6. ALLIE

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Tutto ciò che dovevo fare era preparare i bagagli e partire.

Semplice, giusto? Sbagliato.

Fisso le valigie semivuote sul letto e so che sto dimenticando qualcosa. Il problema è che non so cosa.
Non possiedo molti vestiti. Quando me ne sono andata di casa ho portato con me solo lo stretto necessario e, a parte qualche maglia e un paio di jeans in più, il mio guardaroba non si è arricchito di molto negli ultimi due anni.

Scuoto la testa fra me e me. In caso mi venisse in mente altro, posso sempre tornare a prenderlo.
Infilo le scarpe e prendo la felpa, perché, anche se è settembre, la sera l'aria si rinfresca. Afferro le chiavi e spengo la luce.

Mi fermo a guardare nella penombra l'appartamento che mi ha ospitato. Uno strano senso di nostalgia inizia a farsi strada dentro di me, ma è arrivato il momento di andare. Chiudo la porta alle spalle, senza voltarmi indietro.

Mark, Linda e Gwen, mi aspettano al piano di sotto. Dopo tante lacrime e promesse di chiamarli per qualsiasi cosa mi serva, mi lasciano andare.

«Se continuate così perderò l'autobus». Alzo gli occhi al cielo, mentre incasso l'ennesimo abbraccio di Linda.

«Hai ragione, scusa. Cavolo, non posso credere che te ne stia andando davvero». Si passa nervosamente le mani sul grembiule e i suoi occhi ritornano a inumidirsi.

«Ehi, tornerò in estate, ricordi? Non scappo per sempre», le faccio notare, cercando di alleggerire l'atmosfera.

Sembra che Gwen abbia avuto la mia stessa idea, perché mi regge il gioco pizzicandomi un braccio.
«Potrai anche fare la dura con tutti, ma con me non attacca, so che ti mancheremo, signorina».
Ricambio il pizzicotto con una smorfia divertita e li saluto per l'ultima volta, uscendo dal locale. La fermata è a un paio di isolati: arrivo giusto in tempo prima che si chiudano le porte del pullman.

Il viaggio è breve, ma al mio arrivo è già buio.
In segreteria mi danno la chiave della stanza con una cartina del campus formato gigante. Dopo mezz'ora di ricerche, trovo il corridoio giusto, fermandomi davanti alla porta 156 A.

Sono elettrizzata e spaventata al tempo stesso, un mix di emozioni cui non sono abituata. Il futuro mi aspetta. Faccio un passo avanti ma subito dopo indietreggio, barcollando per l'impatto della porta sul mio naso. D'istinto lascio cadere la valigia per terra, portandomi entrambe le mani sul viso.

Sento urlare qualcuno. La voce proviene dalla ragazza che sbuca da dietro la porta. Mi viene incontro spaventata.

«Cazzo», impreco. Il sangue scende a fiotti, sporcando le mie scarpe e il pavimento.

«Oddio, scusa, mi dispiace tanto!», esclama la ragazza, tirando fuori un fazzoletto e porgendomelo.

Lo premo con forza sul naso, trascinando i bagagli dentro la stanza con la mano libera. La ragazza mi guarda sospettosa mentre entro, ma quando mi vede appoggiare le valigie si apre in un sorriso a trentadue denti, come se avesse avuto l'illuminazione del secolo.

«Aspetta un attimo, quindi sei tu la mia coinquilina?», domanda, puntandomi un dito contro.

Nel frattempo, mi siedo sull'unico letto vuoto e mi tolgo la felpa. «A quanto pare...»

«Io sono Jessica, ma puoi chiamarmi Jessie», annuncia, tendendomi la mano.

Dovrei stringerla, ma le mie dita sono coperte di sangue. Non mi sembra il caso.
Alzo lo sguardo per osservarla meglio. È bassa e indossa una canottiera bianca, un paio di jeans sbiaditi e delle Converse nere. La pelle olivastra e i capelli corvini, tagliati appena sopra le spalle, fanno apparire più grandi i suoi occhi marroni che adesso mi stanno fissando divertiti.

Ricambio la stretta di mano. «Io sono Allison, ma Allie va bene».

«Okay, Allie, io sto andando a prendere un caffè. Vuoi venire?».

Detesto uscire, soprattutto con persone che non conosco, o con le persone in generale, quindi accenno un sorriso cortese da dietro il fazzoletto e mi guardo intorno.

«Non posso, devo ancora ritirare dei moduli in segreteria e dovrò sistemare tutte le mie cose», spiego vaga, sperando che non insista.

«Mhm, d'accordo, in questo caso ci vediamo più tardi». Mi osserva per un attimo, poi afferra la sua borsa ed esce in tutta fretta.
Non so se abbia creduto alla mia scusa, ma poco importa. Sono qui per studiare, non per fare amicizia.

Quando rimango sola, do uno sguardo alla stanza. Sembra troppo surreale essere qui. Comincio a sistemare i pochi vestiti nell'armadio, in modo ordinato e preciso. Allungo un braccio per appendere una maglietta del pigiama e lo sguardo mi cade sul bracciale. Il bracciale di Matt.
Per un secondo, è come se fosse qui con me.
Non mi permetto di rimuginarci sopra. Lo stacco dal polso e lo infilo in una scatola da scarpe che poggio sul letto. Mi perdo nei ricordi un'ultima volta, prima di afferrare il contenitore e sistemarlo in fondo all'armadio. È troppo prezioso per rischiare di perderlo o rovinarlo.

Le ore passano in fretta e a fine serata ho sistemato tutti i vestiti nell'armadio, rifatto il letto e ritirato gli orari delle lezioni in segreteria. È quasi ora di cena quando mi siedo sul letto. In quel momento, entra Jessie. Ha le braccia coperte di sacchetti, tra i quali sbucano due cartoni della pizza. Vederla sommersa da tutte quelle buste la fa sembrare ancora più minuta.

«Ho pensato che per il caffè fosse tardi, ma per la pizza c'è sempre tempo», dichiara con un sorrisetto.

Jessie lascia cadere le buste sul pavimento e viene a sedersi vicino a me. Apre il cartone della pizza e dà un morso alla prima fetta. Muoio di fame, quindi comincio a mangiare.

«So che sei venuta in autobus, quindi non dovresti abitare molto lontano», afferma con indifferenza, rosicchiando la crosta della sua pizza.

«Come fai a saperlo?». Smetto di masticare e la guardo con attenzione, aspettando che mi risponda.

«Ehi, calmati, ho fatto qualche domanda in giro. Dovrò pur sapere chi dormirà accanto a me per il resto dell'anno, no?», dichiara, come se fosse la cosa più normale del mondo.

«E io dovrei restare calma? In America questo si chiama stalking». La guardo in cagnesco, mentre lei alza le mani in modo innocente continuando la sua spiegazione.

«Intanto non ti sto stalkerando, ho fatto solo qualche domanda sulla mia compagna di stanza. Potresti essere una serial killer e io lo scoprirei solo dopo essere morta, quindi non puoi biasimarmi se voglio proteggermi», conclude seria, riprendendo a mangiare.

«Credi davvero che potrei essere una serial killer?».

Jessie mi fissa, poi alza le spalle. «Beh, in effetti no, con quel broncio da "odio tutta l'umanità" e il rifiuto a socializzare, scoprirebbero subito che sei tu l'assassina».

Ci guardiamo in silenzio, prima di scoppiare a ridere.

«Cavolo, sei proprio matta da legare», dichiaro tra una risata e l'altra, prendendo un'altra fetta di pizza dal cartone.

«Lo prendo come un complimento».
Dopo aver spazzolato entrambe le pizze, ci prepariamo per dormire. Domani sarà una giornata lunga per entrambe.

«Sai, credo che diventeremo amiche», annuncia Jessie, infilandosi sotto le coperte e spegnendo la luce.

Credo sia prematuro da dire, ma qualcosa dentro di me pensa la stessa cosa.

SENZA FARLO APPOSTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora