Ricordami in cosa credi

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Eren tornò a casa, anche quella sera, ma il suo passo era diverso.
Le gambe prestanti avevano un'andatura che era mancata loro a lungo, i polmoni si riempivano appieno per la prima volta in tanto, troppo tempo, gli occhi boscosi lasciavano nuovamente che la luce del sole vi si infiltrasse attraverso.
Eren era vivo. E ogni fibra del suo corpo lo urlava, mentre correva sui sampietrini delle strade di Shiganshina vecchia per tornare a casa prima che la madre si preoccupasse, mentre il suo petto dai muscoli appena accennati si gonfiava d'ossigeno si sgonfiava del grigiore che tanto lo aveva oppresso.

Mangiò con più entusiasmo le verdure grigliate che la donna gli aveva preparato, rivolse qualche sorriso in più a lei e a Mikasa, e le degnò della sua presenza per qualche attimo in più di quelli richiesti per mangiare; non era certo molto, ma Carla non si lasciava sfuggire il verde bocciolo negli occhi del figlio, che appariva spuntare tra i capelli di legno scuro del figlio.

Poi, comunque, corse in camera sua come al solito, stendendosi sul letto con la sua fidata chitarra in mano e un blocchetto per gli appunti con la copertina di cartone blu scuro, buttando giù le stesse parole della sera prima, scarabocchiando, correggendo, mettendo disegni e righe disordinate sulla carta, come a imitare i suoi pensieri, confusionari ma al contempo così chiari, così semplici mente gli urlavano quanto Armin lo attraesse su un piano molto superiore a quello amichevole o quello fisico, eppure così spaventosi, minacciosi di dimostrargli cosa fosse l'amore solo per strapparglielo via allo stesso modo in cui la vita gli aveva strappato via il padre proprio mentre stava iniziando ad accettare il fatto che al figlio piacessero sia i ragazzi che le ragazze.

- Something in the way
He moves
Attracts me like
No other lover... - iniziò a canticchiare Eren. Ed era vero, non aveva mai provato nulla di tutto ciò che quei due grandi, languidi occhi che sembravano fatti dell'essenza stessa dell'oceano scintillante gli facevano provare. C'era quel qualcosa, nel modo in cui Armin si muoveva, che lo attraeva, che lo attraeva come nessun altro lo aveva mai attratto.

- Something in the way
He woos me... -
Quella parte non era vera come l'altra. To woo significava cercare di ingraziarsi qualcuno, spesso tramite favori o cose così, ed Eren lo sapeva - ci aveva sempre saputo fare, con l'inglese - ma sapeva anche che Armin non lo aveva aiutato in biologia solo per cercare il suo interesse, nonostante le persone fossero da sempre fuori dal suo campo di esperienza e comprensione.

- I don't wanna leave him, now... -
Verità di nuovo. Era passato ben poco da quando si erano conosciuti, e per di più non era nemmeno certo che il viso del biondo si illuminasse al suo pensiero come il proprio al pensiero di lui. Era certo, però, che con ogni momento che passava, Armin reclamava sempre più spazio nella sua mente, sottraendolo via al grigiore privo di emozioni che tanto a lungo aveva attanagliato il moro, e che si stava esponendo, innamorandosi di lui in quel modo disperato, insperato, incontrastato. Ed era certo di non volerlo lasciare.

- You know,
I believe in how... - mormorò Eren, la voce più bassa mentre si appuntava nuovi versi sul block notes, lasciando la frase galleggiare nell'aria senza una risposta, come se stesse rivolgendo la parola più a se stesso che allo spettatore immaginario che si costruiva ogni volta imbracciasse il suo amato strumento. In che cosa credeva, lui?
Credeva in Dio? Credeva nel Paradiso, nell'Inferno, nella remissione ultima dei peccati?
Credeva nella reincarnazione? Negli spiriti, nei fantasmi, nel destino, nella magia?

- Tu in che cosa credi, Eren? -
La voce di Armin lo riscosse. La voce di Armin?
Lo vide per una singola, eterna, microscopica frazione di secondo con la coda dell'occhio, seduto composto come al solito sulla sedia rotante della sua scrivania, con il blocchetto per appunti uguale al suo e un velo di malinconia a scurire quei meravigliosi occhi che tanto lo facevano dannare.
Eren si girò di scatto verso di lui, migliaia di domande pronte a fiorire sulle sue labbra, ma appena riuscì a puntare i suoi occhi verdi su di lui, era scomparso.

Dio, adesso ho anche le allucinazioni, si rimproverò Eren, borbottando. Decise però che sarebbe stata una buona scusa per coricarsi, il suo orologio gli stava sbattendo in faccia con lancette affilate che era l'una di notte, e che il giorno dopo lo aspettava una marea di compiti.
E dormire meno significa avere meno possibilità di sognare ancora Armin... pensò.
Il moro poggiò allora la sua testa piena di capelli scuri ed arruffati sul cuscino, ed immediatamente fu coinvolto da un sonno pieno di vivide immagini.

C'era suo padre, che lo sommergeva di sospettose domande sul suo orientamento, e poi suo padre che se ne andava, suo padre che svaniva lento dal letto d'ospedale dove probabilmente lo avevano ricoverato.
E poi c'era sua madre, i suoi occhi di miele, le sue lunghe ciglia scure come ebano, l'amore che gli dava in ogni momento dal giorno stesso in cui era stato concepito; anche lei si stava allontanando, se ne stava andando da lui, diventando prima una pallida immagine del suo sorriso e poi niente più che fumo.

Dopo ancora sua sorella, Mikasa, i suoi taglienti sguardi scuri che tradivano l'affetto familiare e profondo che provava per lui, diventato più forte quando Grisha era venuto a mancare.
E infine i suoi amici, i suoi amici più cari, Jean, Connie, Sasha, Reiner, Bertholdt, Annie, tutti, tutti quanti gli voltavano le spalle, distoglievano il loro sguardo dal suo cuore nuovamente in grado di battere.

Eren si svegliò nel suo letto, ansante, grondante sudore e paura.
Poi lo vide ancora lì, sentì la mano fresca di Armin che stringeva la sua, con in volto un'espressione preoccupata; vide come quei languidi occhi cerulei erano lucidi di tristezza, una guancia rigata di lacrime scintillanti alla luce fioca della luna.
- A-Armin... Perché p-piangi? - balbettò, sporgendosi verso di lui.
Gli asciugò il viso umido con un dito, posandogli le labbra sul minuscolo naso a patata che, rosso dal pianto, lo faceva apparire ancora più piccolo, più minuto, basso, con quel suo corpo delicato che pareva ancora più fragile, scosso dalla solita, violenta tosse.

Il biondo non rispose; senza levare la sua voce, la quale probabilmente sarebbe uscita roca e spezzata, si gettò fra le braccia del ragazzo dagli occhi verdi, annidandosi nella piega del suo collo, facendosi minuscolo come un pulcino appena nato, tremante, e non appena Eren sciolse quell'abbraccio sincero e carico di emozioni, Armin era scomparso.

Un sogno, un altro sogno, o forse un incubo, Eren non lo sapeva. Ma sapeva che aver aiutato il ragazzo dagli occhi blu a calmarsi lo aveva fatto stare così dannatamente bene, lo aveva riempito di calore, di farfalle, di amore, perché alla fine, forse era proprio quello che provava per lui, e sapeva che Armin meritava tutte le canzoni che poteva scrivere, tutte le notti insonni, Armin meritava tutto quanto.

Riprese il suo blocchetto, aggiungendo nuovi versi alla sua canzone, mentre un singolo pensiero si faceva strada nella sua mente provata dalla stanchezza e dagli incubi: doveva parlare con Armin.

spazio autrice
sì, alla fine ho aggiornato. voi cosa pensate della lunghezza dei capitoli? normalmente sono intorno alle 1050-1200 parole, sono troppo corti, troppo lunghi, giusti? fatemi sapere! 🍪🍪
also se riconoscete la canzone avete vinto un biscottarmin alla vaniglia.

𝚁𝚒𝚌𝚘𝚛𝚍𝚊𝚖𝚒; eremin (completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora