Era uno di quei pomeriggi mogi, senza colore, in cui il gatto nero a chiazze bianche appollaiato sul davanzale della finestra di fronte alla sua, lo fissava, emettendo tetri miagolii che non poteva sentire. Le finestre erano chiuse da una settimana. Le apriva solo per far cambiare l'aria dopo aver cucinato e per non più di dieci minuti. Il virus poteva entrare.
Quando, velocemente, la sera usciva per scendere la spazzatura, allungava solo metà corpo fuori dal portone, protraendo la mano il più possibile affinchè il sacchetto potesse stare diritto e all'impiedi da solo. Poi correva su per due rampe di scale fino al suo pianerottolo e, col fiatone, richiudeva repentino la porta e filava a lavarsi le mani, con tanta schiuma. Non sia mai che qualcuno infettato avesse toccato il corrimano delle scale o la maniglia della porta d'entrata.
Tutti parlavano di lui: un mostro silenzioso e invisibile, qualcosa di potente e sconosciuto e terribilmente invincibile che non poteva essere evitato se non con l'isolamento.
Avevano proibito di uscire, di mettere il naso fuori casa, di respirare anche solo un metro quadrato d'aria che non era quella contenuta in casa propria, perché la voluttuosa corporatura del virus si insinuava sugli oggetti, sugli indumenti e su tutti i tipi di superfici per più giorni, senza lasciare scampo a chi, malauguratamente, vi avvicinava un centimetro di pelle.
Quella mattina, però, era uscito a comprare le uova. Aveva voglia di pan cake. La piccola bottega di alimentari sorgeva a non più di pochi passi da casa sua, eppure aveva il terrore a percorrere quei metri. Aveva strisciato lungo il muro di cinta del suo palazzo e camminato eretto in un perfetto equilibrio, come se stesse percorrendo il confine di una strada o la riva di un fiume. Tutto gli era sembrato spettrale, a cominciare dall'aria: era ferma e asettica. Nessuno passeggiava lungo l'Adige: nessuna colonia di oche zampettava sul marciapiede in cerca di qualche briciola e nessun cane correva spensierato in mezzo all'erba. L'Osteria della Renga, che con il suo profluvio di odori inondava la piccola valle, era chiusa e anche la gelateria aveva battuto la fiacca. Le auto parcheggiate erano insopportabilmente immobili e i muretti che costeggiavano il fiume sembravano quasi sudici adesso che non vi era gente appoggiata in attesa della corriera. E, d'un tratto, ecco apparire l'immagine della Longa che, nei Malavoglia, aveva preso proprio il colera così, sostando per la troppa stanchezza sulle pietre lisce di un muricciolo, all'ombra di un fico.
Con quello spettrale scenario, sembrava che il virus avesse portato via anche il solo bisogno di respirare a pieni polmoni e il borgo più bello di Verona si era spento, risucchiato dall'immobilità.
Quando si era avvicinato al negozio, le campane avevano cominciato a suonare. Ebbe un lieve sussulto: quel suono, con la sua dirompente fragranza, aveva rotto per pochi istanti l'immutabilità delle cose. Fu in quel momento che avvertì dei passi concitati dietro di lui e gli parse di vederla la Longa, la cara Maruzza, defilarsi, con qualcosa sulla testa. Avrebbe giurato di vederla nuda ed esile, con capelli lunghi e sfibrati. Indefinibile al suo sguardo lo strano oggetto che portava in capo.
Turbato, era entrato presso il mini market, aveva preso un pacco di uova ed aveva salutato appena il commerciante, dopo aver lasciato poche monete alla cassa.
E adesso, era lì, a fissare il gatto della finestra di fronte, ripensando a quanto strano gli era apparso il virus, quella mattina: con le sembianze di una vecchia, spogliata di tutte le sue possibilità, come qualcuno che abbandona le braccia e cede alla rassegnazione; con l'aspetto di chi sa che quel che è fatto è fatto e adesso guai a tornare indietro; con i lineamenti beffardi di chi conosce il proprio genio ma lo ha lasciato volutamente sfuggire, regalandolo al vento del tempo; con il portamento di qualcuno che sa di indossare una corona, ma sa anche che portarla significa rischiare di essere scoperti e, alla fine, annientati.
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Quarantine's tales
Short StoryMi sono trovata a scoprire su instagram una sfida "d'arte" denominata "INKUARANTENA" perché una mia amica ha cominciato a postare foto dei suoi disegni e della lista dei 24 titoli. Mi sono appassionata e ho spulciato sui vari profili che avevano ade...