three

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Finii il libro poco prima di cena. Non avevo particolarmente fame, ma la sera stessa sarebbe nata la luna piena e ciò mi stava spaventando. Avevo bevuto il sangue puro di una vergine per rimanere in vita, ma ora non avevo idea di ciò che sarebbe successo.

Scesi le scale con calma, raccogliendo i miei lunghi capelli neri come la pece in una crocchia disordinata.

‹Buonasera.› mi salutò Peter, con un giornale a coprirgli il volto. Non salutai, mi sedetti soltanto aspettando il mio piatto che non tardò a presentarsi. Lo mangiai tutto, poi bevvi due bicchieri d'acqua.

‹Cosa hai fatto in questo tempo?› domandò Derek, cordiale.

‹La domanda giusta sarebbe: perché è scappata?› chiese, allora, Peter. Feci una smorfia.

‹Ho cacciato i miei simili dal Paradiso.› risposi soltanto. Ero la migliore guerriera delle armate celesti, l'angelo in prima fila e la prima a rischiare per la patria. Eppure sembrava non interessare a nessuno, lassù. Così decisi di andarmene e di lasciare che se la vedessero fra di loro, ma venni trovata sulla terra da questi cacciatori.

Parlammo per un altro po', poi il discorso prese una piega poco carina.

‹Cassi, sei consapevole che dopo averti adottata per darti un cognome ti iscriveremo a scuola, vero?› domandò lo zio di Derek, con un ghigno stampato in faccia.

‹Dillo un'altra volta e ti spacco la faccia a calci.› dissi, con un falso sorriso.

L'idea di andare in una scuola mondana mi terrorizzava: io conoscevo la mia lingua, il latino e il greco ma di... Come si chiamava? Mate... Mate e qualcosa, non ne sapevo niente. Per me erano materie inutili, non mi servivano per crescere e diventare una guerriera.

‹E cosa direte per giustificare la mia assenza sul mondo fino ad adesso?› domandai, strafottente.

‹Che ti abbiamo trovato per i boschi.› rispose tranquillo Derek. Aveva preso da me questo carattere, di fatti era molto elastico.

‹Come volete.› dissi soltanto, poi sparii al piano di sopra.

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Le ferite dolevano, gli occhi ghiacciati ridotti a due fessure per sopportare quel peso. La spalla era già un poco guarita, ma lo stava facendo ad una velocità impressionante. Le ferite sull'addome erano già cicatrizzate, e questo mi spaventava. Gli angeli avevano un tempo per guarire molto corto, di fatti i nostri corpi devono essere perfetti anche in guerra. Eppure, ferite inflitte dal mondo mondano ci mettevano ancora di meno: i tempi variavano dai due ai cinque minuti.

Scesi le scale lentamente. Indossavo una semplice tuta larga, così che le ferite non potessero essere notate.

Peter mi prese un braccio e si circondò il collo, per tenermi in piedi. Di fatti stavo cadendo. La testa mi girava, vedevo a scatti. Il loft, poi la macchina di Derek, la centrale e un ufficio. Ripresi la vista, annusando della menta.

‹Cosa diamine ci facciamo qui?› chiesi a Peter, seduto al mio fianco. Tutti si girarono verso di me: riuscii a scovare anche Scott McCall e Stiles Stilinski, e dalla targhetta di quello che capii essere lo sceriffo notai che il giovane fosse il figlio.

‹Lo sceriffo sa tutto, ma dobbiamo comunque dirgli entrambe le versioni.› mi disse Derek, di fronte all'uomo sulla cinquantina.

‹Uh... Formalmente, sono un angelo caduto dalle armate celesti di mia volontà, poiché lassù nessuno si interessava al fatto che salvavo culi a tutti. Sono scesa, e boom! Cavalieri a cavallo mi cercano per ammazzarmi.› raccontai brevemente, e l'uomo spalancò gli occhi.

‹Angeli? Armate celesti? Ma che...›

‹Se è per questo, Dio non si chiama propriamente così ma Chuck, ed è un uomo sulla trentina molto gentile. Le redini non spettano a lui ma ad un angelo di nome Thatrone, nonché amico di Chuck. Esistono i demoni ma non esiste Lucifero. Il diavolo si chiama Everell ed è il fratello di Chuck.› spiego, e tutti loro spalancano gli occhi.

‹Cassi, te ne vai per dodici anni e torni con queste notizie?› domandò Peter, evidentemente sconvolto. Alzai gli occhi al cielo e piegai la testa all'indietro. Il dolore era insopportabile.

‹Okay, vogliamo muoverci?› quasi gridai, ed un uomo con la targhetta di vice sceriffo entrò nell'ufficio chiudendosi la porta alle spalle.

‹Perfetto, angelo e demone nella stessa stanza...› sussurrai, prima che quel coso prendesse fuoco. Prima che qualcuno potesse intervenire, con un gesto delicato ed elegante della mano alzai tutti gli oggetti appuntiti della stanza, poi li indirizzai verso l'uomo che si calmò leggermente.

‹Perché ho l'istinto di ucciderti?› domandò, ma la sua voce cambiò subito dopo lasciando spazio al segugio infernale.

‹Cassiopea, da quanto tempo?› riconobbi la voce come quella di Anthare, un demone mio amico. Sorrisi e corsi ad abbracciarlo senza abbrustolirmi – grazie a Dio, a proposito – con lo stupore di tutti. Riprese le sue sembianze umane ed io mi staccai, ma un giramento di testa mi fece cadere all'indietro.

Angelo Caduto // Liam DunbarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora