Elf || EreMin

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Si chiamava Armin Arlert, ed era innamorato del Natale. La prima cosa la sapevo perché era scritta sul cartellino bianco e rosso che portava ogni giorno, la seconda l'avevo intuita dal costume da elfo di Babbo Natale che indossava ormai dalla fine di novembre per lavorare al centro commerciale, in un piccolo chioschetto che si occupava di incartare regali, allestito per le feste.

Gli donava, quel costume: un cappello a punta color del bosco lasciava cadere sotto di sé i suoi capelli biondi; una giacca dello stesso colore stretta in vita da una cinta rossa faceva risultare il suo fisico minuto; un paio di calze a strisce vermiglie e bianche, candide come il suo viso, sparivano in delle piccole babbucce a punta arricciata laccate di nero.

Io mi chiamavo Eren Jaeger ed ero innamorato di lui. La prima cosa la sapevo perché, beh, era il mio nome, la seconda la sapevo perché, dopo essere stato trascinato in quel chioschetto dai miei amici al fine di evitarmi di mostrare le mie scarse doti in fatto di impacchettamento regali, mi ero reso conto di volerci tornare sempre. E forse, il motivo non erano i doni da incartare.

Non riuscivo a capire se piacevo ad Armin o meno. Lui era dolce, con quei suoi occhioni azzurri, specchi di mille emozioni, con quel suo sorriso meraviglioso che faceva fare i salti mortali al mio stomaco, con quelle sue dita affusolate ed esperte che scivolavano tra nastri scarlatti e carta delicata quanto la sua pelle morbida e candida - le stesse dita che, talvolta, sfioravano le mie, lasciandole ustionate e in cerca di altro contatto.

Quanto amavo quell'attenzione in più che sembrava dedicarmi! Quanto rimuginavo su quel sorriso forse troppo insistente, su quel tocco leggero forse troppo prolungato perché io fossi sicuro che il mio interesse verso di lui non fosse ricambiato! Quanto erano stati in grado di stregarmi, gli occhi azzurrissimi di Armin Arlert!

Mi ero fatto coraggio, quel giorno. Complice quella faccia da cavallo del mio amico Jean, che si era informato per me sui turni nel ragazzo, mi ero avviato a passo impacciato e mani vuote verso il solito chioschetto, quel ventitré dicembre. In effetti stavano per chiudere: tra un ragazzo bassino dall'aspetto vivace e una giovane che sembrava aver puntato gli occhi sulle ciambelle della vetrina di fronte, Armin sembrava brillare come un astro dorato, con quei suoi capelli biondi e rilucenti, con quel suo sorriso più luminoso di mille addobbi natalizi.
Sfavillava, il mio Armin, nel suo completo decorato di campanelle, le quali comunque non avevano nulla a che vedere con la sua risata, così cristallina, così schietta, capace di illuminare le uggiose giornate di dicembre.

Era così adorabile, mentre si indaffarava per chiudere quella o quell'anta, e lo fu ancora di più quando mi rivolse lo sguardo: — Ehi, tu sei quello che viene qui sempre! Eren Jaeger, giusto? A furia di scrivere dediche ho imparato il tuo nome! — aveva ridacchiato. Poi i suoi occhi si erano adombrati. — Mi dispiace, per oggi abbiamo chiuso.
Sembrava triste a dovermi dare quella notizia. Il suo lavoro doveva piacergli moltissimo, avevo pensato.
E tu Armin Arlert, a meno che la targhetta non mi inganni. — avevo farfugliato. — E comunque no, no, la verità è che a dirla tutta sono qui per chiederti se ti andava di... Ecco... Prenderti un caffé con me. —

Le guance di Armin erano diventate rosse nel giro di meno di un istante, e mi aveva guardato con occhi sgranati. Si stava facendo coraggio per rispondermi quando una squillante voce femminile interruppe la conversazione: — Ehi, Armin! Dacci dentro col tuo bel principe azzurro, e scroccagli una cena decente! —
Il viso del biondo si era tinto di un cremisi ancora più vivace, se possibile. Quindi gli piacevo?

— Sasha, stai zitta, idiota d'una mangiapatate! Così quello se ne accorge che gli piace! — una voce maschile, stavolta, aveva urlato di rimando, tappando la bocca alla ragazza che lavorava insieme ad Armin. Si erano già tolti le uniformi da elfi.
Tu taci, Connie! Devi solo essere grato che non ho ancora cotto quella tua testa di rapa insieme allo stufato! E poi, ti ricordo che abbiamo fatto una scommessa, e... —
— Ragazzi... — aveva detto il biondo mesto mesto con il capo chino a nascondere il rossore delle sue gote. — È qui davanti. —

𝚃𝚠𝚎𝚕𝚟𝚎 𝙳𝚊𝚢𝚜 𝚘𝚏 𝙲𝚑𝚛𝚒𝚜𝚝𝚖𝚊𝚜; multiship (oneshots)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora