Crescevo pieno di fottute psicosi

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Dopo il pomeriggio in macchina con Aigor, continuo a pensare a quella musica che mi è entrata nel cervello e c'è rimasta. Allora vado da un mio amico che ha il pc e gli chiedo se mi scarica un po di questa roba hip hop. È così che ho cominciato a saltare dall'uno all'altro e a entrare in questo mondo.

Ho quattordici anni e per i successivi due, tre anni l'attività principale della mia giornata è procurarmi sempre nuove cose da ascoltare. Sento una canzone di Bassi Maestro, che ha fatto un pezzo con Mondo Marcio, che fa freestyle con Ensi, che a sua volta collego a un gruppo... e via dicendo.

E dopo un po' li conoscevo tutti, avevo sempre queste cazzo di cuffie in testa e non facevo altro che ascoltare musica, andavo a letto con la musica e mi svegliavo con la musica.

Oltre al pezzo di Bassi Maestro con Fibra, ce n'è un altro che mi fa impazzire, si chiama Vale la pena e lo canta Lord Bean, alias Luca Barcellona:

Da piccolo schivavo le overdosi,
rubavo vestiti stilosi costosi
per rivenderli ai fighetti incashati mocciosi,
crescevo, pieno di fottute psicosi.

Mi piace quella frase,《crescevo, pieno di fottute psicosi》, mi piace perché è esattamente quello che sento io. Sento queste canzoni e non smetto più di ascoltarle perché capisco che, per scrivere dei testi del genere, devono stare male anche loro. Sono circondato da gente che, quando comincio ad avere dei problemi, a farmi delle domande e a stare male, mi dice:《Ma dai, zio, cazzo te ne frega, appizza 'sta bomba, stendi una raglia》.

Mi crederanno pazzo ma non farò mai il pagliaccio,
adesso questi tipi fanno piazza sotto casa mia,
fanno dei discorsi che li sfotte anche mia zia,
hanno gli occhiali, la camicia e una laurea in economia,
babbi, sono babbi, ma babbi di brutto
e stan con delle cozze con due dita di trucco!

Ascolto queste parole e penso che loro sono dei matti, ma soprattutto che io sono come loro. Penso: cazzo, loro soffrono e sono incazzati esattamente come lo sono io, e sono più felice.

Quello che esprimono non è il malessere di uno come Tiziano Ferro che parla d'amore e di sentimenti: io non avevo problemi d'amore e quindi la sua musica non mi dava alcuna risposta. Il mio problema era stare al mondo e i rapper parlavano proprio di questo.

Loro erano incazzati perché non trovavano spazio, perché la società non li riconosceva, perché erano dei reietti. Ne facevano una questione anche di lavoro, di far soldi. Io ero al livello precedente, a quattordici anni avevo già finito la scuola e non c'era verso di farmi studiare, non mi interessava, stavo male; facevo qualche lavoro e mi rompevo rubito i coglioni, perciò sentire qualcuno che era messo come me mi confortava.

Questa musica va dritta al cuore e al cervello e io continuo ad ascoltarla come un ossesso. Imparo a orientarmi fra i vari artisti e mi sento anch'io parte di questa cosa che non passa né in tv né alla radio.

Ma l'album che veramente mi illumina in questa prima fase d'ascolto è Mi fist dei Club Dogo. Ascolto questo cd masterizzato e mi cattura completamente.

Sento il disco e ne sono affascinato, c'è Milano dentro. Ci sono i posti, le strade, i locali e cammino in un mondo che ancora non conosco ma che sento già mio.

Ci sono dei riferimenti precisi e capisco subito che mi appartengono, sono proprio da zarro del quartiere. Dentro i testi ci sono cose che conosco: il booster, le marche di vestiti, la droga, le risse, le tipe.

Insomma, fanno rap ma sono zarri e li sento vicino a me e al mio mondo, per quello che dicono e per il modo che hanno di parlare, mi rappresenyano appieno e in più fanno parte di una realtà che per me è l'obbiettivo.

Milano per me è l'America e questi me la raccontano.

 

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