57. Heart

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Avvertimenti:
- Doctor who (Serie classica)
- AU
- 4thDoctor
- 1356 parole

Il Dottore si muoveva in silenzio tra i corridoi deserti del suo Tardis. I motori erano spenti e fuori dalla cabina c'era solo l'immenso vuoto dello spazio; non si sentiva un rumore se non i passi lenti e cadenzati del Signore del Tempo.

Indossava i soliti alti stivali e non sapeva bene da quanto li aveva indosso, ma gli stavano comodi. Camminava senza una meta precisa, con la testa vuota e il capo chino. Le mani erano cacciate nelle tasche del cappotto aramanto che ora gli cadeva addosso più grande del solito; aveva perso peso, ma non aveva nessuno intorno che glielo facesse notare.

Passò davanti a vecchie stanze vuote, senza riuscire a ricordare le facce di chi le avesse abitate, anni prima.

Molti erano solo ombre oscure nella sua memoria e le immagini un poco più nitide erano senza un nome. Una ragazza mora sembra sorridergli con un'infinità dolcezza e lasciarlo da solo con il medesimo sorriso. Un'altra, bionda, ha negli occhi più anni di quanti ne dimostri e sembra ricordargli nel suo silenzio nebbioso che, in fondo, non erano fatti per stare a lungo insieme.

Dov'era, ora? Dov'era Romana, mentre lui diventava sempre più vecchio, più stanco, più freddo nella propria solitudine?

Continuò a camminare e senza pensarci raggiunse la sala comandi, immersa completamente nel buio, salvo qualche led qua e là che dimostrava che almeno il Tardis non era morto.

Che si potesse dire lo stesso del Dottore, non era altrettanto ovvio.

C'era una sedia nell'angolo, che trovò anche nell'oscurità e si lasciò cadere lì, come una marionetta senza fili. Dopo momenti d'immobilità (Secondi? Ore? Giorni?) si portò una mano sulla faccia e realizzò che faceva fatica a riconoscersi sotto i suoi stessi polpastrelli.

Sentiva su tutta la pelle una ragnatela di rughe che non avrebbe mai immaginato che potesse trovare il tempo di farsi strada sulla sua fronte e intorno agli occhi.

Le guance erano scavate e coperte da una lunga barba bianca che gli ricadeva disordinata sul petto. 

Che anno è? Dove sono? Chi sono?

La mano scese sul collo. Sentiva freddo senza la sua sciarpa, ma non ricordava dove fosse e non aveva intenzione di spostarsi dalla sedia molto presto. 

Il cappotto era largo, la camicia era larga e l'orologio da taschino pesava nei pantaloni come un macigno. Lo controllò nell'oscurità e si accorse che le lancette erano immobili. Le quattro e mezza di un giorno passato.

Pensò che quell'apatia sarebbe finita prima o poi, o almeno una minuscola parte di sè - nascosta in qualche remoto non-luogo del suo cervello - lo stava sperando con tutta se stessa. Con un'eccessiva vecchiaia e un digiuno fuori da ogni logica, sarebbe presto sopraggiunta la rigenerazione e forse un nuovo sè - più giovane, magari - si sarebbe rialzato da quella sedia e avrebbe ripreso il suo viaggio infinito nelle stelle.

Ma non ora. Ora era ancora troppo presto e allora rimase lì, immobile.

Fu il Tardis a muoversi da solo, come se avesse una propria opinione riguardo la situazione. Con tutta probabilità era abbastanza vivo da avere qualcosa di più di un'opinione, visti i non rari casi in cui aveva fatto di testa sua e il Dottore, incolsapevole burattino della sua stessa macchina del tempo, si era trovato nel luogo giusto al momento giusto.

All'inizio non si accorse di nulla, perché era tutto buio e concentrarsi su qualcosa gli costava una certa fatica, ma poi sentì il rumore della materializzazione farsi sempre più forte; stava atterrando da qualche parte, senza che lui avesse avuto voce in capitolo.

100 Challenge (Doctor Who)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora