Ricordami il dolore

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Eren era corso verso casa sua come se la tempesta che infuriava negli occhi di Armin avesse potuto raggiungerlo ad ogni momento. E pensò che, probabilmente, se lo sarebbe anche meritato.

Cazzo, cazzo, che idiota che era stato. Aveva desiderato quel momento così tante volte nell'arco di quei pochi giorni, si era costruito la sensazione di quelle morbide labbra rose sulle sue in modo tanto realistico e tanto a lungo da fargli dubitare che fosse già successo.
Si erano già baciati, prima di quel momento? Si erano mai baciati?
Eren non lo sapeva, non era in grado di distinguere la realtà dai sogni quando coinvolgevano quella chioma color dell'oro, quelle iridi color del mare, quella pelle color del latte, quelle labbra color del fuoco.

Non sapeva se si erano baciati o meno, non sapeva se correre di nuovo in biblioteca, non sapeva se avrebbe mai rivisto Armin, non sapeva che cosa avrebbe dovuto fare, ma sapeva cosa voleva fare. Voleva scrivere. Voleva sentire il tratto della matita sussurrare sulla carta del suo quaderno a righe, così dolorosamente simile a quello di Armin; voleva buttare giù tutti quei pensieri, liberare la sua mente macchiando quel foglio; voleva imprimere su di esso il suo essere nella sua essenza più segreta ed intima, lui, con le sue lettere tondeggianti, precise, leggermente inclinate. Voleva rendere Armin suo, ma non poteva certo tornare indietro e baciarlo di nuovo, scusarsi e provare a fingere che non fosse successo, no, era impensabile, tutto ciò che in quel momento poteva fare era scrivere, scrivere furiosamente con quella matita sulla carta fragile, scrivere tutto ciò che pensava, che sperava, che desiderava, che amava. Scrivere, scrivere, scrivere.

Voleva, no, doveva scrivere versi che mettessero in musica tutto il subbuglio delle sue emozioni, doveva scrivere qualcosa che mettesse in musica tutti i sentimenti che il mare blu degli occhi di Armin riversavano nel suo cuore arido e secco, trasformandolo nuovamente in terra fertile e feconda.

Ma non ci riusciva, il foglio bianco era più minaccioso di un deserto privo di limiti e di confini e la sua mente troppo affollata dai mille pensieri che gli urlavano addosso tutto ciò che era successo e ciò che sarebbe dovuto succedere e ciò che...
Basta. Eren decise che doveva dormire, che la notte gli avrebbe portato consiglio, e si infilò nel letto con il cuore pesante di ansia.

Quella notte, non sognò Armin. E il giorno dopo, non lo trovò quando andò a cercarlo in biblioteca.
Passò circa una settimana senza quello sguardo ceruleo e accusatore puntato sulla sua pelle leggermente abbronzata.

Sette giorni dopo, Eren riprese a vedere quella chioma bionda. Erano allucinazioni, forse, ma il moro era tanto bisognoso di quello sguardo puntato su di lui, di quel bel viso rivolto nella sua direzione nell'altro sicuro della sua visione periferica che non si girava, si limitava a guardarlo con la coda dell'occhio. Appena si voltava verso il ragazzo, lui scompariva.

Iniziò a piangere, la sera. Scriveva canzoni e piangeva, sporcava il foglio con la sua grafia traballante e le sue lacrime salate, ansia allo stato liquido.
Ogni pomeriggio, dopo la scuola, vagava per i corridoi vuoti della biblioteca, come se fosse un'anima in pena, come se fosse un fantasma legato indissolubilmente a quel luogo pieno di libri e di polvere, intriso di conoscenza, e, per lui, di amore.

I suoi amici si preoccupavano e così sua madre, che notava chiaramente la ricaduta dell'umore del figlio, ma lui taceva, taceva sempre: le sue parole le riservava ai fogli del suo blocchetto per gli appunti, identico a quello di Armin.
Gli mancava, Armin. Gli mancava tutto di lui. Gli mancavano le sue parole antiche, il suo completo grigio e il suo fazzoletto sporco, gli mancavano i fili d'oro che incorniciavano il suo viso, quel viso che tanto gli mancava, quel dolce naso a punta che si tingeva di rosso, talvolta.
Gli mancava al punto che aveva iniziato a dormire con quel dannato quadernetto, l'unica cosa che gli ricordava il ragazzo, a coccolare la rigida copertina e a riservare a quelle pagine l'attenzione che meritavano le guance di Armin.
Dio, quanto era stato stupido.

𝚁𝚒𝚌𝚘𝚛𝚍𝚊𝚖𝚒; eremin (completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora