Il maglio batteva il suo canto intermittente prima del gallo, a salutare la luna che scappava dal cielo, dietro le montagne.
Era il segnale che un' altra notte era passata, che il fiume non aveva smesso di scorrere e che il sole sarebbe sorto. Quel maglio batteva e batteva, come per sfiatare le energie del gigante mutilato che lo brandiva. La fucina si trovava fuori dai limiti del villaggio, un avamposto sull'unico sentiero che al villaggio portava. Nemmeno gli anziani sapevano da quanti anni quel capanno scuro di fuliggine e storie ne proteggesse l'entrata. Era cosa nota che il mestiere passasse di padre in figlio, di storpio in storpio, di gigante in gigante. Alle donne era proibito recarvisi,così come ai bambini, ma le storie raccontate nelle serate d'estate, quando il torrente non correva e le pale del mastice non giravano, erano un richiamo troppo forte per obbedire ai genitori.
La giornata passava, la cena era servita, il cieco visitava lo storpio e gli portava da mangiare. I bambini sgattaiolavano fuori dai letti e andavano a trovare il fabbro.
Bronte era il suo nome, o almeno così lo chiamavano in soggezione gli adulti quando vi si recavano, come se per un qualche motivo avessero dimenticato di quando da bambini si affacciavano dalla palizzata dei campi sperando di vedere ferme le pale. Per i bambini era semplicemente "l'uomo nella botte".
Il fabbro era un uomo enorme, con un torace irsuto e mastodontico, ma privo delle gambe. Per lavorare, così come suo padre prima di lui, sedeva in una botte incatenata a terra, tra la fornace e l'incudine, una botte di rovere e acciaio, piena di pietre e carbone.
La capanna era solida, fatta di tronchi, sterco e pietra, con un pavimento in mattone e un tetto di enormi travi di legno da cui pendevano catene, che il gigante usava per spostarsi.
Non vi era un tavolo né un letto. Per terra a un metro dalla botte c'era una bianca pelle, morbida al tatto. La stuoia era sempre candida, come se il gigante non la toccasse affatto. Era su quella pelle che prendevano posto i bambini, ci sedevamo gli uni vicino agli altri, muti ad osservare la schiena del colosso sollevarsi torcersi e distendersi nella sua danza maestosa e brutale,seguendo con gli occhi le minute gocce di sudore che gli rigavano la scura schiena, che quando toccavano terra diventavano ognuna un pozza di dimensioni impressionanti .
Il martello batté a vuoto sull'incudine, la gigantesca mano si sollevo ad afferrare una catena dal tetto e accompagnato da uno spostamento d'aria "l'uomo nella botte" si girò verso i suoi minuscoli ospiti.
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La Fucina della Realtà
FantasiBASTA! I LUPI MANNARI E GLI/LE ADOLESCENTI IN CALORE HANNO DATO SU QUESTA PIATTAFORMA Spazio a un fantasy che cerca di somigliare più a un Brooks o a un Verne che a un Meyer. Non prometto che il risultato vi sia gradito, ma io ci metto le migliori...