Capitolo 1

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Ciao a tutti! Questa storia è, ovviamente, basata sui Larry. Ci tenevo a precisare che per scriverla mi sono ispirata a varie ff che ho letto nel corso del tempo (larry e non) per cui mi scuso se ci saranno elementi in comune!
Premetto anche che è la prima storia che scrivo quindi mi scuso se non sarà perfetta e ci saranno errori di battitura.
Vi lascio a questa lettura e spero che possiate amarla tanto quanto io sto amando scriverla!

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Alla mia migliore amica Giulia,
perché senza di lei non avrei mai trovato il coraggio di iniziare a scrivere e questa storia non sarebbe mai esistita. Perché è stata la prima a leggere la storia capitolo per capitolo in videochiamata e perché mi ha fatto scoprire la parte migliore di me. Senza di lei questa storia non sarebbe mai stata pubblicata.
Vi auguro di trovare un'amica così.
-L
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Cosa potrebbe succedere alla tua vita se fossi il ragazzo più bello della città, il più amato e invidiato da tutti, e all'improvviso fossi costretto a partire per sempre senza lasciare più traccia di te?
E soprattutto, cosa potrebbe succedere se un giorno, casualmente, una visione paradisiaca cambiasse la tua vita per sempre? Louis ancora non lo sapeva, non aveva idea dello scompiglio a cui stava per assistere.

"Cazzo!" ,imprecai trovando le ventotto chiamate perse di mia madre e mio padre, "stavolta mi uccidono sul serio" e più in fretta della luce composi il numero del mio vecchio che iniziò a suonare.
"Louis dove cazzo sei finito!? Ti stiamo chiamando da tre ore, a tua madre è quasi venuto un infarto!".

Ci risiamo, stavolta avevano ragione. Sbuffai e, consapevole di non potermi sottrarre alla ramanzina, risposi calmo "scusa papà, ero con Mark al ponte e non ho sentito il telefono suonare, che succede?". Mio padre sospirò e, anche attraverso il mio cellulare, riuscì a vedere i suoi occhi alzarsi al cielo; sapeva che ogni volta andava a finire così.

Mark era il mio migliore amico da tutta la vita, avevamo frequentato tutte le scuole insieme e avevamo visto i nostri volti cambiare e assumere dei lineamenti più definiti. Lui era il classico "bello e dannato" dallo sguardo verde magnetico e uno scompigliato ciuffo biondino. Io, invece, ero la sua spalla dai capelli castani e gli occhi azzurro ghiaccio. Nessuno ci aveva mai visti separati, non avevamo mai avuto nemmeno una litigata pesante che non si fosse risolta nel giro di un paio d'ore e quattro insulti campati per aria. Eravamo sempre stati solo noi due, e quando ci trovavamo insieme ero capace di sparire per ore senza rendere conto di quello che stessi facendo ad anima viva. Mio padre ormai dopo quasi diciotto anni si era rassegnato.

"Louis, torna a casa, io e tua madre abbiamo qualcosa da dirti", una brutta sensazione iniziava a farsi largo dentro di me, guardai il mio amico che di rimando mi lanciò un'occhiata alquanto preoccupata.
"Va bene papà, dammi cinque minuti" e riattaccai.

Salutai Mark con una pacca sulla spalla e lui sembrò capire le mie preoccupazioni. Non disse nulla, non eravamo soliti parlare dei nostri problemi o, almeno, non finché non si fossero trasformati in macigni pronti a trascinarci a fondo. Eravamo abituati così da sempre, e ad entrambi sembrava andasse bene questa cosa.

Scesi dal muretto del ponte, il nostro luogo di ritrovo da sempre, e mi diressi spedito verso casa. Era quasi primavera e il sole iniziava a voler bruciare la mia pelle. Amavo quella sensazione come poche cose al mondo, mi faceva sentire vivo. Decisi così di levarmi il giubbotto di pelle e di espormi a quel calore ancora intorpidito dalla leggera brezza che l'inverno sembrava non volersi portare via, dopodiché misi le mie cuffie e feci partire la riproduzione casuale per tutto il tragitto verso casa.

Non potei fare a meno di pormi mille dubbi su quello che i miei volessero comunicarmi per arrivare addirittura a chiamarmi ventotto volte. Pensai alle ipotesi più disparate, alla scuola che aveva chiamato per lamentarsi per l'ennesima volta dei miei voti, della rissa a cui avevo assistito fuori da scuola e di cui, senza aver alzato un dito, mi ero ritrovato a far parte poiché il preside si era incazzato con tutti i presenti. Pensai anche che potessero esserci buone notizie ma dal tono di mio padre esclusi subito questa possibilità.

Quando arrivai davanti a casa mia mi fermai un istante per respirare l'aria fresca del tramonto e, spaventato, aprii la porta.

"Fottuti avocado" fu la prima frase che uscì dalla mia bocca quando, dirigendomi in cucina, vidi tre teglie di torta all'avocado pronte per essere infornate. Le mamme sono sempre così, quando gli dici che ti piace qualcosa iniziano a proportelo nelle più disparate ipotesi finché ti viene la nausea solo a sentirne l'odore. Erano due mesi che continuava a cucinarmi avocado in qualsiasi modo possibile ed ero quasi arrivato al punto in cui la notte mi sognavo di un enorme frutto verde pronto ad uccidermi, cazzo. Mentre pensavo al mio incubo fatto a cibo, una mano delicata mi circondò le spalle.

"Ciao tesoro" disse sorridendo mia madre; d'un tratto divenne seria e aprì la bocca ma la anticipai "sono un coglione, lo so lo so, scusa. Ero con Mark", mi giustificai.

I miei genitori adoravano quel ragazzo biondo e mi avrebbero lasciato andare in capo al mondo se ci fosse stato lui con me, fortunatamente non lo avevano mai visto spaccarsi di alcol alle feste e provarci squallidamente con le tipe ubriache nei bagni della discoteca. Tra i due, strano a dirsi, il tipo più tranquillo ero io. Non che fossi tutto casa e chiesa, alle feste mi ubriacavo volentieri anche io, ma nonostante fossi uno dei più popolari della scuola avevo sempre mantenuto un profilo molto basso. Probabilmente la gente mi rispettava per questo oltre che per il mio aspetto.

"Quindi? Cosa dovete dirmi?" risposi io riprendendomi dal mio stato di trance momentaneo.
"Vieni in salotto, ci aspetta tuo padre, ne parleremo con lui".

Merda, la faccenda era più seria del previsto.

Mi diressi in salotto con il cuore che batteva a mille e mi accomodai sul divano di fronte a quello su cui sedevano i miei genitori tenendosi la mano e guardandosi terrorizzati.

"Che ho fatto questa volta?" chiesi io, come se fosse ovvio che dovessero parlare di qualche mia cazzata combinata di recente. Fui sorpreso quando mio padre scosse la testa, "non hai fatto nulla questa volta, a meno che tu debba dirci qualcosa, si tratta di noi" mi rispose. Li guardai confuso cercando di capire qualcosa attraverso le loro espressioni ma l'unica cosa che ottenni fu uscirne più confuso di prima. Mia madre guardò mio padre e annuì, finalmente parlarono.

"Tesoro" sospirò "dobbiamo trasferirci".
Li guardai confuso e azzardai "andiamo a vivere vicino al centro!? Era ora! Così potrò vedere Mark ancora più spesso!". Esultai troppo presto, e lo capii quando mi guardarono tristi.
"No Lou, ce ne dobbiamo andare via. In California".

Ebbi la sensazione che il cuore avesse saltato un battito, sentii un brivido lungo la schiena e sudai freddo. Non risposi, non ero sicuro di aver capito davvero, e vedendo questa reazione mia madre si alzò per venire a sedersi affianco a me. Non mi mossi.

"Piccolo lo so che non è facile ma cerca di capire, dobbiamo farlo, ne avevamo già accennato qualche tempo fa, ricordi? Purtroppo è arrivato il momento. E penso che ti farà bene cambiare aria, sei già stato bocciato due volte, non vorrai arrivare ad una terza spero".
Silenzio, ancora, fino a che mi girai e la guardai in faccia.

"Vaffanculo" urlai guardandola dritta negli occhi. Mi dispiacque vederla così, l'avevo ferita e lo sapevo, ma loro avevano fatto lo stesso con me e dovevano capirlo.

Senza guardare mio padre corsi fuori casa sbattendo la porta, l'aria ormai era diventata più fredda ora che il sole aveva lasciato la città e questo vento gelido andò dritto nei miei occhi, che iniziarono a luccicare. Corsi senza meta per molto tempo con le lacrime che mi rigavano il viso finché arrivai ad una collina non molto distante da casa, spensi il telefono per non ricevere altre chiamate dai miei che continuavano a cercarmi preoccupati dalla mia scomparsa risalente ad ormai due ore prima.

Mi sedetti sull'erba e ammirai la città in cui da sempre ero cresciuto e della quale avevo bellissimi ricordi. Lì c'era il mio migliore amico, la mia famiglia, la mia infanzia. Non volevo perdere tutto e ricominciare in un posto nuovo e sconosciuto, non volevo andare in una nuova scuola in cui nessuno si sarebbe accorto di me e passare i pomeriggi chiuso in camera senza Mark a confortarmi con le sue pacche sulle spalle.

Merda, Mark. Dovevo dirglielo il prima possibile, ma volevo imprimere nella mia mente un'ultima volta l'immagine della città di notte, addormentata, con poche luci accese che indicavano i pub e le discoteche che conoscevo come le mie tasche.
Cosa ne sarebbe stato di me?
Con questo pensiero fissai quelle luci, lasciandomi cullare dalla brezza che ancora mi solleticava gli occhi e mi smuoveva i capelli.

Ice and emeralds|lxuistmlnsnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora