8. Visioni (seconda parte)

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Quando giunse all'eremo era tardo pomeriggio. La luce si era indebolita, il cielo nebbioso la filtrava con note di madreperla e glicine, che sfioravano lievi una serie di edifici dal tetto azzurro, collegati l'uno all'altro, e abbarbicati alla roccia in un vertiginoso saliscendi a strapiombo nel vuoto. Sidha, stanco e sudato, bussò con impazienza al portale in legno. Il monaco che gli aprì, notando la sua espressione, non perse tempo in convenevoli e lo fece entrare subito. – Il Guardiano vi attende, – si limitò a dire, lasciando che si facesse strada da solo.

Sidha attraversò a passo deciso un paio di ampie sale deserte e superò alcuni porticati da cui si intravvedeva la vegetazione e il fondo valle. Varcò un'anticamera che dava a una stanza privata e, senza esitare, vi entrò. Colse di sfuggita una minuscola creatura, racchiusa in una sfera traslucida, sospesa vicino a una grande parete finestrata. Fece un breve cenno con il capo, evitando di guardare in quella direzione, e si accomodò sul pavimento, secondo le usanze spartane del luogo.

– Celfe, ti porto i miei saluti, – disse in uno stanco sospiro.

Il Guardiano non si mosse da dove si trovava, tuttavia la sua voce, sottile e asessuata, raggiunse senza difficoltà il suo ospite.

– Sei venuto qui in cerca di fantasmi, amico mio?

Sidha scosse la testa reprimendo una risata amara senza dire nulla.

– Ho saputo di tuo figlio, – aggiunse la creatura.

– Le notizie corrono rapide.

Il tono di voce del Guardiano si addolcì: – Atravas si è messo in contatto con me, non appena sei partito: era molto in ansia per la tua salute. Non avrebbe dovuto permettere questa follia. Ti ho lasciato entrare a Dònar solo perché un tempo sei stato mio maestro. Ora ti chiedo di tornare indietro. Torna all'Accademia, torna dalla nostra sovrana, non abbandonare proprio ora i tuoi compiti. Sai bene che non ti permetterò di entrare nella Foresta.

– Non sono venuto per cercare mio figlio, – disse Sidha fissando le travi lignee del pavimento, segnate dal tempo. – So che questo è vietato.

La voce di Celfe si fece incalzante. – Sai cosa significa entrare nella Foresta di Nuvole? Potresti non avere scelta e doverlo affrontare lo stesso. Non ho alcun potere su di essa, non potrei proteggerti in nessun modo.

– Correrò i miei rischi.

– Sei consapevole della distorsione temporale al suo interno? Se sbagli potresti tornare indietro tra cento anni, e vedere la vittoria del nostro Ordine... o l'inferno che i Nembi avranno creato per noi. Oppure potresti non tornare affatto; se perdi l'orientamento, vi resterai intrappolato fino alla morte.

Sidha serrò le mani a pugno, premendole contro il pavimento. – Ciò che sto cercando vale questo prezzo.

– Capisco, – fece il Guardiano dopo un lungo silenzio carico di tensione. – Lavoro da tempo per mantenere lo scudo mentale sul pianeta sempre attivo, è un compito ingrato che richiede assoluta concentrazione, e vivere in questo eremo aiuta la mia inesperienza... Ho avuto spesso la tentazione di recarmi nella Foresta di Nuvole, ma fortunatamente ho resistito. D'altra parte, – disse alleggerendo il tono di voce, – non ho la spina dorsale di un Mastro Capercurian.

L'amico umano piegò le labbra in un sorriso. – È vero.

– Né le sue tecniche di controllo, – aggiunse.

– Anche questo è vero.

– E neppure il poco rispetto per le regole, che hanno gli esseri umani.

– Sacrosanto.

– Perciò, – concluse Celfe con un sospiro esasperato, – se la tua ricerca è davvero così importante e vitale, non ti ostacolerò. Bada bene però a ciò che ti dico: trova ciò che cerchi il più presto possibile. Più tempo rimarrai nella nebbia, più facilmente perderai l'orientamento e la lucidità. Udrai voci e richiami, vedrai immagini del passato e del futuro. Atravas mi disse, tempo fa, che entrare nella Foresta è come vedere se stessi attraverso uno specchio: non c'è nulla che possa farti del male, eccetto i tuoi demoni, ma laggiù essi sono reali e possono farti impazzire o ucciderti.

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