Telecinesi

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Liv rientrò in camera sua sbattendo la porta. Chiuse le tende e crollò per terra a pochi passi del letto. Coprì gli occhi coi pugni, stringendo le dita fino a non sentire più il dolore, a soffocare l'urlo che le strozzava la gola. Conosceva bene il sapore delle lacrime: salato, scivoloso, infido. Ognuno di quei rivoli era capace di disegnarle sulla pelle un tatuaggio, il segno inequivocabile di un fallimento, la disfatta della sua vita: ogni volta che pensava di riuscire a rialzarsi, arrivava una tempesta a rigettarla a terra. Forse lei quella forza non ce l'aveva più. Odiava quel posto, le sue regole assurde e i suoi segreti, odiava di più l'idea di aver lasciato a casa più complicazioni che sollievo. Leggere quelle notizie era equivalso a sbatterle in faccia che cosa la sua fuga aveva lasciato. Aveva pensato di non avere più nulla da perdere: l'esito di quel test avrebbero rivelato che lei era LWF, come sapeva da anni, ormai. Non aveva nemmeno provato a fare domanda ai college, piuttosto che ricevere un rifiuto, aveva semplicemente lasciato scorrere il tempo. Aveva mentito a sua madre e suo padre, nell'attesa di avere la conferma del fatto di essere sbagliata, un'equazione non bilanciabile, un programma destinato al crash.

Quando Roxy era comparsa alla porta del laboratorio di informatica, era rimasta senza fiato: le sembrava che uno dei suoi avatar si fosse materializzata per venire a salvarla. Non era mai riuscita a riprodurre una tonalità del genere di rosso con le sue simulazioni e quegli occhi profondi, illuminati! Aveva preso quell'aereo felice di scappare da una esistenza che non aveva più una direzione, ma ora si sentiva in colpa. Era stata egoista, non solo quel giorno, ma tutta la vita, agognando il momento in cui avrebbe potuto finalmente smettere di soffrire. Non si era mai chiesta cosa sarebbe successo al suo mondo se lei fosse scomparsa. Ora aveva la risposta e la verità la torturava come un infido serpente che le strisciava nelle viscere.

Era stata male tutta la notte. Incapace di chiudere occhio, continuava a rivedere in testa le foto di Ian, il suo migliore amico, in lacrime che lanciava appelli davanti alla sua scuola. Suo padre che sorreggeva sua madre per farla passare in mezzo alla folla dei giornalisti: la cingeva come non faceva da più di dieci anni, da quando si erano infine separati, per il bene dell'universo e di una bambina dolce che si chiudeva in camera e minacciava di gettarsi dalla finestra ogni loro litigio.

A volte, le sembrava di non essere più uscita da quella stanza. Da allora in poi, la sua vita era stata un inferno dietro l'altro. Davanti a quella finestra, con le mani premute sulle orecchie e un fischio prepotente nei timpani, dovuto alla sua iperacusia congenita, aveva inciso nella sua mente una manciata di somme promesse: non si sarebbe mai sposata, non avrebbe mai fatto figli e soprattutto, sarebbe morta a 35 anni, prima di rovinare la vita a un altro essere umano. Voleva bene ai suoi genitori, moltissimo, ma separati. Insieme erano un vulcano sempre pronto a esplodere e lei non riusciva più a sostenere le loro grida: provava un dolore fisico, profondo ogni volta che litigavano o che qualcuno di loro alzava la voce. Quelle foto potevano non avere audio, ma erano pur sempre un grido di dolore e la responsabile era lei stessa.

Avrebbe distrutto Ian: non si sarebbe mai perdonato di averla lasciata sola quella sera a rifinire gli scenari per il suo LAN party per uscire con l'ennesima ragazza sbagliata. Il suo migliore amico, abitava nella sua stessa via, quattro case più indietro; avevano fatto insieme tutte le scuole primarie. Fin da piccoli, non era trascorso un solo giorno che non avessero giocato o si fossero annoiati insieme. Era praticamente l'unica persona al mondo agli occhi del quale Liv si sentisse esistere. Abituato come era a chiamarla ogni giorno, a cercarla per i suoi problemi, ora sarebbe stato solo, per il resto della sua vita, avrebbe perso la seconda "sorella", dopo quella mai nata, alla tomba della quale portava fiori ogni mese. Liv nemmeno una lapide aveva lasciato dietro di sé.

E sua madre? Ora era tutto sola in quel piccolo appartamento con le pareti insonorizzate e quel fardello da portare. Suo padre aveva la sua nuova compagna, le figlie acquisite: in qualche modo ci sarebbe saltato fuori, ma mamma non aveva altre persone al mondo. Già gli antidepressivi che prendeva dalla separazione non bastavano mai, questa sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto tracimare il suo cuore ferito.

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