Avevo dieci anni. Mi ritrovai vestito di nero, seduto in ginocchio accanto alla foto di mia madre e alle varie corone di fiori, nella sua camera mortuaria. Lei era lì, nel mezzo, bella come sempre. Papà al mio fianco cercava di non piangere, mentre qualche parente veniva lì per poterla vedere e dare condoglianze. Alzai poi lo sguardo su mia nonna, seduta dal lato opposto, che non smetteva di piangere e ripetere "Doveva toccare prima a me" mentre il nonno le teneva la mano, lasciando scendere anche lui qualche lacrima.
Io, a prima vista, sembravo quello più forte. Ero lì, impassibile, a guardare i presenti nella stanza, e a volte la foto di mia madre. Molti avrebbero potuto pensare che fossi insensibile, o forse che non avevo compreso bene la situazione. In realtà avevo versato talmente tante lacrime, il giorno prima, che mi sentivo completamente vuoto.Mio padre, da quel giorno, iniziò a pensare che mi servisse una figura materna, ma non aveva le forze per ritrovarsi in un'altra relazione; aveva anche paura che nessuno sarebbe mai uscito con un uomo vedovo e con un figlio. Ma quelle convinzioni non durarono molto. Dopo tre anni, si presentò a casa con una donna, e un bambino al suo seguito. La guardai, e quel sorriso era veramente il più falso che avessi mai visto. In presenza di mio padre mi trattava bene, oppure mi ignorava, ma quando non era presente, mi trattava peggio di un cane, non sprecando occasione per ricordarmi quanto poco valevo in confronto al figlio, Jihyun si chiamava. Lui e il suo talento per il pianoforte lo portarono a essere l'orgoglio di mio padre. Ben presto, divenni un ombra anche per lui.
Mi ritrovai in una casa dove non ero ben accetto, e mio padre aveva fatto semplicemente finta di nulla; forse per paura di rimanere solo, di nuovo. Avevo deciso di andarmene. Non ne potevo più, sia dei continui insulti della mia matrigna, delle umiliazioni di Jihyun e del silenzio di mio padre. Ma, ovviamente, non potevo stare sotto un ponte.
Così decisi di finire il liceo e cercarmi un lavoro. Tanto ero sicuro che quell'arpia non avrebbe fatto spendere un soldo a mio padre per farmi continuare gli studi. Ma la realtà mi colpì come un treno quando mi resi conto che non avevo alcuna possibilità di trovare un lavoro decente senza una laurea.
Stavo provando a resistere ancora un poco in quello schifo, continuando a cercare ovunque, fino a quando non si presentò davanti i miei occhi, un salvatore. Era il proprietario di un ristorante di porridge, Kim Namjoon, che mi aveva accolto nel suo ristorante senza chiedermi nulla. Forse aveva visto i miei occhi stanchi e bisognosi, e quello gli era bastato. La paga era buona, ma ero comunque sicuro che mi ci sarebbe voluto un bel po' per potermi permettere un piccolo appartamento.
Non appena ebbi il mio primo stipendio, decisi di andare ad aprire un conto bancario e depositare tutto lì. Avevo paura che Jihyun avrebbe trovato il modo per prendermi anche quelli, oltre che tutto ciò che, una volta, era mio. I primi tempi avevo detto loro che tornavo a casa tardi perché mi fermavo spesso da un mio amico, oppure me ne andavo in biblioteca per leggere qualcosa e perdevo la cognizione del tempo, ma alla fine non potei più tenerlo nascosto. Non gli dissi quale fosse il locale.
Ormai erano più di sei mesi che ero lì a lavorare, e Namjoon, oltre a essere il mio capo, era diventato mio amico. Gli avevo raccontato parte della mia vita, non totalmente. Iniziò a trattarmi come fossi suo figlio, aveva aumentato la mia paga e quando vedeva che non stessi bene, mi chiedeva cosa fosse successo. A volte era lui quello che curava le piccole ferite inflitte dal mio fratellastro. Continuava a dire "Come può tuo padre non dire nulla?" E me lo chiedevo anche io.
Mi sembrava di essermi catapultato nella favola di Hansel e Gretel. Solo che loro erano in due, potevano contare l'uno sull'altro. Io avevo sempre dovuto contare su me stesso, soprattutto da quando i miei nonni erano morti. Ma Namjoon continuava a ripetermi che non ero più solo, che c'era lui e che avrebbe fatto di tutto per farmi stare meglio.
Quel giorno, dopo aver finito il mio turno di lavoro, andai a prendere il mio zainetto dallo spogliatoio. Dovevo tornare in quella casa. Sarei rimasto volentieri anche tutta la notte a lavoro se solo fosse stato possibile. Una volta uscito dalla piccola stanza, mi ritrovai Namjoon davanti, sorridente, mostrando le sue adorabili fossette. Alzai un sopracciglio, leggermente confuso.
-Ecco... sto tornando a casa- mormorai, iniziando a giocare con le mie dita.
-Vieni, dobbiamo parlare- mi fece segno di andarmi a sedere a un tavolo. Spostai lo sguardo sul punto indicato, vedendoci seduto un ragazzo, realizzando subito che fosse il suo fidanzato, SeokJin. Mi limitai ad annuire leggermente alle sue parole e andai a sedermi a quel tavolo, togliendomi lo zainetto dalle spalle, poggiandolo a terra.Feci un piccolo cenno di saluto con la testa verso il maggiore, che ricambiò subito. Poco dopo, Namjoon si sedette al suo fianco, e mi guardarono entrambi. Iniziai a torturarmi il labbro, agitato.
-Io... ho combinato qualcosa?- chiesi in un sussurro, spaventato all'idea di essere cacciato. Ridacchiarono entrambi e Namjoon scosse la testa.
-Jin ha una proposta da farti- sospirai di sollievo a quelle parole e prestai attenzione al maggiore.-Si Jimin. Ti ho guardato per bene in questi mesi e Namjoon mi ha raccontato un poco di te. So che stai vivendo un periodo abbastanza difficile e cerchi di andartene da quella casa. Beh, non penso Namjoon te lo abbia riferito, ma... io sono l'erede della famiglia Kim, la poprierata di gran parte degli alberghi e dei più grandi ristoranti della Corea. Vedi, mio padre è sempre fuori per via del lavoro, raramente torna a casa. Lì ci sono i miei due fratelli più piccoli, Jungkook e Taehyung. Hanno qualche cameriera ma non un maggiordomo. Mi farebbe piacere che lo sia tu. Avrai vitto e alloggio. Vorrei che ti prendessi cura dei miei fratelli, dato che io convivo con Namjoon e non posso sempre tenerli a bada- io ero rimasto letteralmente a bocca aperta, guardandolo incredulo. In effetti Namjoon non mi aveva mai accennato a una cosa del genere.
Poco dopo, sentii gli occhi farsi lucidi e mi portai una mano davanti la bocca, abbassando la testa.
-Grazie tanto- dissi con voce tremante e delle lacrime presero a scendere lungo le mie guance, mentre il mio corpo era scosso dai singhiozzi e io non smettevo di ringraziarli. Namjoon si alzò poco dopo e si avvicinò a me, abbassandosi alla mia altezza per stringermi in un abbraccio e farmi poggiare contro il suo petto, mettendo una mano tra i miei capelli, accarezzandoli dolcemente.-Te l'ho detto, Jimin. Ora non sei solo-
Angolo me
Salve a tutti! Allora, questa non è la mia prima storia, avevo unaltro profilo che mi è stato rimosso giusto oggi per non so ancora quale motivo. Dopo i pianti per aver perso tutte le mie storie, ho deciso di farmi coraggio e ricominciare. Mi dispiace per non aver potuto avvertire le mie lettrici e spero che in qualche modo riescano a vedere questo. Io ero @gioia454, quindi se qualcuno di voi già seguiva qualche mia storia, beh sapete il motivo della mia improvvisa sparizione. Avevo una storia in corso e vedrò se riuscirò a riscriverlo. Al momento, mi dedicherò a questa VMin, e spero possa piacere. Grazie per aver letto fino a qui e spero solo che questa volta andrà meglio ❤
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Light •VMin• (IN PAUSA)
FanfictionJimin, ventiquattro anni, rimane orfano di madre a soli dieci anni e, poco dopo, il padre si risposa con una donna, anche lei vedova e con un bambino poco più grande di Jimin. La donna inizia fin da subito a trattare Jimin con disprezzo, volendo che...