Ricordami con la voce

590 58 192
                                    

Devo chiedergli il numero di telefono, devo chiedergli il numero di telefono, devo chiedergli il numero di telefono, Eren se lo ripeteva quasi ossessivamente mentre usciva di casa per andare alla solita, antica biblioteca.
Casa sua era vuota, dato che la madre che si era concessa un pomeriggio con le amiche e la sorella era andata al suo solito corso di arti marziali, e quindi si era detto: "Perché non tornarci?"

Segretamente, o forse non così tanto, sperava di trovare Armin. Voleva parlargli dei sogni che aveva fatto e che coinvolgevano anche i suoi grandi occhi di cielo, voleva raccontargli dell'episodio della sera prima, parlargli di come l'aveva visto senza che lui fosse lì, possibilmente senza sembrare un drogato o un maniaco.
Gli si strinse il cuore, all'idea: un qualche vecchiaccio morboso e arrapato che si avvicinava al ragazzo biondo, così minuto, così delicato... Era sufficiente dipingersi il concetto in mente perché Eren stringesse i pugni dalla rabbia e digrignasse i denti come se si stesse preparando a fare a pugni.

No, non si doveva distrarre. Biblioteca, telefono, sogno. Biblioteca, telefono, sogno.
E se Armin avesse pensato che era strano?
Biblioteca, telefono, sogno.
E se non avesse più voluto vederlo?
Biblioteca, telefono, sogno.
E se Eren stesse per perdere il primo barlume di luce dopo mesi di grigio e di buio?
Si costrinse a riagganciarsi alla realtà. Non sarebbe andata così. Non poteva perderlo, non lo avrebbe mai fatto, non se lo poteva permettere, non voleva. Aveva deciso di portarsi anche la chitarra con sé. Cos'è, Jaeger? Vuoi conquistare la bella bionda? si disse, ridendo imbarazzato.

La strada per la quella biblioteca ormai la conosceva ad occhi chiusi, la percorreva con la mente in classe quando si annoiava, nella ricostruiva nei minimi dettagli nei suoi ricordi, era la strada.
Era alla strada che portava ad Armin ed era scolpita nel suo cuore, così come lo era il riflesso cangiante e luminoso del sole sui capelli dorati del ragazzo che vide seduto al solito tavolo, come se lo stesse aspettando.

- Ehi. - esordì timidamente.
- Eren! Non mi aspettavo di trovarti qui anche oggi! - lo salutò l'altro.
Il moro non avrebbe saputo definire il tepore di cui il suo petto era invaso ogni volta che Armin cantava il suo nome.
- Non avevo molto da fare... Probabilmente i miei amici ancora dormono, e i compiti credo di poterli saltare, per questa volta. E anche per la prossima volta. E quella dopo ancora. - balbettò Eren, imbarazzato. Soprattuttto se l'alternativa ai compiti è vedere te, pensò.

Le morbide guance tondeggianti di Armin si tinsero di porpora. - E la tua ragazza? -
- Oh, no, no! - arrossì Eren. - Non è cosa, non per me, almeno, ecco. Diciamo che... Gioco per l'altra squadra, più o meno. Nel senso, a parte qualche eccezione, non mi piacciono le ragazze. E per di più, non sto con nessuno al momento. -
Il biondo rise, per un attimo fu primavera nel cuore dell'altro: - Siamo in due. - sorrise. - Quella è una chitarra? -
- Oh, sì! Qui vicino c'è un parco con una gelateria dentro, se ti va possiamo farci un salto, così magari ti faccio sentire qualcosa senza che la bibliotecaria ci uccida. -
Armin annuì. Da quanto tempo non si concedeva di sedersi sotto a un ciliegio profumato?

La primavera aveva invaso Shiganshina, e iniziava a far sciogliere le ultime nevi che restavano in quella piccola cittadina di montagna, che sembrava essersi arroccata in quella roccia argentea più grazie a un miracolo che non alle doti di chi la aveva progettata.
Armin aveva temuto di trovarsi a disagio, in compagnia degli occhi smeraldini di Eren, fuori dalla biblioteca dove si rifugiava e trovava riposo, conforto, ristoro, di giorno e di notte, d'estate e d'autunno, e invece stava bene. Stava bene, si sentiva così a suo agio nella grande area verde, coperta di petali rosa, punteggiata di violette.

Stettero lì, sdraiati sotto un robusto ciliegio in fiore, Eren con la schiena appoggiata al tronco, Armin che lasciava riposare la testa stanca e affollata di mille pensieri sulle gambe toniche del moro. Lasciò che lo accarezzasse, scostandogli una ciocca ribelle che gli cadeva sopra gli occhi di cielo, e sospirò.
- Ti va di farmi sentire qualcosa? - disse, interrompendo il silenzio che li aveva avvolti da quando si erano seduti.
- Eh? Oh, certo! - farfugliò Eren, nascondendo le gote arrossate nella custodia della sua chitarra.

Armin si scostò e attese che il moro accordasse lo strumento. Lo vide arpeggiare brevemente con mano esperta, prima di trarre un respiro profondo ed iniziare a cantare.
- Something in the way
He moves
Attracts me like
No other lover.... -
La voce di Eren si era levata piano, senza fretta, senza bisogno di vocalizzi e fronzoli. La sua voce era quella di un cuore stanco, la sua voce era fatta di parole mezze sbiascicate e note accennate appena, ma fece scatenare una tempesta negli occhi e nel cuore di Armin.

- Something in the way
He woos me...
I don't wanna leave him now
You know, I believe in how... -
Quell'ultimo verso, quella frase lasciata a metà mentre gli occhi verdi del più alto si puntavano nei suoi con una profondità quasi inaudita, mentre la chitarra regalava un dolce, malinconico suono sotto le dita affusolate ed esperte di Eren.

- Somewhere in his smile, he knows
That I don't need no other lover
Something in his style, that shows me...
I don't wanna leave him now
You know I believe in how. -
Armin realizzò. Era una canzone d'amore. L'aveva scritta Eren? Per chi? Non aveva un ragazzo o una ragazza, non...

- You're asking me: "Will my love grow?"
I don't know, I don't know
Stick around, and it may show
But I don't know, I don't know. -
La voce del moro si era fatta più forte. Non era più calmo come prima, no, stava lasciando che quella chitarra e quella musica esprimessero tutto ciò che a parole non riusciva a tirare fuori; stava lasciando che la sua voce resa roca dalle ore passate a urlare di rabbia e di dolore portassero alle orecchie di Armin un messaggio, pregando che sarebbe riuscito a comprenderlo.

Arpeggiò un ultima volta e guardò le grandi iridi d'oceano che lo scrutavano. Gli occhi di Armin erano in burrasca, scintillavano di onde che si scontravano furiosamente con gli scogli neri delle sue pupille. La bonaccia che li caratterizzava la prima volta che Eren li incrociò appariva ormai come un lontano ricordo, non aveva niente a che vedere con la violenta tempesta che infuriava ormai in quei grandi specchi blu, e la cosa più temibile era che il moro non riusciva a capire cosa avrebbe significato.

Quella burrasca avrebbe spinto il cuore di Eren verso terre nuove e floride, verso spiagge candide e terre feconde e ricche di emozioni? O lo avrebbe spezzato, distrutto, ridotto ad un relitto per l'ennesima volta e fatto affondare in quelle temibili iridi cerulee?
Non lo sapeva, non lo sapeva, non ne aveva idea, ma quel mare tempestoso lo attraeva e lo rifuggiva allo stesso tempo, lo chiamava a sé più ipnotico del canto di mille sirene, e lo allontanava più spaventoso del fondale più lontano.

Eren temeva, temeva di annegare in quell'oceano blu, rabbrividiva all'idea di non riemergere mai più da quelle acque burrascose, ma fremeva di piacere all'idea di lasciarsi coccolare dalle onde gelide, di abbandonarsi alla loro corrente, dell'eccitazione azzurrissima ed assoluta che quelle iridi gli trasmettevano mentre la distanza tra le loro labbra si azzerava.

Si baciarono per una frazione di secondo, e non appena Eren aprì gli occhi, le onde della tempesta negli occhi di Armin lo investirono in tutta la loro ancestrale potenza, gli ruppero le ossa nel dolore più piacevole che aveva mai provato, e per il moro fu troppo, troppo da sopportare.
- A-Armin... Io... -
La tempesta si quietò, ma non fu abbastanza per calmare il terrore di Eren.
- Io... Io devo andare, scusami. -

Il cuore del castano non sarebbe stato in grado di solcare quelle onde violente, e si limitò a remare verso il porto sicuro della sua camera. Ed Eren, Eren si limitò a correre come un codardo verso casa sua, lasciando Armin solo con la tempesta negli occhi e la tristezza nel petto.

» » spazio autrice « «
allora, finalmente, dopo giorni e giorni, sono riuscita ad aggiornare.
chi vuole picchiare eren alzi la mano che andiamo in spedizione punitiva sotto la casa di quel rimbambino a fargli capire un po' di cose (e intanto non menate me anche se l'ho scritto io così)
se avete riconosciuto la canzone avete vinto un biscotto! i Beatles sono stati la mia infanzia e non potevo non infilarli in cui qualche ff 😅😅 è something, l'ha scritta il buon George Harrison, ma questa è una versione di prova con meno strumenti e mi sembrava più adatta
a presto biscottini del mio cuore! 🍪

𝚁𝚒𝚌𝚘𝚛𝚍𝚊𝚖𝚒; eremin (completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora