Parte V

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Non so per quante ore sono rimasto fermo qui, sul tuo pavimento.
Non so quanto tempo è passato da quando ti sei sbattuto la porta del bagno alle spalle.
So solo che, ad un certo punto, il sole è sorto.
La luce è entrata dalla finestrella sul tetto.
Tu non hai più aperto quella porta.
Sei rimasto chiuso lì dentro, consapevole della mia presenza nella stanza accanto.
E io non mi sono mosso.
Non mi sono mosso di un millimetro.
Meccanicamente, ogni tanto, ho passato una mano sulle guance, strappandovi con rabbia quelle lacrime che scendevano senza che io lo volessi.
Adesso ho smesso anche di piangere.
Vorrei alzarmi, vorrei buttare giù a calci quella maledetta porta, ma non lo faccio.
Sarebbe inutile.
Ricominceresti ad urlarmi in faccia quanto mi odi, quanto ti faccio schifo, quanto vorresti non avermi incontrato.
E fa male.
È per questo che non mi alzo, è per questo che non busso alla porta del bagno.
Non per te.
Per me.
Perché sono un codardo, perché non voglio sentire di nuovo tutto quell'odio riversarsi su di me.
Da parte tua.
Non mi alzo perché non voglio più sentire il tuo disprezzo.

***

Il telefono nella mia tasca inizia a suonare.
Con un movimento meccanico, lo prendo.
La sveglia.
Sono le 7.30 del mattino.
La spengo, mettendo il silenzioso.
Perché non vado via?
Perché, se non vengo a cercarti, non vado via?
Ti aspetto.
Ti aspetto in questo silenzio soffocante che mi opprime.
Erano quasi meglio le urla.
Almeno tu c'eri.
Le urla sono vita, il silenzio è morte.
Le urla sono rumore, come te.
Il silenzio è solo silenzio.

***

Sono le 8.30, e tu non sei ancora uscito da quello stramaledetto bagno.
Maledizione.
So che non c'è niente che non va, so che sei solo incazzato nero e che resti chiuso in quel bagno perché mi odi e non vuoi vedermi, ma un sottile velo di preoccupazione inizia a farsi sentire.
Perché non esci, fosse anche per urlarmi contro?
Perché rimani chiuso lì dentro in silenzio?
Hai smesso di piangere ore fa', ormai.
Hai smesso di piangere quando hai chiuso l'acqua, e io non ho sentito più i singhiozzi che cercavi di nascondere.
Io ho smesso molto dopo, ascoltando il silenzio, cercando di sentirti anche solo respirare.
Ma non ti ho sentito.
E ora, nonostante tutto, nonostante il dolore, nonostante le offese, nonostante il tuo disprezzo che mi ha trafitto da parte a parte, voglio sentirti.
Voglio sentirti e voglio vederti.
Anche se fa male.
Non importa che il tuo disprezzo mi trafigga.
Quello che sento io per me è ancora peggio.
Mi alzo dal pavimento duro dove sono stato seduto per ore.
Ho i muscoli contratti, indolenziti dalla posa rigida che ho mantenuto per tutta la notte.
Mi avvicino piano alla porta chiusa ormai da ore, ci appoggio contro la fronte.
Chiudo gli occhi, mi concentro, ma non ti sento, non ti percepisco.
È come se tu non fossi qui.
Sono indeciso, non so cosa fare.
Busso?
Ti chiamo?
Apro direttamente?
Resto fermo ancora qualche minuto, respirando silenziosamente, prendendo grandi boccate di ossigeno, riempiendomi i polmoni.
"Paolo?"
Silenzio.
Non rispondi, non fai rumore, non ti muovi neanche.
E se ti fossi sentito male?
"Paolo, aprimi"
Con uno scatto, la porta del bagno si spalanca, facendomi rischiare di cadere in avanti.
Di caderti addosso.
Mi raddrizzo, tiro fuori un po' di coraggio e ti guardo.
E mi si spezza il cuore.
Letteralmente.
Lo sento spezzarsi nel petto, lo sento esplodere.
Mi fa un male assurdo.
Mi fai un male assurdo.
Hai un aspetto terribile.
Gli occhi gonfi sono circondati da occhiaie violacee.
Hai le guance rosse irritate dalle mille lacrime, le labbra gonfie dalle tante ore in cui le hai strette fra i denti per non emettere un suono, per non fare rumore.
Indossi ancora i vestiti di ieri, che ora sono mezzi bagnati e stropicciati.
Mi guardi, e i tuoi occhi sono spenti, vuoti.
Stanchi.
A causa mia.
Tutto questo dolore, tutta questa sofferenza, è solo causa mia.
Sento il peso delle mie colpe schiacciarmi.
"Perché sei ancora qui?"
La tua voce è roca, gracchia appena, ma è atona, priva di qualsiasi emozione.
I miei occhi mostreranno apprensione, preoccupazione, tormento, senso di colpa, dolore.
Lo so, li sento.
E lo sai anche tu.
Li vedi, te ne accorgi, li leggi.
Con un'altra dolorosa stretta al cuore, ricordo che mi hai imparato, come io ho imparato te.
Mi hai imparato, e adesso vorresti tanto non averlo mai fatto.
Io stesso vorrei non avertelo mai permesso.
Adesso non staresti così.
Hai ragione.
Sarebbe stato meglio se non mi avessi mai conosciuto.
Sarebbe stato meglio se non ti fossi mai avvicinato a me.
Ora staresti bene, saresti felice.
Non soffriresti così tanto, non proveresti tutto questo disgusto.
Tutto questo dolore.
"Perché non te ne vai, Tiziano?"
Mi guardi ancora un attimo, poi cammini e passi oltre, scansandomi.
Le nostre spalle si sfiorano appena, per un secondo.
Una frazione di secondo, in cui ti sento.
Sento il tuo corpo sfiorare il mio, e vorrei solo annullare la distanza che ci separa, annullare tutto questo dolore, sentirti di nuovo contro la mia pelle.
Dio, quanto mi manchi.
Ora, adesso, nonostante tutto, mi manchi.
So che non mi vuoi, che non vuoi che io resti qui, che non mi vuoi vedere, che mi odi.
Ma sono egoista, e me ne frego.
Non me ne andrò più.
"Non vado da nessuna parte"
Mi volto.
Sei vicino al letto, le spalle curve, mi dai la schiena.
Non ti volti, non mi guardi, resti fermo.
Il tuo corpo è rigido, ma al tempo stesso è stanco, piegato.
"Perché?"
Faccio un passo, poi un altro, poi un altro ancora.
Tu continui a non muoverti, e io in poco tempo arrivo alle tue spalle.
Vorrei toccarti, allungare appena il braccio per sentire il calore della tua pelle, del tuo corpo, stringerti, chiederti scusa per tutto, di tutto, ma non ci riesco.
Sento di non meritarlo, e so che è proprio così.
Non lo merito.
Tu non lo permetteresti.
"Sto bene Tiziano, non sono morto e non ho intenzione di morire a breve. Puoi smetterla di controllarmi e andare via"
"Io non voglio andare via"
"E cosa vuoi? Cosa vuoi da me? Cosa cazzo ho fatto di male per meritare di essere torturato così?"
Ti volti, mi guardi, la tua voce si alza appena.
I tuoi occhi vanno a fuoco.
"Io.."
Mi interrompo di colpo quando la tua mano mi centra in pieno viso.
Uno schiaffo.
Mi hai tirato uno schiaffo.
Sento l'impronta lasciata dalle cinque dita bruciarmi la pelle.
Resto immobile, sbigottito dal tuo gesto.
So di meritarlo.
Non è questo il problema.
Ma so che non sei una persona violenta.
Non credo tu abbia mai alzato una mano in vita tua.
Probabilmente io sono il primo.
Bel primato del cazzo.
Ti fisso con sguardo vuoto, ma non sembri accorgertene.
Sei troppo arrabbiato per riflettere, troppo anche solo per riuscire a pensare.
"Tu? Tu cosa? Io, io, io, parli solo di te, ti interessano solo i tuoi cazzo di sentimenti. E io, Tiziano? Io invece, non posso scegliere? Io non posso decidere niente? Io devo solo subire tutte le tue cazzo di decisioni?"
"Io voglio stare con te"
"E io no! Non voglio! Mi hai fatto male, Tiziano, mi fai male, più volte, ripetutamente, e ora speri che bastino due frasi del cazzo per far tornare tutto com'era prima? Per cancellare tutto? Non funziona così!"
Sento la rabbia salire di nuovo, prepotente.
Si mischia al sangue che scorre nelle vene e raggiunge il cervello, accecandomi per un momento.
Ma la mia rabbia non è rivolta a te.
La rabbia che sento, che provo, è per me stesso.
È contro di me.
Sono arrabbiato per aver causato la tua rabbia, per averti portato a questo punto.
Quando parlo, sento che anche la mia voce è alta.
Acuta, arrabbiata.
Stanca, triste, disperata.
"Cosa dovrei fare allora? Dimmelo tu, perché io non so davvero cosa fare"
"Non devi fare niente. Non puoi fare niente. Te ne devi andare"
"No"
...
"Ma quanto cazzo puoi essere egoista?"
"Non sono egoista. Io voglio solo stare con te. E non mi dire stronzate, non mi dire che non mi vuoi più, perchè so che non è vero"
"Non sei solo egoista, sei anche narcisista"
"Va bene! Sono egoista, narcisista, stronzo, una merda, tutto quello che vuoi tu, ma non me ne vado comunque. Come la risolviamo?"
Incrocio le braccia sul petto, sentendomi un bambino capriccioso.
Probabilmente lo sono.
Sicuramente ne ho l'aspetto.
Inarchi un sopracciglio guardandomi, e sono sicuro che stai pensando anche tu la stessa cosa.
Ma sono anche certo, dal luccichio che scorgo appena nei tuoi occhi, che una flebile fiammella di divertimento si è appena accesa dentro di te.
Il mio comportamento infantile ti diverte e ti irrita al tempo stesso.
Ma la fiammella di spegne subito, il luccichio svanisce, e tu mi guardi con occhi seri.
"Tiziano, non voglio vederti, non voglio sentirti e non voglio che mi giri intorno. È difficile da capire?"
"Paolo, non me ne frega un cazzo. Hai detto che sono egoista? Bene, sono egoista, e io da qui non me ne vado finché non avremo chiarito"
"Cosa vuoi che ci sia da chiarire? Non c'è niente da chiarire, abbiamo già chiarito abbondantemente sta notte"
Scuoto il capo, avvicinandomi a te di un altro passo.
"No, non è vero"
Alzi gli occhi al cielo per poi chiuderli subito dopo, ingoiando probabilmente una lunga serie di bestemmie.
Incroci le braccia al petto e le stringi forte, come a voler resistere alla tentazione di prendermi a schiaffi di nuovo.
Quando riprendo a parlare, sono ad un passo da te.
"Puoi prendermi a schiaffi e urlarmi contro tutto il tempo che vuoi. Io da qui non me ne vado. Prima non mi hai ascoltato, non mi hai lasciato parlare, ti sei solo incazzato. E hai ragione"
Il cuore accellera quando sento il tuo respiro mescolarsi al mio.
Mi accarezza la pelle, me la riscalda.
Mi parli ad occhi chiusi.
"Cos'altro vuoi dire ancora, più di quello che hai già detto? E non dirmi che ti dispiace. Se me lo dici anche solo un'altra volta non risponderò più di me"
"Va bene, non lo dico. Ma ho bisogno di spiegarti. Anzi no, non sono io ad averne bisogno. Sei tu che ti meriti una spiegazione, prima di decidere se mandarmi a fare in culo o no"
"E se io non volessi nessun tipo di spiegazione?"
"Mi ascolterai comunque"
"Che palle!"
Urli frustato, allontanandoti di scatto da me.
Fai qualche passo nervoso in giro per la stanza, senza guardarmi, borbottando a mezza voce.
"Io non capisco. I maschi di solito, sopratutto quelli etero, non vogliono parlare, non vogliono dare spiegazioni, non gliene frega niente di tutte queste stronzate. Proprio io dovevo andare a trovarmi quello rompicoglioni?"
"Ma io non sono etero"
Ti blocchi e mi guardi, inarcando un sopracciglio.
Sembri rifletterci.
Sbuffi scocciato, lasciandoti cadere svogliatamente su una delle sedie della cucina.
"Resti comunque un rompicoglioni"
Provo a trattenermi, ma un sorriso divertito mi scappa dalle labbra.
"Si, probabilmente si"
Mi guardi ancora per qualche secondo poi, con un gesto frustrato, ti passi una mano sul viso, stropicciandoti appena gli occhi.
"Visto che hai deciso che non posso ancora andare a dormire, almeno vuoi renderti utile e preparare il caffé?"
Sento il mio sorriso allargarsi.
"Basta chiedere"
Vado in cucina e mi metto ai fornelli.
Mentre preparo la moca, nessuno di noi due parla.
Siamo entrambi chiusi nei nostri pensieri, nelle nostre menti.
Avverto solo i tuoi occhi perforarmi la schiena.
Bruciarmi fin dentro le ossa.

Scotch al sapore di SambucaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora