capitolo 3

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Erano atterrati e scesi dall'aereo.  Valentina e Francesco si salutarono con un semplice "ciao". In nove ore di viaggio non si erano detti i loro cognomi, ne scambiati i loro numeri di telefono. Queste erano cose inutili, durante quelle 9 ore avevano fatto tutt'altro.  Sono andati oltre queste cose sciocche, hanno preferito conoscersi sotto altri aspetti e punti di vista. Si erano raccontanti quei dettagli che probabilmente nelle loro vite private nessuno dei loro amici o parenti sapeva. Lo avevano fatto un po' per divertirsi, un po' per liberarsi. Sapevano che non si sarebbero rivisti e gli andava bene così. 

L'uno aveva condiviso delle piccole cose all'altro e si erano divertiti tanto. Erano a riusciti a divertirsi anche parlando di cose serie, davvero toccanti e personali. Si erano divertiti tanto da far dimenticare a Valentina i brutti momenti passati, le delusioni, le sofferenze, i pianti. A lei non succedeva spesso, la vocina terribile che viveva all'interno della sua anima e che non la faceva mai lasciarsi andare in quelle nove ore era magicamente scomparsa, non c'era più, Valentina se ne era stranamente dimenticata. 

Una volta scesa dall'aereo riuscì a ritrovare suo padre e suo fratello ai quali mentì spudoratamente su cosa avesse fatto durante il viaggio.

<Ho letto un po', ho scritto tanto e poi ho dormito, avevo sonno> spiegò Valentina ai suoi due uomini preferiti.

Vale scrive, scrive tantissimo. Vede un immagine che le suscita interesse, apre il telefono, va sulle note, prende una pagina nuova e inizia a scrivere tutto ciò che ha appena visto. Scrive ciò che prova, ciò che vorrebbe provare. Ciò che vive e ciò che vorrebbe vivere. Scrive soprattutto quando è triste, è la prima cosa che fa, non ci pensa nemmeno, le dita vanno da sole e sono in perfetta sintonia con la tastiera-in caso stia scrivendo sul telefono- o con la penna-in caso stia scrivendo su un foglio-. Scrivere la libera, le ricorda che è sulla terra, che sta vivendo e che vale la pena continuare a farlo. Nonostante tutto.

E poi Valentina conserva, ama conservare. Per le cose sentimentali ci pensano la testa e il cuore, per le cose materiali ci pensa una scatola. Non una scatola ma la scatola, una scatola che ha da quando era piccolissima nella quale c'è di tutto. Momenti felici, tristi, momenti che vuole ricordare o meglio che ha paura di dimenticare.

È per questo, probabilmente, che Valentina conserva. Ha un'enorme paura di dimenticare. Ha tante paure e questa è una di quelle che non dice mai, a nessuno. Se ne vergogna, e anche tanto, perché crede sia una cosa da bambina. Per ora l'ha raccontata solo ad una persona. Francesco. E lui l'ha compresa, l'ha compresa al 150%, non poteva fare di meglio.

<Come ti capisco Vale> le disse appena lei le confessò la sua grande paura.
<No io non credo, soffro per tutto questo. Davvero. Credo che nessuno ci riesca a capirmi> Controbatté Vale

<Io si. Si che ti capisco. Ti capisco perché ne ho paura anche io. A dieci anni persi mio nonno. Lui non era un semplice nonno era il nonno perfetto. Gli volevo un bene dell'anima e quando se ne è andato ho pianto, ho pianto fino a finire le lacrime, fino a non averne più. E poi ho iniziato ad avere paura, la tua stessa paura. Paura di non ricordarmi più di lui, della sua voce, delle canzoni che mi cantava, del suo dopobarba che per scherzare metteva anche a me, del suo carattere che vorrei tanto avere io> In quel momento cadde una lacrima sul suo viso che scacciò immediatamente per poi riprendere a parlare concludendo il suo discorso <Quindi ti capisco Vale, ti capisco alla lettera> 

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