0 - Solo le stelle tengono davvero compagnia

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"Perché ieri non eri presente?! Cosa ti è passato per la testa?!" Aelius sbraitò al fratello.
"Io... io..." balbettò Aibek Ilkay guardando a terra.
" 'Tu...tu...' cosa?!"
"Non ritenevo la mia presenza rilevante, tutto qui. Come vedi, la notte è arrivata comunque, anche se io non ero lì...."
"Sì, ma se qualcuno avesse notato la tua assenza? Non ci hai pensato? Non mi stupirei: ieri hai dimostrato quanto il tuo cervello sia della grandezza di un atomo! E la tua corte dov'era? Perché non ti ha provato a fermare? Hai preso il primo branco di incapaci ruffiani che ti è capitato davanti, solo per il gusto de 'guarda! ho una corte anche io!'."
"Ma nessuno ha notato la mia assenza. Sai, fratello mio, il tuo splendore è tale da rendere la mia luce insignificante in confronto. Se un giorno la luna non ci fosse più, nessuno sentirebbe la sua mancanza, nessuno se ne accorgerebbe neanche, grazie a te. E, seconda cosa ma non per importanza, non ti azzardare mai, e dico mai più, a insinuare una cosa del genere riguardo la mia corte. Loro tentarono di fermarmi come meglio poterono, ma sai bene che i semidei devono rimanere al loro posto rispetto a noi Dei, quindi non potettero insistere eccessivamente. Perciò non osare mai più insultare le persone da cui ho scelto di essere circondato, visto che io non farei mai una cosa del genere nei confronti delle tue."
Detto questo, Aibek Ilkay si voltò e se ne andò.
Entrò nella biblioteca del palazzo, il suo luogo preferito, e sbatté la porta dietro di sé con forza. Non capiva se fosse arrabbiato perché suo fratello aveva osato insultare la sua corte, la sua famiglia, o se era arrabbiato per... qualcos'altro. Non capiva cosa, però. Invidia, forse? Fatto sta che si sentisse offeso e infuriato.
"Nostro splendore, che mai vi è capitato? Quale ragione si cela dietro tale ira? Avete avuto l'ennesima lite con vostro fratello? " la corte della Luna si precipitò dove si trovava il proprio Dio, stupiti da un comportamento così raro.
Aibek Ilkay respirò profondamente per calmarsi, non desiderava affatto rispondere in malo modo a coloro che non avevano fatto nulla per meritarselo, poi rispose lentamente: "Sono semplicemente confuso... a cosa servo io se c'è già il giorno a illuminare e portare gioia? ... Sono per caso stato creato per non essere amato?... Per essere inutile?... perché proprio a me è spettato un destino tanto crudele?"
I membri della Corte di Stelle assunsero un espressione affranta, e leggermente offesa, per poi controbattere: "Ma noi vi amiamo, vi veneriamo, Nostra Lucentezza. Per caso la nostra presenza non vi aggrada? Vi abbiamo per caso deluso in qualche modo?"
Il Dio non poté fare a meno di pentirsi di ciò che aveva detto. Si portò in fretta una mano alla bocca, come se tale gesto facesse sì che potesse rimangiarsi le proprie parole.
"Chiedo perdono," mormorò "non avevo assolutamente intenzione di insinuare una cosa del genere. Non mi avete mai deluso, e ho la certezza che non accadrà mai una cosa del genere. E credo che sappiate bene come la vostra presenza rallegri le notti che, altrimenti, passerei in solitudine. Ogni giornata sono grato del fatto che siate con me."
La Corte era commossa da tali parole. Oltre che sentirsi onorati, si sentivano... leggeri, quasi come nuvole, come se fossero stati sollevati dal sapere di essere così importanti.
"Sapete," aggiunse il Dio, avvicinandosi a un'ampia finestra e affacciandosi fuori "è da ieri alla mia Alba, quando mi trovavo sulle sponde del lago Kamaria, che ho un'immagine fissa in mente: un misero sasso dal colore argenteo che misi davanti ai miei occhi, tra me e il sole, e che ne coprì la luce. Se può farlo un sasso, supportato dalle mie mani... può farlo anche la Luna, supportata dalla mia stessa magia, anima e vita?"

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