29. Primo giorno (prima parte)

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Era passata da poco l'alba quando Am'arie bussò alla sua porta.

Pioveva a dirotto, una pioggia densa, ventosa e gelida, che aveva ricoperto di brina il terreno erboso del cortile interno. Una penombra violacea avvolgeva ogni cosa.

Erly fermò con un sospiro la lettura del messaggio che sua sorella gli aveva spedito prima di partire dalla locanda, e si alzò dal letto per andare ad aprire.

Il giorno prima aveva superato il colloquio con il Mentore Atravas, oggi avrebbe iniziato ufficialmente la sua nuova vita all'Accademia. Sembrava che la kesren fosse più impaziente di lui nel dare avvio a quella giornata. Si chinò rapida sotto il suo braccio, ancora teso sul battente, e scivolò all'interno della stanza guardandosi attorno, disinvolta.

Con i capelli multicolore raccolti in un complicato intreccio sulla nuca e l'elegante livrea blu, che valorizzava il corpo sinuoso, aveva un'aria minacciosa e affascinante allo stesso tempo.

– I corsi iniziano tra mezz'ora, – disse Erly un po' a disagio nel vederla rovistare tra i suoi pochi effetti personali.

– Non sapevo se ti avevano avvisato. – Lei si strinse nelle spalle, prendendo in mano il piccolo oggetto appoggiato sul letto. – Questo visore non lo danno ai Cadetti, – fece stupita, sollevando il bracciale, – di solito forniscono il modello base che è davvero ingombrante. In ogni caso sono aggeggi difettosi, a volte Sotra/Visco sono costretti a ricorrere agli avvisi cartacei, come tra i primitivi. Hai ricevuto dei messaggi? – notò con un velo di invidia. – Non dovrebbe essere permesso nei tuoi primi sei mesi...

Non aveva neanche finito di parlare che aveva aperto tutti i cassetti del suo comodino, trovando in un silenzio allibito lo Stemma a goccia.

Am'arie sgranò gli occhi. – Te l'hanno già dato?

Erly evitò di dare spiegazioni. – Cerchi qualcosa?

Con un sorriso impacciato, lei rimise tutto a posto. Si lisciò la stoffa del sopratunica sui fianchi. – Sì, la tua livrea d'ordinanza. C'è stato un cambio di programma: oggi faremo una specie di "gita turistica", per così dire, e dobbiamo indossarla. Non te l'hanno ancora consegnata? Qui non la vedo.

– Nemmeno io, – fece con un mezzo sorriso. – Credo che per oggi dovrò farne a meno.

Mentre Erly si chinava a infilarsi le scarpe, Am'arie si soffermò ad ammirarlo in silenzio. Aveva indossato un'anonima tuta blu da fatica, che sarebbe stata tremenda su chiunque, ma non su di lui. Aveva un corpo magro, ma tonico, tipico di una persona abituata a lavorare stando in piedi tutto il giorno. Le spalle dritte sembravano rispecchiare i suoi occhi, senza ombre. Le teneva leggermente incurvate, come se non avesse molta fiducia nella loro forza.

– Che buon profumo, – inspirò lui alzando la testa.

– Sono io, – confessò Am'arie. – Non sapevi che i kesren profumano di buono? – Erly le scoccò un'occhiata divertita.

Ecco, si disse mentre contraccambiava il suo sorriso mozzafiato, ora è perfetto!

Era incredula delle emozioni che sentiva provenire da quell'umano. Contrariamente a quanto si era aspettata, considerato il suo passato violento, Am'arie vicino a lui non provava altro che un profondo senso di pace.

– Erly, questa non può essere la tua camera! – esclamò di scatto facendo un giro su se stessa.

– Perché no? – chiese lui mentre afferrava la giacca.

– Beh, perché è uno sgabuzzino! Qui ci vivono i domestici. Devi farti assegnare un altro alloggio.

Lui le regalò un sorriso. – Non serve davvero, – rispose gentilmente, accompagnandola fuori.

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