Capitolo 4

1.2K 147 49
                                    

IL MIO RAPPORTO CON IL TENNIS

Il tennis ha sempre rappresentato, per me, una realtà alternativa da quella vissuta nella quale riversare le mie vicissitudini personali e coltivare un sogno: diventare numero uno al mondo. Il mio primo incontro con una racchetta avvenne all'età di sei anni.  Fu un colpo di fulmine: quell'evento sancì la mia definitiva unione con lo sport che più avrei amato e che costituisce tutt'ora parte del mio essere. Il gene tennistico, però, è una caratteristica propria della famiglia di mia madre poiché sia lei che i miei due zii giocavano a tennis ad un livello considerevole. A ciò vanno aggiunte le innumerevoli partite osservate dal vivo, nonché le diverse esperienze accumulate in vesti di raccattapalle durante il nostro soggiorno in Qatar. In quel periodo la rivalità fra Federer e Nadal non si era ancora del tutto consolidata, nonostante si fossero già incontrati diverse volte come ad esempio a Miami nel 2004 con la vittoria a sorpresa di Nadal su Federer, allora numero 1, nel 2005 sempre in quel di Miami con una rimonta epica di Federer da due set di svantaggio sino alla conquista del torneo, e nella semifinale del Roland Garros del 2005 con successo finale di Nadal. L'avvento di questa rivalità ha segnato per sempre il mio modo di concepire il tennis e la mia persona. Entrambi rappresentano un modo differente di incarnare il tennis: Federer riflette le caratteristiche del giocatore "old school", ovvero del classico giocatore improntato all'attacco, con la tattica del servizio e delle volèe, unito al gioco del cosiddetto "tennista moderno" basato sulla regolarità da fondo campo. Il prototipo del "tennista moderno" è rappresentato senz'altro da Nadal, il quale diede vita ad un tipo di gioco concentrato sull'aspetto fisico e psicologico trasformando il campo da tennis in una vera e propria scacchiera. Pur presentandosi come opposti, sia Federer che Nadal sono accomunati dalla morale che distingue ogni loro partita: la volontà di non mollare mai. A tal proposito mi vengono in mente diverse partite: la semifinale del Roland Garros del 2013 fra Nadal e Djokovic, nella quale Nadal avrebbe potuto chiudere la partita in quattro set, ma si ritrovò sotto di un break nel quinto set sino al 4-3 dove riuscì a ristabilire l'equilibrio e a vincere 9-7 . Quella vittoria spianò la strada verso la conquista del suo ottavo Roland Garros. Nella finale di Wimbledon del 2009, Federer riuscì a vincere il torneo per la sesta volta, ma solo al quinto set con il risultato finale di 5-7 7-6 7-6 3-6 16-14 sull'americano Andy Roddick, finalista per ben tre anni a Wimbledon (2004, 2005, 2009). Federer in quell'occasione rischiò di trovarsi in svantaggio di due set, però vinse riuscendo a battere il record di Grand Slam vinti detenuto da Pete Sampras (14).

Ciò che ho cercato, e cerco tutt'ora, di fare è di riprodurre la loro fermezza mentale nel mio gioco. L'arte non è esclusa da quest'ambito: al contrario costituisce parte integrante del loro gioco. La parabola descritta dal diritto di Nadal è un chiaro riferimento agli archi romani,  la cui efficacia è disarmante per gli avversari. La perfezione stilistica dei colpi di Federer è tale che neanche lo stesso Bernini sarebbe in grado di raffigurarli con la medesima bellezza e accuratezza. Il momento dell'impatto della racchetta di Federer con la pallina rappresenta il più alto grado di bellezza sublime, lo definirei quasi come un momento estetico di assoluta perfezione. Se un essere umano è in grado di replicare la perfezione fino quasi a rasentarla, allora è necessario rivoluzionare il concetto stesso di perfezione. Esso non deve più apparire come un obiettivo utopistico raggiungibile solo formalmente mediante l'uso del linguaggio, ma può realizzarsi nel lavoro maniacale di ciascun individuo. Il tennis è uno sport meraviglioso che va oltre il semplice scopo di colpire una pallina con una racchetta. Il tennis contribuisce ad approfondire la conoscenza di noi stessi, spinge al limite le capacità fisiche e, soprattutto, psichiche, assotigliando, così, il distacco che esiste tra razionalità e passionalità. Come tutti ben sappiamo ciò che ci eleva a specie dominante è la razionalità. Nel tennis, però, la situazione si capovolge: la passionalità e l'istinto sfuggono alle leggi razionali e prendono il sopravvento, trasformandoci in contenitori di emozioni dalle più molteplici e multiformi sfaccettature.  La tensione, il timore, l'adrenalina, la felicità, la tristezza costituiscono il motore di un tennista, anche se la razionalità non è da escludere "in toto". Il tennis viene spesso denominato come "lo sport del diavolo", il che è tutt'altro che falso. È l'imprevedibiltà a conferirgli quest'appellattivo: il tennis sfugge a qualsiasi logica, perché può bastare un singolo colpo a decretare l'esito di una partita a favore dell'uno o dell'altro giocatore. A mio avviso il tennis simboleggia concretamente il concetto oraziano di "Carpe Diem" meglio di qualunque altra disciplina sportiva, perchè richiede da parte del giocatore una capacità, quella del saper cogliere l'attimo, che a differenza di quanto accade spesso nella vita reale ha tempi serrati. Il tennista assume così fattezze robotiche, perché le abilità di calcolo imposte dal ritmo di gioco sono di gran lunga superiori a quelle medie.

Pensieri di un viaggio di ritornoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora