𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝑰𝑰𝑰

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I giorni passavano e nonostante l'atmosfera a Ftia fosse quella di sempre, mio padre insisteva affinché mi fossero impartiti allenamenti sempre più duri e faticosi. Quando gli chiedevo il perché di questo cambiamento lui mi guardava con uno strano scintillio negli occhi e rispondeva:
«Perfino il migliore dei greci ha bisogno di allenarsi: non si smette mai di imparare!»
Ma in realtà io sapevo che c'entrava mia madre: un giorno passavo dalle parti delle stanze di mio padre, era sera e non riuscivo a dormire così mi ero recato da lui in cerca di qualche bel racconto, e sentì parlare Peleo e Teti. Non sentii l'intero discorso però ricordo bene ciò che disse mia madre:
«Egli è destinato a diventare un eroe. Ci sarà una guerra e allora dovrà farsi trovare pronto a guidare un esercito»
E ciò che disse mio padre sospirando:
«È solo un ragazzo, tutte le ambizioni per lui lo schiacceranno come una grande pietra»
Da quella sera le mie giornate furono colmate da una miriade di domande senza risposta: ci sarebbe davvero stata una guerra? Io ero in grado di comandare un esercito? E soprattutto: il peso delle aspettative altrui mi avrebbe schiacciato come temeva mio padre?

Quella mattina avevo appena finito un'estenuante sessione di combattimento con la lancia e avevo intenzione di recarmi in riva al mare per rilassarmi. Ammetto di essere stato sovrappensiero, perciò mi accorsi del ragazzo solo quando me lo ritrovai davanti agli occhi.
Era inginocchiato sulla sabbia e il suo viso era rigato da lacrime che cadevano sul terreno come gocce di pioggia.
«Perchè piangi?» vi sembrerà una domanda infantile eppure non ero riuscito a trattenermi.
Lui non doveva avermi notato prima, perché scattò in piedi e si affrettò a pulirsi il viso.
«Mi dispiace, principe, non vi avevo visto» sussurró con lo sguardo basso e le guance in fiamme. Ora che vedevo meglio il suo viso lo riconobbi: era l'esule arrivato poco tempo prima.
«Non serve che mi chiami principe, solo Achille può bastare, tu ti chiami Patroclo giusto?» 
Annuì, timido.
«Rilassati Patroclo, sono un ragazzo come te, non mi trattare da superiore» cercai di pronunciare queste parole con un tono più tranquillizzante possibile, come se stessi parlando ad un animale ferito. Patroclo sorrise, timidamente.
«Vuoi dirmi perché piangevi?»
«Va bene, riguarda il motivo per cui sono in esilio. Mio padre, Menezio, mi ha sempre considerato un poco di buono, diceva sempre che ero una delusione, poiché non ero abile nell'uso delle armi ed ero troppo sensibile. L'unica che mi aveva almeno un po' a cuore era mia madre, Stenele, che però era considerata da tutti un po' fuori di testa. Per mio padre non ero altro che un figlio imbranato e così mi ha sempre trattato. Gli altri ragazzi approfittavano del fatto che mio padre non avrebbe mai alzato un dito in mia difesa, così mi prendevano in giro e a volte mi picchiavano pure. Un giorno ero in cortile e stavo giocando con dei dadi che avevo trovato tra le cianfrusaglie di mia madre. Passò di lì Clitonimo, un ragazzo di nobile famiglia, e pretese di averli. Non glieli volevo dare, forse per il valore affettivo o forse perché ero deciso almeno una volta ad essere rispettato e non umiliato. Fatto sta che gli risposi che erano miei e che non intendevo cederglieli. Lui si avvicinò per strapparmeli di mano e io, preso dal panico, lo spinsi a terra. Non scorderò mai il rumore che fece la sua testa rompendosi contro una pietra, c'era sangue ovunque, ero sconvolto, così andai a rifugiarmi in un posto appartato. Quando le guardie mi trovarono mi trascinarono di peso da mio padre che mi guardò sprezzante e disse che ero fonte solo di sventure e disgrazie e che nella mia vita non avrei mai fatto nulla di nuovo. Mi esiliò e fu così che arrivai qui a Ftia. Da allora ogni notte sogno il ragazzo morto che mi parla con la voce di Menezio e che continua a ripetermi che sono inutile e debole. Forse ha ragione lui: sono solo un buono a nulla e nella mia vita non farò mai nulla che valga la pena essere ricordato!» le ultime parole furono pronunciate a fatica, la voce rotta dai singhiozzi.

Non riuscivo a parlare, ero esterrefatto: come poteva un ragazzino sopportare tutto quel dolore? Senza pensare a cosa stavo per fare lo abbracciai, stringendolo a me come a proteggerlo da tutte le cose brutte di questo mondo. Sentii Patroclo irrigidirsi, ma poi si rilassò e ricambio la stretta appoggiando la testa sulla mia spalla. Stava tremando. Gli accarezzai piano la schiena e, nonostante lo conoscessi appena, promisi a me stesso che non avrei permesso a nulla di ferirlo, poiché di ferite ne aveva già troppe.
«Tu, Patroclo, non sei un buono a nulla, anzi sei la persona più coraggiosa che io abbia mai conosciuto, poiché hai sopportato così tante pene in giovane età e ammiro la tua forza!»
Lui si staccò da me e mi sorrise, un sorriso dolce e pieno di gratitudine. Sentii uno strano calore invadermi il petto, ma non era spiacevole, anzi.
Gli sorrisi a mia volta «Andiamo a pranzo?»
Lui annuì con entusiasmo e insieme ci avviamo verso il palazzo.
Lungo la strada gli chiesi come si stesse trovando a Ftia e lui mi raccontò che anche se gli altri ragazzi lo ignoravano, appresi che era un ragazzo molto riservato, era felice perché nessuno lo scherniva e disprezzava. Mentre parlava lo osservai attentamente: il suo viso abbronzato era contornato da riccioli color ebano che gli coprivano quasi interamente la fronte. Un dolce sorriso gli illuminava il volto e la postura sembrava molto più rilassata e tendeva a gesticolare parecchio mentre parlava. I suoi occhi, che constatai fossero di un caldo color nocciola con delle leggere pagliuzze dorate all'interno, scintillavano allegri. Avrei fatto di tutto perché non fossero più bagnati di lacrime.

In mensa ci sedemmo allo stesso tavolo e continuammo a chiacchierare allegramente, sotto lo sguardo perplesso degli altri ragazzi. Mi accorsi che da quando ero con Patroclo il sorriso non aveva mai lasciato il mio volto: con lui mi sentivo bene e, nonostante lo avessi incontrato solo qualche ora prima, mi sentivo come se lo conoscessi da sempre e non mi sarei mai stancato dei suoi sorrisi gentili e del suo sguardo timido. Improvvisamente ebbi un'idea. Mi alzai di scatto dal tavolo assicurandomi che Patroclo mi seguisse:
«Achille, aspetta! Cosa vuoi fare?»
Mi avvicinai a lui e lo presi per mano, conducendolo per il dedalo di corridoi del palazzo.
«Dove andiamo?»
«Lo vedrai»

𖧷 ~ 𖧷 ~ 𖧷 ~ 𖧷 ~ 𖧷 ~ 𖧷 ~ 𖧷 ~ 𖧷 ~ 𖧷 ~ 𖧷

Ma quanto sono carini? SONO BELLISSIMIIII!
Giuro, mentre scrivevo stavo per piangere ed ero tipo "Awww cucciolo, anche io ti voglio dare un abbraccio!" Povero Patroclo, ha sofferto tantissimo :(
Però adesso c'è Achille che pensa a lui
( ͡° ͜ʖ ͡°)
Mi dileguo, alla prossima!

~ sognatrice di libri

Half of my soulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora