È quasi dicembre.
Fa freddo ormai.
Ci siamo visti ancora, ancora, e ancora.
Ogni sera, ogni notte, siamo stati insieme.
Un po' al Rouge Bar, con Gianni come osservatore silenzioso, a scolarci sambuca e scotch fino all'alba, a ridere di tutto, per tutto, a raccontarci ricordi e pensieri, cose che sono successe, cose di una vita fa.
Abbiamo parlato per ore, fino a non avere più fiato, mentre le ginocchia si sfioravano sotto il tavolino che abbiamo decretato come nostro, mentre i tuoi occhi infiammavano i miei.
Un po' su quell'altura, sempre su quel pezzetto di terra, sempre in quell'angolo di mondo, stesi, a guardare le stelle, ad aspettare l'alba, a volte parlando sottovoce, a volte in silenzio, beandoci solo della nostra presenza, della vicinanza reciproca.
Abbiamo respirato i nostri odori, i nostri profumi, scotch e sambuca si sono uniti in una miriade di combinazioni diverse.
Ci siamo baciati, tante, tantissime volte.
Io ho baciato te, tu hai baciato me.
Ho sentito tante volte il tuo corpo contro il mio, le tue mani infiammare la mia pelle, scoprirmi, impararmi, mentre le mie facevano lo stesso con te.
Ed io, ormai, non posso più farne a meno.
Non posso più fare a meno di te, di guardarti ogni giorno, di sfiorarti almeno una volta, di vederti ridere, di sentire la tua voce, di sentire il mio nome pronunciato da te.
Non posso più fare a meno di te, te l'ho detto, tu lo sai.
Abbiamo litigato, anche.
Abbiamo litigato, e avevi ragione.
Hai ragione.
Perché non lascio mia moglie, mi chiedi?
Perché non metto la parola fine ad una relazione che non esiste più, ma non da adesso, da tanto tempo?
Perché ti vedo ogni sera, ogni notte, nella sicurezza che garantisce il buio, e ad ogni alba torno da lei?
Non lo so.
Io non lo so, te l'ho detto, te l'ho ripetuto tante volte, mentre mi guardavi con occhi spenti, feriti, tristi, delusi.
Ci ho provato.
Ho provato a lasciarla.
Una volta le ho parlato sul serio, te l'ho detto, lo sapevi già.
Le ho detto che non potevamo andare avanti così, che non era la vita che volevo, che ero sicuro che non era la vita che lei voleva, che qualcosa era cambiato, si era rotto.
Lei ha ascolto, mi ha lasciato parlare, credevo che avesse capito.
Ma poi.
"Sta tranquillo amore, è solo una piccola fase, la supereremo insieme"
Aveva le lacrime agli occhi, forse si sentiva ferita anche lei, tradita.
Mi è mancato il terreno sotto i piedi, mi è mancato il fiato, il senso di colpa ha avuto la meglio, ho lasciato cadere il discorso e sono andato via.
E tu ti sei arrabbiato, e hai ragione.
Hai pensato tante cose brutte, tanti pensieri ti sono esplosi dagli occhi, mentre cercavo con tutte le mie forze di farti capire, di spiegarti.
Ma non hai capito, non mi hai voluto sentire, e sei andato via.
"Se non hai mai voluto cambiare la tua vita di merda, sono problemi tuoi. Ma adesso sono io a non essere abbastanza importante"
Le tue ultime parole, poi ti sei girato, sei scappato.
Certo che sei importante, ma cosa pensi?
Come faccio a fartelo capire?
Sei importante, più importante di tutto, di tutto il resto.
Ma è difficile.
Dannatamente difficile.
Quella sera sono rimasto da solo, seduto a quello stupido tavolino, mentre Gianni, senza parlare, senza chiedere, mi portava un bicchiere dopo l'altro.
Quella mattina non sono tornato a casa.
Quel giorno non ho lavorato, non ho dormito, non ho mangiato.
La paura mi attanagliava il petto, mi faceva tremare le mani, mi faceva sentire uno stupido.
Non poteva finire così, non potevi finire così.
Io non potevo permetterlo, non posso permetterlo, non lo permetterò mai.
Quel giorno ti ho aspettato, seduto ad una panchina vicino al bar.
Avevo il tuo numero, me lo avevi dato qualche tempo prima, ma non ti ho chiamato, non ti ho mandato nessun messaggio, non mi avresti risposto, lo sapevo.
Avevi bisogno di stare da solo, mentre io avevo bisogno di te.
Gianni ha aperto alle 19, e io sono stato, quel giorno, il suo ultimo e il suo primo cliente.
Tutto in un giorno solo.
Ho iniziato a bere scotch.
Ho bevuto, ho bevuto tutto il tempo, con lo sguardo fisso sulla porta, sentendo un tuffo al cuore ogni volta che si apriva, sperando di vederti entrare.
All'ennesimo bicchiere trangugiato, la porta si è aperta, e il tuffo al cuore si è trasformato in una mandria di mufloni impazziti.
Sei entrato, a notte fonda, in quel bar gremito di gente, e mi hai visto subito.
Ti sei avvicinato, mi hai sfilato il bicchiere dalle mani e mi hai portato via.
"Gianni, passo domani a pagare"
Gianni ti ha fatto un cenno, senza dire una parola, guardandomi quasi con tenerezza, con pietà.
Mentre uscivamo, di sfuggita, mi sono guardato allo specchio.
Avevo un aspetto terribile, mi preoccupavo da solo per me stesso.
I capelli chiari erano sporchi e spettinati, le occhiaie profonde, gli occhi iniettati di sangue, le guance arrossate per l'alcol.
Ma lo scotch non aveva aiutato, non mi aveva aiutato a sopportare il dolore, la morsa al petto che sentivo.
Quella sera mi hai portato fuori, mi hai portato sull'altura, senza rivolgermi parola, senza toccarmi, senza fare nulla.
Io ti ho guardato, in silenzio, tutto il tempo, tremando, finché non siamo arrivati, finché non hai spento il motore e non mi hai guardato anche tu.
"Mi dispiace"
"Lo so"
La tua voce era fredda, lontana, distante.
È stata una pugnalata che a stento sono riuscito a sopportare.
Era colpa mia, lo sapevo, lo so ancora, avevi ragione, hai ragione.
Ti ho guardato e ho sentito il cuore spezzarsi, bruciare, diventare cenere, per poi riformarsi di nuovo, rispezzarsi, bruciare ancora.
Come una fenice che rinasce dalle ceneri, il mio cuore rinasceva, ma solo per bruciare un attimo dopo.
Non riuscivo più a guardarti, non riuscivo più a sopportare il peso delle mie colpe, il peso dei miei sbagli, il peso dei tuoi occhi che mi condannavano, che mi incolpavano.
Ero lì, in bilico, sull'orlo di un burrone senza fondo, sull'orlo di un precipizio oscuro e infinito, quando mi ha preso la mano, l'hai stretta e mi hai tirato a te.
Non mi sono fatto implorare, mi sono fiondato tra le tue braccia, ho respirato il tuo odore, non ti ho più lasciato andare.
Ti ho stretto forte, così forte da farti quasi male, ma non hai detto nulla, mentre mi stringevi anche tu, dolcemente, accarezzandomi piano i capelli, muovendo piano la mano sulla mia schiena.
"Va tutto bene"
Mi hai sussurrato, quando un tremito più forte degli altri mi ha scosso da capo a piedi.
Ho scosso la testa e ti ho stretto ancora di più, con la paura di vederti svanire in una nuvola di fumo.
Mi hai mormorato parole rassicuranti, mi hai consolato dai miei sbagli, dalle mie colpe, hai lenito il mio dolore, mentre io non parlavo.
Ho respirato a pieni polmoni il tuo odore, il tuo profumo, mentre stringevo la tua pelle fra le dita, mentre sentivo battere forte il tuo cuore.
Avrei voluto dirti tante cose, ma non riuscivo, non riuscivo a parlare.
Grazie, scusa, mi dispiace, perdonami.
Mi sono addormentato così quella sera, fra le tue braccia che mi stringevano, mi proteggevano da me stesso.
Mi sono addormentato in pace, promettendo a me stesso che mai più avrei rischiato di perderti, che mai più ti avrei ferito, che mai più ti avrei lasciato andare via.
Solo la mattina dopo, sveglio e lucido, ho capito che quella promessa non l'ho solo pensata, ma te l'ho fatta, ad alta voce.
Solo la mattina dopo ho ricordato il tuo sorriso alle mie parole, i tuoi occhi che luccicavano appena, mentre, accarezzandomi, mi hai risposto.
"Lo so"
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Scotch al sapore di Sambuca
RomanceVINCITRICE WATTYS 2021 💫 - CATEGORIA STORIE D'AMORE 🤩🤩❤ "Prima trovavo un piatto caldo quando tornavo a casa da lavoro, un piatto diverso ogni sera. Mia moglie mi lavava i vestiti e me li faceva trovare puliti e profumati, piegati con cura nell'a...