È una vita che faccio la bella vita

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Mi capita continuamente di essere fermato per strada da dei ragazzi e ogni volta è la stessa storia: mi riconoscono, mi salutano e poi partono con il solito tormentone.

《Che culo Emi, te ne vai allo stadio con Balotelli.》

《Che figa quella con cui ti ho visto l'altro giorno, beato te, Emi.》

《Chissà quanti soldi ti sei fatto coi dischi, eh.》

Sono frasi che sento e risento ogni giorno, come una mantra che mi perseguita sempre uguale.

《Ma perché?》mi chiedo.

Spesso lascio perdere, li faccio parlare, ci vorrebbe troppo tempo per spiegare come sono andate le cose, come ci sono arrivato: devo andare da qualche parte, ho un lavoro, una vita, degli amici, non posso fermarmi ogni volta.

Molti ragazzi vedono un tizio sconosciuto che va a un reality e la mattina dopo si sveglia con centomila contatti su Facebook e pensano che quella sia la strada: ma non è così. La popolarità è qualcosa che in questi anni puoi ottenere e perdere in pochi secondi. E non è detto che basti a cambiarti la vita.

Quando trovo il tempo di farlo, quello che provo a rispondere è un'altra cosa.

E cioè che io penso che sia da una vita che faccio la bella vita: da molto prima di diventare famoso, di guadagnare bene come adesso, di potermi permettere cose che a quindici anni non mi sarei neppure sognato.

La mia bella vita è cominciata nel momento in cui, dopo disastri scolastici, piccoli furti per pagarmi le sneaker o la discoteca, pasticche ingerite per rincoglionirmi e tutto il campionario di cazzate in cui si infila un quindicenne come tanti senza prospettive, un giorno sono rientrato a casa e mi sono messo nella mia stanza a studiare la musica, a provare delle rime. Ascoltavo su cd masterizzati ragazzini come me che facevano freestyle, che si sfidavano a colpi di rime e mi sembrava finalmente di aver trovato quello che cercavo.

Nei loro testi c'era la strada, c'erano gli amici, un modo nuovo per parlare dei problemi e delle paure senza chiudersi in se stessi, andare da uno psicologo o piagnucolare sulle proprie sventure.

I cantautori raccontavano l'amore: 《Farfallina, perché non mi ami più》, ma io volevo qualcuno che mi spiegasse perché ero così incazzato, che mi dicesse perché mi sembrava che la mia vita non avesse vie d'uscita. E quelli dell'hip hop parlavano proprio di questo.

Volevo farne parte anch'io.

E ho visto che scrivere rime mi rendeva felice, molto prima di capire che mi avrebbe aiutato a pagare l'affitto. I ragazzi adesso vogliono tutti diventare famosi: ma diventare famosi è la conseguenza di un buon lavoro, e non può essere la cosa più importante.

Questa che si definisce "bella vita", io la facevo già a vent'anni, quando sono uscito di casa, sono andato ad abitare da solo, avevo già qualcosa di simile a una vita adulta e mi potevo concentrare su quello che mi piaceva. Anche se nessuno fuori dalla scena hip hop sapeva chi fossi. Emis chi? Emis che?

C'è un episodio che racconto spesso: sono partito da Vimercate in motorino per andare a Milano e mi fermano degli sbirri per un controllo.

《Carta d'identità》dicono.

Io la estraggo dalla tasca e gliela passo.

《Guarda qui》dice il poliziotto al suo collega, porgendogli la mia carta aperta e indicandogli la voce "professione".

《Musicista...》dice, ridendo.

《Ma musicista dove, che vai in giro con 'sto motorino scassato?》chiede ridendomi in faccia.

《Sì, musicista》 è la mia risposta.

Oggi ripercorro quella strada a bordo di una macchina a 360 cavalli, o su una delle mie due Harley. Vorrei che mi fermassero ora per vedere se gli scappa ancora da ridere leggendo "musicista" sulla mia carta d'identità.

《Sì, musicista》.

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