Airplanes

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can we pretend that airplanes
 in the night sky
are like shooting stars

Alec  si sentiva estremamente solo, come se tutto il mondo in quel momento ce l'avesse con lui. Come se fosse solo e solamente un problema. Forse, probabilmente, lo era. 

Aveva fatto coming out con la sua famiglia la sera stessa. Si era sentito pronto, carico, felice di voler finalmente mostrare al mondo chi era davvero, non chi tutti volevano che fosse. Sapeva perfettamente che i genitori non l'avrebbero presa bene fin da subito, sperava semplicemente in una reazione più, diciamo, discreta. Avrebbe mentito se avesse detto che non voleva con tutto il cuore che lo abbracciassero e che gli dicessero che nulla avrebbe cambiato l'amore per lui, ma razionalmente sapeva che non sarebbe mai successo. Solo non si aspettava... quello.

Non si aspettava che il padre si alzasse di scatto da tavola, dov'era avvenuta la rivelazione, e gli urlasse contro come se fosse un mostro. Ricordava vagamente quello che gli aveva rivolto, le uniche parole che continuavano a gironzolare per la sua testa erano poche. Abominio, scarto umano, malato, disonore. Gliele aveva dette con tutta la rabbia di cui era capace, mentre Alec lo guardava impietrito, senza poter fare nulla. Non piangeva, non parlava e non si difendeva. Il ragazzo guardava soltanto il padre con un buco al petto, all'altezza del cuore, mentre tutte le sue speranze si sgretolavano e le sue paure ritornavano per tormentarlo.  

Si rese conto di ricordare tutta la scena a rallentatore, come se guardasse da lontano, come se non ne facesse parte.

Ricordava Isabelle, sua sorella, accanto a lui, che piangeva stringendogli le mani, guardando il padre con odio. Ricordava Jace, che lo difendeva al suo posto, urlando anch'egli contro colui che aveva sempre chiamato padre. Ricordava Max, che guardava il tutto con sguardo confuso, avvicinandosi alla mamma e aggrappandosi a lei. E poi c'era, appunto, sua madre. Quando aveva pronunciato quelle parole, lei era rimasto a guardarlo impassibile, con occhi seri. Non si espresse nemmeno quando il marito lo insultò. Alec presumette che fosse d'accordo con lui. 

Quindi, quando l'uomo aveva finalmente finito di urlare, si alzò. E scappò. Uscì di casa il più velocemente possibile, corse e corse, con le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento, che gli solcavano incontrollabilmente le guance, mentre il suo cuore si spezzava.

Perché? Perché non poteva essere chi voleva? Perché non poteva amare? Da quando il cuore aveva un sesso?

Corse ancora, mentre tutti i più bui pensieri e riflessioni gli si riversavano addosso, fino a quando non si sentì sfinito, a pezzi. Si fermò in un parchetto, teoricamente chiuso, totalmente isolato e buio.

La parte razionale gli disse di andare via, che non fosse saggio isolarsi in un luogo così lontano dalla vita urbana, che fosse pericoloso. La parte invece morale gli disse di restare, di rimanere solo. Alec la ascoltò. 

Aveva davvero bisogno di respirare. 

E così, si ritrovò appoggiato ad un albero, seduto sull'erba, osservando il piccolo laghetto che aveva davanti, che rifletteva le stelle. Non c'erano molte luci, ciò consentiva di osservarle perfettamente. Era tutto così calmo. Tutto ciò che il ragazzo sentiva era qualche grillo e il rumore del suo stesso respiro. 

Questo sembrò rilassarlo. Poteva essere chi voleva, quando era da solo. Beh, avrebbe preferito farlo sempre, ma per quella serata bastava così. Chiuse gli occhi, respirando l'aria pulita.

Era così, finalmente, in pace con se stesso, che non si accorse dei passi che si avvicinavano sempre di più alla sua persona. Erano passi leggeri, quindi fu abbastanza plausibile il fatto che Alec non riuscì a sentirli. 

Fino a quando una voce non lo risvegliò dai suoi pensieri, facendolo balzare in piedi allarmato. <Cosa ci fai qui tutto solo?> chiese. 

Alec si voltò verso l'interlocutore, spalancando gli occhi azzurri. 

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