🐖🐇 parte 1 Seo Changbin

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Il sole giocava a nascondino tra le fitte nuvole, la nebbia, grigia e fredda inghiottiva gli staglianti alberi che s'affacciavano su una radura verde e gelida. Il silenzio attanagliava il luogo, gli uccelli volavano silenziosi mentre i corvi gridavano con fare allarmante. Gli animali fuggivano impauriti appena coglievano quella nuova presenza nella loro dimora.
Disteso nel bel mezzo della radura vi era il corpo di un uomo dalle larghe spalle, vestito con larghi pantaoni marroni e una maglia bianca anch'essa molto larga. L'umidità della nebbia bagnava quel corpo che pareva morto, l'erba fredda gli accarezzava il viso con non troppa cura.
I corvi improvvisamente cessarono il loro canto e l'uomo si destò.
La confusione attanagliava la sua mente che continuava a colmarsi di domande, quando s'era addormentato era certamente sicuro di non trovarsi in quel luogo.
Era solo, disteso in quella radura sconosciuta. Si mise seduto e osservò la cupa foresta alla sua destra, alberi che sferzavano il grigio cielo. Il silenzio era corposo, sembrava quasi che qualcuno lo stesse osservando. Voltò il capo a sinistra e notò un imponente cancello coperto di un'edera ricogliosa e morbida che s'arrampicava lungo il ferro del cancello e le mura adiacenti.
Lì, alla sommità di quella porta di ferro stavano coloro che l'osservavano. Sette corvi battevano le palpebre e ruotavano la testa mentre guardavano quell'estraneo.
L'uomo di avvicinó e provó ad entrare, non trovó difficoltà, avanzó per un sentiero lastricato dismesso e parzialmente ricoperto di muschio. Si voltò di nuovo verso il cancello e quei corvi ancora lo guardavano.
Entró in un giardino ormai in rovina, alcuni alberi verdi e ricogliosi affondavano le loro radici massicce nel morbido terreno scuro, risalivano in superficie per poi riaffondare, altri alberi eran invece spogli e grigi, scheletri di una stagione dimenticata.
Sul lato destro del lastricato il giardino mostrava una fontana sommersa da miseria e rovi, era imponente ma ormai caduta in rovina, inghiottita dalla natura. L'erba era alta e incolta, fiori selvatici sorgevano in ogni dove. In lontananza si riconosceva una pianta di glicine che inghiottiva il muro di cinta di quel posto, sommergendolo di intricati rami sinuosi.
Al lato sinistro invece s'ergeva la statua di una donna con tra le mani una bilancia che difficilmente si riusciva a riconoscere, il muschio s'arrampicava su di essa e l'usura del tempo si mostrava vivida. Accanto una pianta di rose ormai senza controllo stagliava i suoi pungenti rami in ogni dove, attanagliando quella statua in una morsa dolorosa.
La nebbia aleggiava nel giardino e copriva parte di esso.
Infondo al breve sentiero si staglaiva un palazzo in pietra nera, dalle forme gotiche e ricercate, in parte coperto da nebbia e vegetazione.
Il portone d'ingresso era chiuso, quando provó ad aprirlo notó non con troppo piacere che era aperto. Lo spinse con facilità e si trovò dinanzi una sala vuota e cupa, silenziosa e non di certo messa meglio del giardino. Scese i pochi gradini che lo separavano dal pavimento della sala fatto di grandi massi grigi. Poco più avanti un logoro tappeto color porpora era steso sul pavimento. Lungo i muri, sotto le altisime finestre vi era una fila di armature esposte, o almeno cosí poteva notare, la luce che filtrava dalle finetre non gli permetteva di vedere bene.
Avanzó lungo il tappeto e due rampe di scale in marmo grigio convergevano a un piano superiore con un movimento sinuoso, quasi a ricordare della lava colante, densa e placida. Tra le due scalinate, si trovava una teca di vetro al cui interno era riposta una mano umana.
Il volto dell'uomo sbiancó e fece qualche passo indietro mentre il terrore s'insediava a poco a poco nella sua mente.
Pesanti passi iniziarono a rieccheggiare per l'immensa sala, grida di corvi, scalpitii di zoccoli, urla di donna, ruggiti. Si sentí le gambe deboli, lentamente si voltó maledicendo se stesso per esser entrato in quel posto.
Luci blu iniziarono a fluttuare nell'aria e a illuminare tutta la sala, mostrando agli occhi di quell'uomo ciò che non avrebbe mai creduto di vedere, che soltanto da bambino credeva esistessero. Centauri, minotauri, unicorni, fauni, gargoyle, grifoni, driadi, ninfe, gnomi, goblin e tante altre creature che nemmeno sapeva nominare. Si schiaffeggió, non era affatto un sogno.
Un gargoyle avanzó e l'uomo terrorizzato indietreggió, cadde e nel terrore di esser divorato vivo provó a rompere la teca con un masso per dar loro in pasto quella mano, per cercar di fuggire.
<<RUFUS!>> tuonó una voce di donna. <<Disturbi il nostro ospi->> l'uomo si ritrovò con una lama puntata alla gola e il capo rivolto al soffitto dalle mani di una donna che non riuscí a vedere in volto. <<Getta quella pietra.>> La voce di lei suonó sicura e tagliente, intimorito provó a colpirla, ma qualcola lo fermó, le sue dita s'aprirono contro la sua volontá e il sasso cadde a terra rompendo il silenzio nella sala. <<Che cosa sei?!>> Ella lo lasció andare senza preoccuparsene troppo, salí le scale con pacatezza mentre dalla folla di creature una minuta dai lunghi capelli verdi la segui. La donna indossava un lungo abito nero su cui calava un velo nero, abbastanza lungo da toccar terra. Portava i capelli acconciati in una lunga treccia elaborata, sul viso portava una veletta che lo nascondeva a occhi indiscreti. Sembrava in lutto. <<Sulfus!>> <<Mia signora...>> Si fece avanti un cavallo dal manto nero come carbone, esbì un inchino scricchiolante. <<scorta il forestiero nella sua stanza>> Concluse la donna scomparendo.
<<Seguimi>> L'uomo non disse altro e camminó accanto al cavallo che emanava un forte calore. <<sei molto fortunato, sei il primo umano che non uccide.>> Continuó il cavallo. <<Ne sono capitati altri qui?>> Domandó l'uomo non del tutto stupito. <<Molti sono gli umani che si perdono nella foresta e si imbucano qui, sfortunatamente vengono dati tutti in pasto ai draghi, non si sa perché. Tu devi avere qualcosa di diverso... non sei come gli altri... tu, sei pulito.>> Guardó l'equino che continuava a scricchiolare a ogni passo, il suo manto non era liscio, non sembrava pelo, somigliava a carbone. Camminando, qualcosa si staccó dal suo corpo, mostrando del rosso vivo, brillante, sotto quello spesso strato nero. <<Come ti chiami?>> <<Changbin>> <<Benvenuto alla Reggia Fantásia Changbin.>> <<Grazie>> <<Questa é la tua stanza>> Concluse Sulfus lasciandolo solo.
Changbin entró nella stanza che non era messa male quanto si aspettasse, era ampia e accogliente, sempre cupa ma forse era lo scoppiettio del fuoco a renderla meno oscura. A ogni angolo della stanza dei fuochi blu si accesero e permisero all'uomo di osservare meglio quanto contenesse la stanza. Dinanzi al camino vi era, addossato al muro, un letto a baldacchino dalle tende scure e impolverate, accanto un piccolo mobile vuoto, sul muro adiacente al letto stava un canterano in legno ormai quasi marcio e divorato dalle termiti. Infondo alla camera vi era una piccola libreria vuota colma di polvere e una alta finestra dalle forme gotiche che dava su un lato del giardino. Era al primo piano e vedeva oltre le mura della reggia, non vi era nulla, solo nebbia e alberi. Changbin iniziò a sentirsi stretto in quel posto. Si voltó e accanto al letto vide un grosso baule finemente intarsiato e, adiacente al muro una piccola scrivania con tanto di penna e calamaio. Si guardó intorno pensando a come fosse capitato lí, per quale motivo, chi era quella donna. Osservó la mano in cui pco prima teneva la pietra e si chiese cosa mai sarebbe accaduto se avesse preso quella mano dalla teca. <<A che pensi?>> <<Chi ha parlato?!>> Esclamó l'uomo. <<il fuoco alla tua destra>> <<Il fuoco ha parlato?!>> Rispose voltandosi verso il fluttuante fuocherello blu. <<Si ho parlato, rispondi alla mia domanda>> <<hai un nome?>> Il piccolo fuoco sospiró esasperato e rispose:<<noi fuochi fatui non abbiamo nome>> <<E... cosa faresti?>> Farfuglió l'uomano in risposta. <<un tempo eravamo venerati, guidavamo gli smarriti verso il loro destino... ora nessuno si ricorda più di noi e ci limitiamo a far luce.>> <<Chi é la donna che mi ha attaccato?>> <<lei ha solo difeso la sua teca, non ti ha attaccato, sei stato tu a farlo per primo.>> Changbin gli parve confuso, sospiró di nuovo e risprese:<<Nessuno in questa reggia può toccare quella teca. Lei lo vedrebbe come un attacco a sé, la farebbe infuriare.>> <<Chi é lei?>> <<La padrona di questo posto, sei stato molto fortunato... nessun essere umano le é mai andato a genio.>> Changbin si strofinó gli occhi e pensó proprio di crollare su quel letto e non svegliarsi mai più.[...]

I giorni per il povero umano sembrano non scorrere più per la noia in cui riversano le giornate. Lento scorre il tempo in quella reggia lontana da tutto e tutti. Uno dei pochi animali con cui può intrattenere conversazioni é Sulfus, gli altri, specialmente le driadi, scappavano ogni qual volta incrociavano il suo sguardo.
Una sera, visibilmente annoiato, scese delle scale a chiocciola che portavano a un sotterraneo, era in cerca di qualche libro da leggere, non l'avrebbe di certo trovato lí sotto, ma qualsiasi cosa era meglio di star fermi.

"Ora davanti a tutta quella gente... si sentiva sbagliato, come lo era sempre stato. Il traditore."
<<Mia signora...>> <<Dimmi Scarlett.>> <<Avevate chiesto di chiamare l'umano per la cena>> <<Esatto>> <<Sulfus non lo trova>> Il volto della donna s'incupí lestro è si alzó dalla scrivania, fece per andare a cercarlo di persona ma il castello tremó dalle fondamenta e un ruggito rieccheggió su tutte le mura. <<quello era-?!>> <<Maledizione.>>
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𝕿𝖍𝖊 𝕭𝖔𝖔𝖐 𝖔𝖋 𝕾𝖍𝖔𝖙𝖘Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora