Epilogo.

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Mio fratello sbatte la cartellina sul tavolo con così tanta forza da farmi indietreggiare.

-          Helen! Come hai fatto ad avere questi documenti? Sono riservati! – ringhia rosso in viso.

Scrollo le spalle sempre tenendomi a distanza di sicurezza da lui. Non è stato difficile entrare nella vecchia caserma e fingere di essere una vedova di guerra che voleva vedere per l’ultima volta la foto del marito.

-          Non è importante Andrej. L’importante è che ora possiamo dimostrare che Niall è innocente – spiego con un sorriso candido.

-          Il fatto che sia irlandese non lo scagiona! – strilla mio fratello allargando le braccia.

Louis ridacchia, comodamente affondato in una poltrona logora. Sia io che mio fratello ci giriamo a guardarlo stupiti e furiosi allo stesso tempo.

-          Scusate – dice sfogliando le pagine dell’oggetto della nostra discussione – ma Helen ha ragione. Questa è la nostra salvezza.

Mi porge un foglio un po’ stropicciato di cui non capisco niente. Andrej me lo strappa dalle mani e legge avidamente.

-          Non ci credo – esclama basito.

-          Te l’avevo detto – sogghigna Louis facendo spallucce.

Aspetto paziente che rendano anche me partecipe della conversazione, battendo il piede contro il pavimento consumato.

-          Il tuo soldatino era un infiltrato del governo inglese. Qui ci sono tutti i suoi spostamenti. Avevano intenzione di farlo fuori, per questo gli hanno dato tutti quei gradi – spiega Louis alla fine.

Rimango spiazzata. Salto al collo di mio fratello, che ricambia l’abbraccio, sorpreso.

-          Posso vederlo? – gli sussurro all’orecchio.

-          Vai – mi dice con un sorriso tenero.

***

I sotterranei del palazzo di giustizia sono bui e freddi. Avanzo in punta di piedi tra le celle quasi vuote. Niall è seduto su una brandina e guarda per terra, i gomiti appoggiati alle ginocchia. Non indossa più la sua uniforme, solo una maglietta bianca e dei calzoncini grigi. Mi schiarisco la voce per annunciare la mia presenza. Si volta di scatto.

La guardia che mi accompagna apre la cella e se ne va senza dire una parola. Entro e mi fermo davanti a lui, trattenendo a stento il sorriso.

-          Helena – mi dice. Il suo tono triste mi fa rabbrividire.

-          Ho trovato il modo di salvarti – la voce mi trema, il cuore rischia di esplodermi nel petto.

Lui continua a fissarmi a lungo senza dire una parola. Capisco che qualcosa non va.

-          Devi andartene Helena. Il tuo posto non è qui.

Le parole che dice fanno più male della fame, della paura di morire, della paura di perderlo.

-          Perché? – singhiozzo.

-          Perché io non sono l’uomo giusto per te. Non sono neanche più un uomo. Vattene, non ti voglio vedere.

Mi da le spalle, fissando la parete grigia davanti a sé.

-          Cosa… cosa stai dicendo? Cosa vuol dire che non sei l’uomo per me? – balbetto dandogli dei pugni furiosi alla schiena. Mi aggrappo alle sue braccia muscolose, cercando di trattenere le lacrime. Non posso andarmene così, non posso lasciarlo di nuovo.

il ponte dei suicidi ||niall horanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora