Salamandra

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La bonaria maschera che aveva celato i sentimenti del viaggiatore andò in frantumi insieme con la resistenza del ragazzo. I capelli divennero d'improvviso più radi e fini, del colore della polvere; le orecchie aumentarono di dimensioni e pesantezza, così come le rughe sulla fronte e intorno alla bocca si affossarono, moltiplicandosi. Mentre l'intero viso e il corpo di Chahid si liberava, e riviveva il tempo celato, gli occhi mantenevano la stessa brillantezza, ma l'odio, le cui fiamme l'uomo aveva fino ad allora soppresso, divampò ovvio e terribile nello sguardo fisso sul ragazzo. 

<< Come puoi essermi utile? >>, ringhiò fuori Chahid dal profondo del petto; il risentimento e il dolore di quelle poche parole fuoriuscivano come miasmi da ferite così orribili e profonde che decadi intere non erano bastate a richiuderle; ferite le quali, alla sola vista del ragazzo, avevano ricominciato a pulsare fuori il liquame purulento misto al sangue che ancora le riempiva.

Per ottant'anni questo rivolo tossico gli aveva impregnato le membra, spingendo avanti il viandante nella sua ricerca, nella sua caccia. Questo piccolo flusso di veleno che dal cuore gli  intossicava la mente, e dalla mente l'anima, vedendo il ragazzo era divenuto d'un tratto un torrente, che a fatica era riuscito ad arginare con la sola determinazione. Era riuscito a tenere la maschera intatta, gli si era avvicinato con tutte le precauzioni che un nemico di tal fatta richiedeva. 

Nonostante la notevole forza che aveva percepito inizialmente, era riuscito a vincere lo scontro con una facilità tanto sorprendente da essere surreale. Forse proprio per lo sforzo minimo che gli era costata, la vittoria non gli bastava: la sete di vendetta che lo possedeva non era stata sedata: bramava come una fiera ferita e affamata di poter affondare di nuovo le zanne nella carne pulsante della preda ferita, prima che il cuore di quest'ultima smettesse di battere. 

Il cuore chiuso, la mente sbarrata e l'anima corrotta erano state precauzioni inutili nell'affrontare questo Neodimo, che si era arreso senza colpo ferire. Nonostante la vittoria, nonostante il trionfo, a nulla erano valse le sue precauzioni: la sfacciataggine del mostro che si trovava davanti aveva reso obsoleta la sua forza di volontà nel trattenere l'immensità dell'odio che covava; odio che, dilaniando le ferite del cuore e sgretolando la diga della mente, aveva preso possesso della sua anima, rivelandone la vera natura. 

Drume dall'altro capo del tavolo percepì il comune senso di repulsione, l'odio viscerale che gli  rivoltava addosso il rudere umano che lui non osava guardare. La repulsione era una sensazione a cui il ragazzo era abituato, ma quell'odio così viscerale da essere motivato era una novità per il giovane. Quando il vecchio ringhiò fuori la risposta alla sua domanda si rese conto che non era lo stesso uomo di prima, non era più corazzato da quel manto di intoccabilità e potenza: quegli occhi che prima lo avevano inchiodato col terrore sembravano volerlo incenerire con la forza bruta della rabbia che emanavano. D'istinto il ragazzo sollevò gli occhi dal tavolo e li puntò sul vecchio; lo commiserò per quel sordo dolore che non riusciva a comprendere, ma ugualmente rispose con indifferenza annichilente a quell'odio che sentiva lambirgli l'anima e le membra. 

Se Chahid non si fosse lasciato travolgere dal marciume che scaturiva dal suo dolore e non avesse cambiato il terrore, cui Drume non era abituato, con l'odio, sentimento al quale il ragazzo s'era temprato per diciassette anni; se insomma il suo dolore non avesse prevalso sulla sua determinazione, il ragazzo sarebbe stato perduto. 

L'odio a cui Drume era così uso, fu come il fuoco per il fabbro: l'elemento così distruttivo nelle mani di chiunque altro è lo strumento tramite cui l'uomo abile forgia il proprio futuro.



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