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Corro nello spogliatoio, ho bisogno di darmi una calmata o potrei seriamente ucciderlo.
Mi sciacquo la faccia con acqua fredda e nel mentre non riesco a non far uscire le lacrime dai miei occhi.
Mi appoggio alla porta del bagno e scivolo con la schiena fino a toccare terra, ancora con le mani bagnate davanti al viso.
Era da tanto che non facevo favori alle persone, e la prima volta che avrei potuto ricavarne qualcosa, mi sono illusa che sarebbe andato tutto bene.
Provo a trattenere i singhiozzi ma niente, escono dalle mie labbra come se fossero dei tic nervosi.
D'un tratto sento bussare alla porta, e subito mi alzo da terra.
«Ehi! Tutto okay lì dentro?» chiede una voce a me conosciuta, Mikasa.
«Si tutto okay tranquilla Mikasa.» dico quasi soffocando per trattenere i singhiozzi.
«Oh sei tu t/n! Dai fammi entrare, ti ho sentito piangere..» dice sconfortata.
Sospiro aprendo la porta. «Non è nulla di importante, tranquilla.»
«Farò finta di crederci.» dice guardandomi dritta negli occhi.
Mi mordo l'interno guancia evitando di farmi sfuggire qualche singhiozzo.
«Bene, allora io vado, devo continuare le prove.» dico a voce bassa sorpassandola, mentre lei continua a fissarmi senza dire una parola.
Non faccio in tempo a fare più di tre passi che: «Nana.» mi blocco, per poi girarmi verso di lei che con voce seria mi aveva chiamato.
Resta a fissarmi per poco, prima di parlare, «Qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno, chiamami, infilerò un biglietto con il mio numero nella fessura del tuo armadietto.» continua seria, facendo solo un quasi invisibile sorriso alla fine.
«Ti ringrazio, ma stai tranquilla, è tutto okay.» concludo uscendo dalla stanza.
Devo vederlo. Ma non posso, non riesco a guardarlo in faccia.
Capisco che non sia sua la colpa, ma me lo ha tenuto nascosto, perché sono sicura al cento per cento che lui già lo sapeva.
Faccio un enorme sospiro per provare a liberarmi della pesantezza e dell'ansia che ho dentro al petto, ma purtroppo mi sento ancora soffocare.
A passo svelto ma insicuro torno nella sala prove, dove prima avevo lasciato Chanyeol e Jongin.
Vado incontro a quest'ultimo, dato che l'altro non è nella stanza.
«Jongin, per favore, posso andare a casa? Non me la sento di-» vengo interrotta.
«Tranquilla, vai pure a casa, domani se te la senti torna, mandami una mail.» sorride gentile e comprensivo.
Questo ragazzo ha un cuore d'oro.
La porta si apre.
«Nana!» Chanyeol fa il suo ingresso correndomi incontro.
«Ti ho cercato ovunque, sei qui..» parla col fiatone.
«Sto andando a casa, spero per te che nel mentre qualche tua fan psicopatica non mi uccida, o avrai dei grandi, enormi sensi di colpa, Park Chanyeol.» dico fredda guardandolo dritto negli occhi.
Stringe i pugni.
«Ti accompagno io.»
«N-»
«Stai zitta. Puoi anche non rivolgermi la parola, ma non ti lascerò camminare per le strade di Seoul sola e perseguitata. Anche a costo di essere ancora più odiato da te.»
«Chanyeol..» sospiro portandomi le mani sulle tempie.
«Puoi insistere quanto vuoi, non m'importa.»
mi prende per il polso e mi porta via, faccio appena in tempo a salutare e ringraziare Jongin che siamo già fuori la sala.
Mi libero dalla sua stretta «Posso camminare da sola.»
Lui sembra esserci rimasto male, ma non m'importa. Neanche a lui è importato dirmi che le sue fan sono completamente pazze e vogliono portami via da lui.
Quando siamo al parcheggio vado verso la Range Rover nera di Chanyeol.
«Niente macchina, ci portano i bodyguard con il van.»

Mi lasciano davanti casa mia, non lo saluto neanche e scendo dalla macchina, entrando poi in casa.
Dalla finestra vedo il van che parte, wow si vede proprio quanto ci tiene, non prova neanche a scusarsi o ammettere di aver sbagliato a non dirmelo.
Sospiro andando a sdraiarmi sul divano, sono distrutta, prendo il telefono aprendolo su instagram e vedo che ho tantissime richieste di messaggi pieni di insulti e minacce varie.
Butto il telefono a terra e le lacrime iniziano a scendere senza il mio volere.
Sono solo una stupida se ho pensato che per una volta tutto potesse andare bene.
Il campanello suona, sospiro alzandomi e asciugandomi le lacrime dalle guance.
Non penso al fatto che potrebbe essere qualche fan psicopatica, ormai non m'importa, sono troppo stanca, che mi prendano e facciano ciò che vogliono di me.
Non faccio in tempo ad aprire la porta che due braccia mi circondano le spalle in un abbraccio, con la testa nell'incavo del mio collo.
Riconosco subito chi sia, e anche se lo detesto, cedo, passano pochi secondi prima che io allunghi le mie braccia sulla sua schiena, stringendo forte la sua felpa con le mani.
Altre lacrime mi rigano il volto, non so se siano per rabbia, per paura o per felicità, probabilmente un miscuglio di tutto questo.
Non ci diciamo una parola, rimaniamo così, fermi, immobili, abbracciati l'uno all'altra, e anche se sono incoerente, stare tra le sue braccia mi fa sentire meglio.

𝑰 𝒎𝒆𝒓𝒓𝒊𝒆𝒅 𝒂𝒏 𝒂𝒏𝒕𝒊-𝒇𝒂𝒏. | ᴘ.ᴄʏ.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora