Capitolo 12.

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Mi hanno lasciato in questa stanza vuota per tutto il giorno. Stringo tra le dita un bicchiere un tempo pieno d’acqua.

Inizio a rimpiangere di non aver chiesto più informazioni a Rouge e Baffo quando ne avevo ancora l’opportunità. Mi sento come se stessi camminando alla cieca.

Sento che il ricordo di Niall che mi stringe tra le braccia e mi promette che verrà a salvarmi è già lontano e ora appare come un sogno.

Regna il silenzio. Non si sente un solo rumore.

Non ho paura. Ho passato così tanto tempo a cercare di sfuggire alla morte che mi sono quasi dimenticata come si fa a vivere.

Finalmente la porta si apre con forza e io sobbalzo.

- Lui è pronto per riceverla – il soldato parla in tedesco. Non mi guarda e tiene la mano sulla maniglia della porta.

Mi alzo e mi sistemo la gonna che indossavo quando mi hanno portata via.

Ad Auschwitz soffia un vento gelido. Il cielo innaturalmente grigio avvolge tutto. C’è un odore melenso che non riesco ad identificare. Tengo gli occhi bassi e cerco di non guardarmi intorno. Devo essere forte.

Ci fermiamo davanti ad una costruzione di cemento.

- Cammini lungo questo corridoio. C’è una porta, bussi e aspetti. Arrivederci.

Si congeda con un gesto del capo e corre via, come se avesse fretta di allontanarsi da me.

Eseguo gli ordini. Il corridoio sembra interminabile. Il cuore è al galoppo quando arrivo alla porta. Alzo la mano e inspiro forte.

- Avanti – dice una voce maschile prima ancora che abbia bussato.

Apro la porta con la mano che trema ed entro. La stanza è in penombra. Un ragazzo che avrà qualche anno in più di Niall è seduto ad un tavolo di legno. Sebbene sia molto giovane ha i capelli completamente grigi e l’uniforme del grado più alto.

- Vieni avanti, Helena – ordina.

La sua voce mi fa rabbrividire. Faccio un passo in avanti e alzo il mento.

- Scusa se ti ho fatto aspettare così a lungo. Stavo cercando di ottenere questa – continua pacato.

Agita una busta marrone. La sventola lentamente mentre i suoi occhi sono si staccano da me.

- Sai cos’è? – il suo tono è irreale. Troppo calmo.

- No – rispondo secca. Non sono dell’umore giusto per i giochetti.

- È la tua scheda. Ne abbiamo una per ogni soldato del nostro esercito.

- Non sono un soldato – gli faccio notare.

Lui ride e mi fissa dritto negli occhi. Rabbrividisco. Sono neri, due pozzi profondi e scuri.

- È vero, ma sei figlia del più importante intellettuale di tutta la Polonia. Sei istruita, e sei una donna. Cosa ti aspettavi?

Taccio. Lui mi guarda per un po’ prima di sfogliare pigramente il mio fascicolo.

- Qui c’è scritto tutto su di te. Dal momento in cui sei nata, la tonsillite che hai avuto a sei anni, la morte di tua madre. Tutto, fino a quando non sei misteriosamente sparita nel dicembre dell’anno scorso.

Rabbrividisco. Stringo forte i pugni e spero di non mettermi a piangere in un momento come questo. Tutta la mia vita racchiusa in una stupidissima cartellina.

- Infine – continua lui imperterrito – c’è una piccola annotazione a matita. Non sto a leggertela, tranquilla. Dice che hai imbrogliato il generale Niall Horan facendogli credere di essere sua sorella, che viveva a Berlino.

Sobbalzo. Non riesco a trattenermi sentendo il nome di Niall. È come se mi avessero colpito lo stomaco con una mazza.

- È così – confermo.

Tremo solo all’idea di quello che potrebbero fargli. Un generale tedesco che nasconde un’ebrea. Assurdo.

- Peccato che io ricordo perfettamente il giorno in cui comunicai al soldato semplice Horan la morte della sua sorellina. Pianse come un bambino.

Sono pietrificata. I suoi occhi neri sono piantati su di me. Cerco di parlare ma non trovo le parole.

- È ovvio che il tuo soldatino stava cercando di proteggerti. E a guardarti capisco perché. Comunque, non ho intenzione di fargli del male. Non se tu fai quello che dico io.

- Tutto – sussurro all’improvviso – tutto quello che vuoi, ma ti prego, non…

- Shh shh – dice lui alzandosi di scatto e raggiungendomi in una sola falcata.

Mi accarezza i capelli e mi asciuga una lacrima. Devo usare tutto il mio autocontrollo per non ritrarmi. Quelle mani sono sporche del sangue della mia famiglia.

- Non temere, piccolo angelo. Non gli farò niente. Desso dimmi, cosa sai fare? Che lingue parli? Vedi, non posso tenerti qui solo di bellezza, dei lavorare, guadagnarti da vivere.

- Parlo tedesco, polacco, inglese e russo – rispondo in un singhiozzo.

Lui si allontana e torna a sedersi alla scrivania.

- Allora servirai il cibo ai prigionieri. Così potrai far vedere come sei brava. Ora va. Il tuo block è appena qua fuori, di legno. Mettiti comoda piccolo angelo. Ci vediamo a cena.

Mi affretto a scattare in piedi e mi devo trattenere per non correre fuori e limitarmi a camminare lentamente verso la porta.

Percorro il corridoio in un soffio ed esco. Respiro l’aria fredda e mi trascino fino al piccolo block di legno. Apro la porta e mi lascio cadere per terra.

Finalmente, da quando sono arrivata, piango.

- Su, non piangere.

Alzo la testa di scatto e mi asciugo le lacrime. C’è un ragazzo, con una folta zazzera di capelli neri.

- Sei quella nuova eh?

Mi offre la mano e mi aiuta ad alzarmi.

- Si vede? – chiedo concedendogli un piccolo sorriso.

- Ti abituerai in fretta. Sono Harry.

I suoi occhi verdi incontrano i miei.

- Helena. Ma tutti mi chiamano Helen – dico  in fretta.

Solo Niall mi chiamava Helena, penso tra me.

- Helen, allora – dice lui – parla piano però. Ho appena imparato il polacco.

Scoppio a ridere senza motivo e capisco che questo ragazzo mi ha già scaldato il cuore.

- Non ti preoccupare Helen, Lui non ti toccherà con un dito. Ci ha salvati.

- Perché? – chiedo tornando seria.

- Per la nostra bellezza. Non mi sto vantando. Ci tiene in salute per mostrarci agli altri. Siamo manichini nelle sue mani.

Mi guardo intorno. Nel piccolo block ci sono solo due letti e una piccola stufa. Capisco che dovrò condividerla con lui e ne sono felice.

- Grazie Harry – gli dico sincera.

- Non ho fatto niente – dice lui con un minuscolo sorriso.

- E invece si.

Non pensavo si potesse sorridere ad Auschwitz.

il ponte dei suicidi ||niall horanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora