Capitolo 2

176 23 11
                                    


Venni svegliato dal suono della sveglia e, quando fui abbastanza sveglio da ricordare il mio nome, realizzai.
Era arrivato il fatidico giorno della partenza, era passata una settimana da quando avevo sbraitato contro mia madre e ancora non mi ero deciso a rivolgere la parola ai miei genitori se non per chiedergli quando fosse pronta la cena; non avevo nemmeno voluto sapere il motivo della partenza.

A dir la verità quella sera, quando ero sulla collina, realizzai che a parte Mark non avevo molto da perdere qui. Voglio dire, ero popolare a scuola e tutti mi adoravano ma non potevo considerarli veri amici. Scesi dalla collina che era ormai notte fonda e andai dritto a casa. Di Mark. Non potevo aspettare, dovevo dirgli la verità, dovevo dirgli addio.

"Non dire cazzate Tomlinson" pensai tra me e me mentre prendevo a calci un tappo di una qualche bottiglia di birra trovato in mezzo alla strada, "siete amici da una vita, non vi perderete di vista" cercai di rassicurarmi ma in fondo non ero sicuro di credere a quello che avevo appena pensato. Ho sempre odiato qualsiasi tipo di rapporto implichi la distanza perché sapevo che, per quanto due persone si vogliano bene, prima o poi qualcosa sarebbe andato a puttane.

Con il cuore ancora pesante bussai alla porta, i genitori erano via per lavoro e la casa era completamente al buio; dopo qualche minuto mi ritrovai davanti un Mark con i capelli scompigliati e gli occhi gonfi di sonno. Sorrisi a quella vista e, dentro di me, pensai che mi sarebbe mancato come l'aria. Una parte di me sarebbe rimasta sempre lì.

"Che cazzo vuoi Tommo? Sono le tre di notte cazzo" disse lui con la voce impastata dal sonno.
"Devo parlarti, subito", mi squadrò un secondo e, come se mi avesse letto dentro, sembrò ricordarsi di colpo della telefonata allarmante dei miei quello stesso pomeriggio.
"E' per i tuoi genitori, vero?" tentennò lui.
Mi limitai ad annuire e fissare le punte delle mie Vans sgualcite con aria affranta quando mi mise una mano sulla spalla "entra bro, prendo qualcosa da bere", disse.

Ci sedemmo sul suo divano che mi ricordava ogni partita di football vista insieme in quasi diciotto anni, accarezzai quella pelle marrone e sospirai di nuovo.
Le parole uscirono dalla mia bocca rapide e impetuose come una valanga che, ovviamente, travolse il mio migliore amico in pieno.

"Via? Per sempre?" mi chiese dopo interminabili secondi di silenzio.
"Si Mark, per sempre" dissi a voce bassa.
"Ma perché? Cioè ti avranno detto il motivo" chiese di nuovo.
"No, non ho voluto saperlo, sono scappato di casa ore fa".
Mi guardò e annuì. Non eravamo molto affettivi e ci abbracciavamo ogni tanto ma solo in occasioni speciali, questa volta però mi saltò addosso e circondò le mie spalle in un abbraccio quasi letale. Rimanemmo immobili per qualche minuto, potevo sentire la spalla della mia maglietta inumidirsi e di conseguenza capii che il mio amico stava piangendo così mi staccai per consolarlo.

Parlammo tutta la notte di tutto e di niente, di come ci eravamo conosciuti, del tempo passato assieme, delle partite di rugby e, a malincuore, della mia nuova vita. Ci promettemmo di rimanere in contatto ogni giorno, e io gli dissi che sarei tornato a trovarlo ogni estate e ogni altra volta mi fosse stato possibile. Mark dal canto suo provò a convincermi che cambiare aria forse mi avrebbe fatto davvero bene e, per un secondo, ci credetti anche io. Mi supplicò anche di far pace con i miei e di scoprire il motivo del trasferimento ma questo no, non potevo.

Quando tornai a casa i miei genitori stavano già dormendo, probabilmente rassegnati al fatto che non sarei tornato a casa per la notte. Gli avrei parlato la mattina seguente. Non per chiarire. Avevo già le idee chiare. E così feci.

Quella mattina mia madre sembrò sorpresa di vedermi a tavola per colazione ma frenai subito il suo entusiasmo.
"Voglio andare ad una scuola in cui poter stare a dormire" dissi.
Mi guardò confusa alzando un sopracciglio.
"Con un dormitorio" specificai io.
La vidi irrigidirsi, ci era rimasta male ma alla fine disse "se è quello che vuoi davvero...".
"Si, fine della storia" e tornai in camera mia salendo le scale.

Quando chiusi la porta ci appoggiai la schiena contro e, finalmente, crollai. Iniziavo a realizzare davvero quello che era successo e, da una parte, ero dispiaciuto di aver risposto così male ai miei genitori ma se volevo ricominciare, dovevo farlo davvero. E poi ero troppo incazzato per restare con loro.

Mossa azzardata, ma non lo sapevo ancora.

Scossi via questi pensieri dalla mia mente e fissai il sole sorgere lentamente dalla finestra di camera mia, o almeno lo sarebbe stata ancora per poche ore.
Mi alzai controvoglia e mi diressi in bagno, poi finii di mettere nell'ultimo borsone le ultime cose e mi sedetti sul letto. Vedere camera mia completamente spoglia e piena di scatoloni come il resto della casa mi fece venire un groppo in gola, tant'è che dovetti deglutire rumorosamente.

Restai nella stanza in cui ero cresciuto per diciassette anni e mezzo fino all'ultimo secondo possibile quando "Lou forza, andiamo!" sentii urlare dal piano inferiore. Avevo paura, paura di ricominciare, paura di tutto.

Passai il viaggio in taxi verso l'aeroporto rigorosamente in silenzio come il resto della settimana pensando all'ultimo saluto che avevo dato a Mark e alla nostra promessa di rivederci il prima possibile.

Altra mossa azzardata, e ancora una volta non lo potevo sapere.

- - -

"Ultima chiamata, i passeggeri sono pregati di imbarcarsi", quella voce fastidiosa mi scosse ancora una volta dai miei pensieri. Era arrivato davvero il momento. Prendemmo gli ultimi bagagli a mano e, lentamente, ci incamminammo per prendere i posti assegnati.
"Lou, vuoi sederti solo per caso? Se vuoi i tuoi spazi a noi va bene, tanto siamo in tre" annuii in silenzio e, devo ammetterlo, un po' a malincuore.
"Va bene, allora tieni il biglietto" rispose mia madre.

Controllai il posto, A28, e mi sedetti accanto al finestrino pronto (o quasi) ad un volo di quattro ore. Fui felice di essere seduto da solo per lasciare un po' di privacy ai miei, per abbandonarmi ai pensieri e alle preoccupazioni e, specialmente, perché ero ancora incazzato con loro.

Nonostante mi fossi rifiutato categoricamente di sapere il motivo del trasloco non potevo fare a meno di continuare ad avanzare ipotesi a me stesso cercando di capire; dopotutto per prendere una decisione simile ci doveva essere un motivo ben valido no? Quello che non sapevo, purtroppo, era che le mie intuizioni e il mio sesto senso avevano ragione. E lo avrei capito a mie spese.

Ad ogni modo il volo fu tranquillo e quando arrivammo erano le due del pomeriggio, ci dirigemmo verso la nostra (mia non per molto, pensai) nuova casa e rimasi sbalordito nel vedere una sfavillante villa a due piani con tanto di piscina.
Iniziavo a pentirmi della decisione di restare a scuola, ma il mio orgoglio mi fece tornare in me.

Sistemai i bagagli provvisoriamente in camera mia, o almeno lo sarebbe stata per le vacanze, ponendo sul comodino una foto scattata qualche giorno prima della partenza che raffigurava me e il mio migliore amico seduti spalla a spalla sul nostro ponticello. Non potei fare a meno di sospirare per l'ennesima volta. Mi mancava già la mia vecchia vita. Chissà cosa avrebbero pensato a scuola non vedendomi perché si, avevo deciso di partire senza avvisare nessuno tranne i professori e il preside.
Mi chiedevo se si fossero preoccupati e se avessero provato a contattarmi ma poi pensai che, in fondo, non avrebbero sofferto molto la mia mancanza al contrario di Mark.
Era da solo adesso, lo ero anche io.

Decisi di scrivergli un messaggio per avvisarlo che ero arrivato e che stavo bene (mentii) poi mi feci una doccia lavando via la stanchezza del viaggio e mi cambiai.
Optai per un paio di jeans neri, un felpone azzurro e le mie solite Vans e decisi di uscire ad esplorare la città. Dopotutto la scuola sarebbe ricominciata dopo una settimana e fino ad allora sarei dovuto rimanere a casa, così decisi di godermi gli ultimi istanti di libertà.

Avvisai dal salone i miei genitori che sarei uscito e acconsentirono a bassa voce forse troppo presi a disfare i bagagli o, forse, rassegnati al fatto che fossi incazzato con loro per questo cambiamento così improvviso. Eppure sentivo qualcosa stringermi lo stomaco, era una sensazione strana.
Decisi di ignorarla e mi chiusi la porta alle spalle andando in contro alla leggera brezza di primavera.
Era da poco passata Pasqua.

Avevo capito, dal taxi, come arrivare in centro e quindi ripercorsi la strada a ritroso finché una folla di gente mi travolse. "Wow", pensai, era davvero enorme.

Vagai per un po' in cerca di qualche negozio di vestiti per ampliare ancora una volta il mio guardaroba aggirandomi per le enormi vie spaesate fino a quando mi accorsi che un'esile figura dai capelli biondi mi stava scrutando timido da dietro una colonna.

Ice and emeralds|lxuistmlnsnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora