7. LUKE

1.4K 62 33
                                    

Merda. Merda. Merda.

Ho perso le chiavi dell'appartamento. Un'altra volta. E il mio migliore amico non è d'aiuto. È da mezz'ora che provo a chiamare Taylor al telefono, ma risponde la segreteria con quella musichetta irritante che va a ripetizione.

Sarà in giro per il campus a caccia di nuove matricole da portarsi a letto. Noi, invece, stiamo iniziando il terzo anno di università. Tiro un calcio alla porta.

«Maledizione», impreco.

La signora Kinkle mi ucciderà. L'anno scorso le ho chiesto di rifare le mie chiavi due volte. Se glielo chiedessi ancora, è probabile che mi mandi a quel paese. E avrebbe ragione.

Adesso mi toccherà andare in segreteria, compilare un centinaio di moduli attestanti che sono un coglione, e richiedere un altro paio di chiavi. Giuro che stavolta me le incollerò al culo, al costo di tintinnare come una cazzo di mucca al pascolo per il resto dell'anno.

Scendo dalle gradinate e mi faccio largo tra la massa di matricole che vagano disorientate in cerca dei dormitori. È il primo giorno, quindi c'è il caos generale.
Inoltre, sono tutti esaltati per la festa di stasera al Red Ink, il bar più frequentato dagli studenti della Briar.

Mentre scendo le scale, il cellulare mi vibra in tasca. Lo sblocco e apro la casella dei messaggi.

Taylor: "Ehi, amico, ti serviva qualcosa?".

Alzo gli occhi al cielo. È un coglione, ma è anche uno dei miei migliori amici.

Io: "No, ti ho chiamato sei volte solo perché mi piace la tua segreteria".

Taylor: "Se ti manca sentire la mia voce, tesoro, basta dirlo".

Sì, è proprio un coglione.

Io: "Stronzo, muovi il culo. Dobbiamo andare alla riunione con il coach, tra venti minuti e io ho perso di nuovo le chiavi."

Taylor: "Ma dove hai la testa? Arrivo... e vedi di sistemarti, stasera si va al Red".

Io: "Passo, grazie".

Non ho intenzione di andarci, lì potrei incontrare Lexie. I miei pensieri si interrompono quando sbatto contro qualcosa e una montagna di fogli cade per terra.

«Ma che cazzo». Mi guardo attorno e vedo una ragazza dai capelli castani, inchinata a raccogliere le sue cose in fretta e furia.

«Oddio, scusa, non ti ho visto. Guarda che casino», dice.

Appena alza lo sguardo, due grandi occhi marroni entrano nel mio campo visivo e la riconosco subito. Dal modo in cui si irrigidisce, capisco che anche per lei sia lo stesso.

«Ehi, io ti conosco». Mi abbasso e la aiuto a raccogliere gli ultimi fogli, sentendola borbottare qualcosa sottovoce.

«Scusa, non capisco cosa stai dicendo», dico, guardandola sistemarsi i libri sottobraccio e alzarsi di nuovo in piedi.

«Ho detto che ce la faccio da sola, grazie».

Alzo un sopracciglio e metto le mani in tasca «Sì, l'hai detto anche l'altra volta», commento ironico. «Perché odi farti aiutare?».

La vedo stringere le dita a pugno e temo che voglia colpirmi.

«Non lo odio. Io so cavarmela da sola», ribatte infastidita, guardandosi intorno come se stesse valutando di scappare.

Ma che problema ha con me? Di solito sono io che devo rifiutare le attenzioni indesiderate delle ragazze, ma questa qui mi tratta come se avessi la peste, cazzo.

Ignoro la sua ultima affermazione presuntuosa e continuo: «Come sta la tua mano?». Le indico il braccio sinistro.

Lei tenta in tutti i modi di nasconderlo, si affretta a tirare giù le maniche, ma intravedo il livido gonfio che sapevo sarebbe comparso.

«Benissimo, ma ora devo andare».

Mi liquida in fretta, oltrepassando senza guardarsi indietro e dirigendosi verso i dormitori.
Cavolo, questa sì che è una novità. Detesto le oche svampite, ma forse le stronze sono peggio.
Anch'io sono così, quindi non so perché mi dia fastidio il suo comportamento. Non la conosco neanche. Quel giorno al bar l'ho aiutata, anche se non è da me impicciarmi dei fatti altrui. Avrei dovuto essere da un'altra parte, tanto per cominciare, ma avevo bisogno di allontanarmi da tutti. Quel bar non è frequentato da gente che conosco, quindi credevo fosse la scelta migliore.

Di solito me ne sto in disparte, mi piace farmi i cazzi miei, ma quella volta la mia mano si è mossa senza il consenso del mio cervello, il quale stava ballando il valzer con il gin appena bevuto.
Scuoto la testa. Non ha senso pensarci. È una tipa qualunque e, considerata la grandezza di questo campus, può darsi che non la riveda più.

SENZA FARLO APPOSTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora