida del mondo intrappolato il quelle acque oscure, minacciando di ingoiare Kakyoin. Per essere lanciato per il mare, solo per poi essere rimandato indietro dalla corrente in faccia a delle pietre infestate dai cirripedi per poi ritrovarsi di nuovo un muro d'acqua.

La peggior corrente di ritorno.

Cosa successe dopo era tutto sfocato nella sua memoria. Tutto quello che sapeva per certo era che era scappato, corso, nuotato più veloce che poteva, verso la riva.

Jotaro non chiese mai più a Kakyoin di fare snorkeling con lui.

Kakyoin si alzò, posando una coperta sulla tela per evitare che la polvere andasse sul dipinto. Non era sicuro sul perché avesse paura. L'oceano non era qualcosa di cui avere paura. Beh, c'erano mille motivi, ma, così di punto in bianco? Averne paura così improvvisamente? Kakyoin buttò il resto del caffè lungo la sua gola e uscì dall'aula di arte. Era ora di rientrare.

Jotaro controllò l'orologio posato a vanvera in cima alla pila di libri, 1:29. La scrivania fin troppo piccola era ricoperta di libri e appunti, tutti a penzolare sui bordi del tavolo. 
I pesi che tenevano i fogli disordinavano i libri e gli appunti. Jotaro si passò la mano tra i capelli, buttando per sbaglio a terra il suo cappello dalla testa. Gli occhi gli bruciavano, la luce giallastra della lampada da tavolo gli provocava un dolore ai bulbi oculari fino alla cornea. La sua schiena lo stava uccidendo a stare seduto per troppo tempo, non sentiva più le sue gambe ormai da ore a causa del poco movimento. E nonostante questo, aveva fatto solo una mera metà delle sue tesine.
I suoi insegnanti erano davvero degli schiavisti.
Le tesine erano tutte impilate sulla superficie del tavolo, compiti a scadenza erano infilati in mezzo alle tesine menzionate e progetti da altre materie. Senza contare i lavori extra da quello stage che tanto orgogliosamente aveva tirato.

The Fear of the OceanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora