39. Il Giardino dei Popoli (seconda parte)

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Attraversare l'Accademia a quell'ora del giorno attirò su di sé gli sguardi di tutti i Capercurian presenti, ma quando uscì dal portone principale e iniziò a passeggiare alla luce del sole, anonimo, come un qualsiasi cittadino di Kaneve, Erly si sentì rinascere.

Vacillava sulle gambe, Atravas lo aveva interrogato per ore sul suo incontro con il Nembo. Aveva voluto sapere ogni cosa, ogni minimo particolare. Memore dell'avvertimento di Sid, non aveva rivelato nulla di compromettente.

Il Palazzo dell'Imir svettava come una vela aurica sopra la collina, fronteggiando l'Accademia, a dimostrare la vicinanza dei due poteri più importanti di Kaneve.

Mentre aspettava il trasporto per i Giardini, insieme a un'altra manciata di persone, Erly ripensò a Rasia, a quello che aveva significato per lui la sua presenza nell'ultimo periodo.

Sembrava che qualcosa di più potente del destino, delle differenze di ceto e razza, o del semplice buonsenso, cospirasse in favore di questo rapporto tanto improbabile.

C'era qualcosa in lei che Erly riconosceva in se stesso, non un valore morale, non un gusto, ma una serie di esperienze, e soprattutto il modo in cui erano state affrontate, come se la stessa forgia, lo stesso terribile calore, la stessa violenza dei colpi, fossero stati usati per entrambi. La cosa assurda, per Erly, era la certezza che anche lei se ne fosse accorta.

Il Giardino dei Popoli era talmente vasto da avere diverse entrate sparse lungo tutto il perimetro; Erly, assorto in quei pensieri, entrò attraverso quella più vicina all'Accademia, non volendo allontanarsi troppo, considerato anche che la sua libera uscita sarebbe durata solo poche ore.

Poté ben apprezzare il suggerimento di Sidha: gli ampi viali alberati, i prati screziati da macchie d'erba blu e verde scuro, le aiuole decorate da migliaia di fiori colorati, le fontane e cascatelle artificiali infondevano ovunque una pace senza pari nell'animo di chi vi passeggiava.

Distratto dal panorama, si rese conto di essersi stancato un po' troppo, cercò una panchina e sedette a riprendere fiato. Un dolore sordo al torace gli ricordò le parole di Sidha: E se lo fossi veramente... una spia? Istruito a tua insaputa per infiltrarti tra di noi?

Non gli aveva fatto capire quanto quelle parole lo avessero sconvolto e non si era permesso di indugiarvi, se non in quel momento, circondato dalla bellezza della natura, ospite di un mondo in cui forse non aveva mai meritato vivere.

E se fosse vero? Si chiese. Se la sua fuga miracolosa non fosse stata altro che un progetto astuto per creare una frattura nel corpo dei Capercurian, se i suoi strani poteri appartenessero invece a qualcun altro? A qualcuno che lo manovrava come un burattinaio...?

I ricordi della prigionia gli oscurarono la vista e per un lungo momento la sua lucidità vacillò in un turbinio di immagini di dolore. Era mai possibile che i tormenti subiti avessero distorto a tal punto la sua mente da renderla docile all'influenza dei Nembi? Era possibile che lo controllassero?

Scosse la testa. Dopo l'attacco al Quartiere barasin, l'incidente con Levan e l'aggressione ai sotterranei, di una sola cosa era certo: chiunque gli fosse stato vicino non si trovava al sicuro. Troppe forze, troppi misteri ruotavano attorno alla sua persona. Lui stesso cominciava a perdere fiducia di sé.

Pensò con amarezza che non era mai veramente riuscito a fuggire da quella cella theriana in cui lo avevano rinchiuso, vi era ancora dentro, prigioniero, sempre totalmente solo. Si passò le mani sul viso. Forse avrebbe fatto meglio davvero a farsi bruciare i centri di Luce da Atravas, scomparire per sempre, per proteggere coloro che amava.

Nello stesso istante, qualcuno si sedette al suo fianco, facendolo trasalire. Una voce melodiosa e roca, simile a un fruscio di foglia, gli disse: – Hai saputo la novità: Bellista ha iniziato l'addestramento come Guardiano.

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