05. Serratura

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Chiusa a chiave dentro la sua casa, contava sul calendario da quanti giorni non lo vedeva. Era un rituale che faceva ogni mattina, appena alzata, con la tazzina del caffè in mano e il suo terzo figlio di due anni appena, attaccato alla caviglia.

Poi, puntuale come sempre, suonava l'orologio del suo corpo e filava in bagno a svuotare le viscere, contenta, per quei pochi minuti, di vivere un momento solitario in cui poteva non sentirsi in colpa nel pensarlo. Se fosse stato tutto così semplice come defecare, sarebbe uscita da quella situazione anni e anni fa, lasciandosi tutto alle spalle e ricominciando.

Non era stato così, per fortuna. Ad oggi, non saprebbe nulla su sé stessa se avesse deciso di non intraprendere quella strada. Non saprebbe che è, al contrario di quello che pensavano molti, un'acuta osservatrice, qualità che le permetteva di indagare più a fondo sulle cose meno evidenti; una figlia estremamente prudente per non cadere mai nella certezza di aver sbagliato; un'amica silenziosa per trarre giudizi buoni e giusti nell'oscurità della sua camera da letto; una mamma spiritosa per poter dare l'impressione di essere superficiale, qualche volta; una moglie che sa stare al suo posto, senza troppe pretese e apparentemente e moralmente corretta; ma anche e soprattutto una donna paziente, per poterlo aspettare sempre e per sempre, per tutti i giorni della sua vita. Tutte queste qualità, aveva saputo di possederle grazie a lui e alla loro relazione che, ormai da quasi vent'anni era appesa ad un filo, a metà tra la realtà e le tante inevitabili bugie.

A tal proposito, si era chiesta più volte che senso avesse l'atto in sé del matrimonio. Le promesse non hanno bisogno di essere dette, né di essere condivise o approvate, ma solo difese, a spada tratta, contro le intemperie della quotidianità. Si erano detti questo molte volte: tu ci sei per me, io ci sono per te, aldilà dei figli, aldilà di tutto.

L'avvento della pandemia non aveva cambiato le cose. Solo che adesso, l'incertezza del futuro, le pesava di più. A volte ci pensava a come sarebbe stato se uno dei due fosse morto o fosse stato così male da non vedere l'altro. Lei o lui sarebbero stati in grado di resistere nell'ombra, in attesa di una qualsiasi notizia sulla rispettiva condizione di salute? Poi, però, lasciavano cadere l'argomento nella gabbia di pensieri la cui risposta sarebbe stata data dal tempo.

Sentì cinguettare dei passeri sul balcone e li spiò, cercando di capire se avevano fatto il nido o erano lì solo di passaggio. D'altronde, era questo che faceva da una vita anche con lui, no? Spiarlo, mentre passeggiava con i suoi figli al parco e lo intravedeva seduto con i suoi amici, una coppetta di granita alla mandorla poggiata sul tavolo. O quando lo osservava dirigere i lavori, in un cantiere non troppo lontano dalle scuole dei suoi figli, con il casco anti-infortunio giallo che stonava con il colore dei suoi capelli. L'occhio volava anche nelle celebrazioni sacre di paese, infiltrandosi tra la folla, ispezionando ogni angolo, ogni volto, ogni accoppiamento e ogni soprabito. Alla fine lo trovava sempre. Eppure, proprio come un passero, si ritrovava in gabbia ogni volta, catturata dalla sua stessa consapevolezza. La consapevolezza che il loro amore era nato così e così doveva restare.

Dunque non poteva immedesimarsi nella disperazione di chi non vedeva l'ora di uscire e tornare alla vita normale. La condizione di attesa del mondo intero le andava a pennello, insieme alla sua perenne staticità.

Con la chiave in mano della sua gabbia di pensieri, si tappava gli occhi, tra un capriccio e un disastro, e aspettava lo squillo del telefono. Se era lui, forse, poteva tentare di aprire, ancora bendata, la porta di casa per raggiungerlo in uno di quei pomeriggi infiniti, senza luogo stabilito e con un mucchio di cose da dirsi. 

Quarantine's talesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora