Capitolo 11- Tourniquet

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Jack barcollò sino alla porta, reggendosi la spalla per cercare di bloccare l'emorragia. Aveva rimosso il proiettile con gli artigli, ma sapeva che gli sarebbe rimasto ancora poco da vivere. Passo dopo passo, si sentiva sempre più debole, e la vita gli scivolava rapida di dosso, mentre Jack ricorreva la sua ultima speranza: Lilith.

Non poteva presentarsi ad un ospedale, quindi la ragazza rimaneva la sua ultima speranza di sopravvivere.

Il sangue colava caldo dalla ferita, provocando a Jack la stessa agonia che lui aveva sempre trasmesso alle proprie vittime. La paura gli fece capire quanto la ragazza avesse risvegliato in lui la voglia di vivere, trasmettendogli la paura di morire, che adesso bruciava cieca dentro al suo cuore.

Arrivato sull'uscio della casa, si abbandonò contro la porta, riuscendo a stento a suonare il campanello. Non gli importava chi gli avrebbe aperto, aveva bisogno di aiuto, il prima possibile.

Quando la porta si aprì, lui stramazzò sul parquet, sotto gli occhi spalancati della piccola Helena, la quale urlò alla sola vista del sangue.

Successe in fretta, ma per Jack furono attimi lenti, calcati dal dolore: Lilith arrivò correndo dal soggiorno, e la bambina smise improvvisamente di gridare. Insieme entrarono il corpo del clown dentro casa, e fu allora che lui vide quello che le era stato fatto: Per la faccia e per il collo le correvano cerotti e lividi, e la sua testa ormai priva di capelli era fasciata. Il senso di shock fu talmente bruciante in Jack che questo riuscì a trovare la forza di alzarsi e, con un miracolo, andare fino in cucina per distendersi sul tavolo.

Lilith stava dicendo qualcosa, ma lui non riusciva a sentirla, sentiva solo il freddo, e il sonno, tanto sonno...

-Jack! Jack ti prego, non lasciarmi!-

L'urlo della ragazza lo riportò alla realtà, e Jack lottò per gli ultimi istanti. No, non poteva mollare, doveva farcela per lei.

Lilith gli tolse la maglietta con furia, lasciando scoperta la ferita. Forse non aveva neanche lei idea di quello che avrebbe dovuto fare, ma a Jack non rimaneva altro che fidarsi.

-Jack, Jack mi senti?-

Con un po' di difficoltà, il clown rispose di sì, e allora sentì un panno bagnato intriso di vodka venire pressato contro la sua ferita.

Combattè l'impulso di urlare, e allora vide spuntare la figura della madre di Lilith dal corridoio. Quando la donna lo riconobbe, sembrò immobilizzata. Ovvio, non capitava tutti i giorni di avere il più spietato assassino di Londra steso sul tavolo, bisognoso di cure.

-Mamma, mamma ti prego ascoltami!-

Lilith cercò di tranquillizzare la madre, passando alla sorellina il compito di fermare la perdita di sangue. Le mani della bambina pressarono il panno contro la ferita, combattendo il ribrezzo verso il sangue.

Jack la guardò, così pura ed innocente com'era. Otto mesi prima aveva progettato di ucciderla, e invece lei adesso gli stava salvando la vita... Strano questo cerchio inconsueto e funesto chiamato "vita", con le sue sfumature, segnate dagli attimi e dai respiri, e di suoni sottili come rasoi, creati inalando l'aria gelida sotto le luci di Londra.

E mentre Jack pensava queste parole, un sorriso gli apparve agli angoli della bocca.

Le luci di Londra erano tante, ma l'unica che contava era Lilith.

Quando la ragazza entrò di nuovo nella sua visuale, Jack vide che teneva ago e filo in mano, e sua madre si accingeva a ricucire la ferita sulla sua spalla. Jack avvertì solo gratitudine, ma era troppo stanco per dire "grazie". Il suo spirito era in bilico fra il tempo e la morte, e ogni battito del suo cuore poteva fare la differenza. Doveva pensare solo a vivere. Vivere un altro giorno, per regalare il suo tempo a colei che amava.

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