4. La Città delle Ossa

62 19 18
                                    

Karal avanzò, cercando di raggiungere la parte più alta di quel promontorio, per poter scorgere segni di vita.

Il caldo iniziò a giocare brutti scherzi, a tratti gli parve di sentire la voce di Maride che lo insultava per non aver seppellito il cadavere, a tratti gli parve di sentire Lunakba che lo sbeffeggiava per aver creduto all'assurda storia della spada.

«State zitti!» gridava, coprendosi le orecchie «Siete solamente voci nella mia testa!».

Bevette un piccolo sorso dalla borraccia, ma faticò ad inghiottirlo, sembrava letteralmente di bere urina calda.

Tirò fuori la lingua contraendosi dal disgusto.

«Quanto pagherei per del buon vino» borbottò.

Giunse infine nel punto più alto del promontorio, che pareva un corno ricurvo tanto era stato levigato dal vento.

Appoggiandosi ad una roccia scrutò la valle.

Il suo cuore si colmò di gioia quando vide una città.

Sapeva in fondo che non poteva essere solo in quel mondo maledetto, o forse solamente ci sperava con tutte le sue forze, e quella non era l'unica buona notizia.

Karal avrebbe potuto fare li scorta di cibo e acqua, per poi ripartire alla ricerca della spada.

Si promise di non scordarsi della strada che conduceva al portone, e si avviò verso la città.

Scendere fu quasi più faticoso che salire, infatti quel promontorio era un alternarsi di strapiombi e rocce acuminate, che spesso franavano sotto le possenti gambe del guerriero, costringendolo ad utilizzare la spada come appiglio di emergenza.

Dopo diverse cadute constatò che la lama della spada era in procinto di spezzarsi, oltre che smussata e rovinata.

Sperava in cuor suo di non doverla usare fino alla città, dove se ne sarebbe procurato un'altra.

Non sapeva ancora come avrebbe pagato per le cose di cui aveva bisogno, o meglio, non sapeva se avrebbero accettato i suoi soliti pagamenti.

Karal, infatti, raramente si portava dietro denaro, ma quando necessitava di qualcosa, si metteva a servizio del fornitore, metteva la sua forza e agilità a beneficio di chi gli stava vendendo ciò di cui aveva bisogno.

Uno shardana non si interrogava su ciò che era moralmente accettabile o moralmente deplorevole, seguiva solo il suo codice di onore: non uccidere gli indifesi, non rubare, non proferire menzogna.

Tutto il resto era trattabile.

Una volta un ricco nobile di Ur lo aveva assoldato persino per soddisfare la propria moglie, e Karal non si era certo tirato indietro.

Se invece veniva assoldato per uccidere qualcuno, il suo codice d'onore gli consentiva di farlo solo in duello alla pari. Per questo, nel suo mulo, portava sempre una seconda spada, che chiamava "La lama del condannato".

Il guerriero arrivò a qualche centinaio di metri dalla città. Si presentava come una grande fortezza, tanto da sembrare Ilio, città dell'Asia minore, o Troia, come la chiamavano gli Achei.

Le sue mura erano alte una ventina di metri, e sembravano ben salde e spesse, decorate da parapetti di marmo.

Il cancello era poco più basso delle mura, completamente decorato da affreschi dorati, e preceduto da due enormi statue di mostri simili a demoni alati.

Davanti all'ingresso vi era una moltitudine di schiavi che picconavano il terreno, scavando il fossato, e un viavai di guerrieri in armatura nera che piazzavano lunghi pali aguzzi.

La leggenda di Karal: Gli Dei Senza NomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora