Nota 10

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In questi giorni sto riflettendo su un pensiero su me stesso. Penso affligge tantissimi ragazzi della mia età, se non più grandi.
Quando sei piccolo sai cosa fare. Vuoi fare il giocatore di calcio o di basket. Vuoi fare sport. Vuoi viaggiare. Vuoi fare lo scienziato o l'astronauta. Ti piace il cielo, vuoi studiare le stelle.
Un bambino, per assurdo, ha le idee più chiare di uno della nostra età.
Alla nostra età cerchiamo ogni giorno la nostra vocazione. Ci consideriamo inutili quando non facciamo nulla. Io almeno provo questo. Io ho mille idee e nulla di chiaro in testa. Un giorno voglio fare questo e poi domani mi fa schifo, mi annoia. Un giorno penso di diventare una x persona e il giorno stesso x uguale impossibile, mai verificato.
Sento che c'è qualcosa che non va. Perché io so cosa voglio fare, ma non voglio ammetterlo. Il motivo? Sinceramente non ci credo abbastanza. Non credo in me stesso.
Cosa so fare? Semplice so far emozionare le persone con la penna.
Non è una forma di ego o vanità.
Da piccolo ebbi i primi segnali che questa doveva essere la mia strada. Ricordo in 4 elementare la maestra ci diede come compito di scrivere un tema. Un diario. Non so se vi ricordate, c'erano due opzioni: potevi scrivere un rigo si e uno no, oppure tutti i righi ma solo su mezza pagina.
Ovviamente molti, compreso io, sceglievano di trascrivere su mezza pagina. Poi scrivevi largo così occupavi più spazio. Il minimo richiesto era 2 colonne e mezzo. Il gioco era fatto. Io ovviamente ho scelto questa via. Nessuno aveva idee. Ovviamente io ero speciale e non lo sapevo. Mi accorsi che il foglio preso dal centro non mi bastava, nemmeno 2. Mi accorsi che il tempo dato dalla maestra non bastava. Pogiavo la penna sul foglio e si muoveva da solo. Mio Dio, come mi piaceva. Quello che non sapevo ancora e cosa avrebbero provato i miei compagni di classe e la maestra nel sentirmi leggere il mio racconto.
Stavano tutti a sentirmi. Nessuno distratto. Tutti i c... di bambini con i c... di occhi a guardare un coglione che leggeva il suo racconto sotto forma di diario d'avventure.
Ci misi un 40 minuti abbondanti a leggerlo. 40 minuti di attenzioni fissi su di me. E poi?
Applausi, applausi, le bambine che si erano commosse per il finale.
E io? Io non ci credevo. Ma mi piaceva. Mi piaceva aver scaturito tutto ciò in chi mi sentiva.
Una seconda volta, sempre alle elementari. Questa volta con un racconto storico fantasioso. Sono riuscito a far provare l'adrenalina dei miei personaggi ai miei compagni, sono riuscito a far provare l'ansia, poi il sapore della sconfitta e quello della vittoria.
Non finì lì. Era dentro di me. Mi scorreva nel sangue. Era il mio superpotere. E che dire in 3ª media, primo in un concorso e in un libro di Antologie. Così forte quel racconto che mamma voleva chiamare lo psicologo.
Ero così forte?
Era dentro di me, lo è ancora.
E io non ci credo.

Mi butto in imprese che per lo più falliscono quasi tutte, perché non credo in ciò che so fare perché non credo in me.
Io riesco a creare emozioni con la penna, ma non voglio crederci. Perché?

Paura.

Devis Domi

Le note di un ragazzo-Il mondo visto dai miei occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora